Il sottoscritto ed il pluristrumentista Marco Zanzi, appartenente allo zoccolo duro musicale del Varesotto pedemontano (è stato l’animatore dei locali Steamboat Willie, una delle prime bands folk rock nata alla fine degli anni Settanta), hanno molti punti in comune: possono compilare un curriculum a quattro mani, vantare un pressoché identico background guadagnato sul campo, dividono più o meno gli stessi gusti, venerano i medesimi ‘eroi’, godono delle stesse buone vibrazioni al passaggio di certi solchi sotto la puntina del giradischi ed alla via così.
Circa due mesi fa Marco se n’è uscito con il nuovo album (il terzo) PBB III, realizzato insieme al cantautore e chitarrista Ron Martin, un amico conosciuto sul web e proveniente, ha voluto la sorte, dalla zona appalachiana del North Carolina, col quale ha diviso e continua a dividere i suoi progetti musicali. La Piedmont Brothers Band (PBB) è una formazione molto aperta di musicisti amanti del buon vecchio grande country rock, quello che si rifà ai maggiori artisti e gruppi dell’idioma, quelli della prima generazione, i leoni della vecchia guardia, senza timori reverenziali di sorta dove ognuno dei membri coinvolti porta il proprio personale contributo maturato con gli anni attraverso molteplici esperienze musicali.
A differenza di certo rock o blues elettrico nostrani, che da tempo immemorabile ammorbano la penisola non trovando sbocco alcuno verso l’emigrazione, possiamo con gioia rilevare che in linea di massima i lavori discografici presentati da musicisti italiani di generi particolari, purtroppo o per fortuna da sempre patrimonio esclusivo di appassionati o afficionados, non hanno nulla da invidiare agli equivalenti prodotti d’Oltralpe o d’Oltreoceano: si pensi al blues, jazz e ragtime del periodo tra le due guerre mondiali splendidamente proposti da Veronica Sbergia e Max De Bernardi (Old Stories For Modern Times) o al bluegrass e country bluegrass vintage e contemporaneo dei genovesi Red Wine (l’ottima recente fatica omonima), per citare solo un paio di episodi eclatanti.
In PBB III ci sono covers, scelte non a caso, rilette con arrangiamenti e gusto del tutto personali: Full Circle di Gene Clark, per esempio, impreziosita da una superba esaltazione della Rickenbacker 12 corde che nell’originale sembrava soccombere o This Love Will Carry del menestrello scozzese, ex Tannahill Weavers, Dougie McLean resa dalla stupenda voce di Rosella Cellamaro e rivestita a festa con un ensemble di archi da brivido. Troviamo anche ospiti illustri: Richie Furay (Buffalo Springfield, Poco, Souther-Hillman-Furay Band), la cui interpretazione vocale d’eccezione gratifica The Christian Life già dei Louvin Brothers, l’unico ed il solo Herb Pedersen alle prese con la sua Wait A Minute, il chitarrista Jock Bartley (Firefall), il batterista Patrick Shanahan (Stone Canyon Band di Rick Nelson, New Riders of the Purple Sage) e buon ultimo un irriconoscibile Rick Roberts (Flying Burrito Brothers, Firefall), protagonista e coautore di una sciatta, bruttina ed insignificante Santa Fe Rosie (lo scrivo con molta riluttanza e sincero rammarico).
Ma i vertici toccati dall’album dei PBB sono a mio modesto parere le composizioni originali di Martin, Zanzi, Francesco De Chiara (mandolino, flauti e pipes) e del bassista Francesco Frugiuele: I Been Dreamin’ About You costruita sulle corde di un Chris Hillman d’annata; Haunting From The Past, dichiarazione d’amore all’ultimissima sottovalutata produzione di Gene Clark; Lord con ben in mente i Byrds della porzione in studio di (Untitled) ed una chitarra acustica memorabile; la maratona finale, The Highlander Suite, dieci minuti di scorribande tra melodie scoto-irlandesi ed esperimenti raga rock alla Buffalo Springfield nel periodo magico della ‘Bluebird’ intonsa. Il tutto è suonato meravigliosamente bene, mixato ad arte e scorre via come d’incanto grazie ad una tracklist ispirata che non lascia tregua.
Si faccia bene attenzione. Questa non vuol essere e non è un’operazione nostalgica all’italiana: la musica che qui si ascolta, grazie ad artisti di grande caratura, è musica viva, palpitante, estremamente invitante ed eccitante. E lo sarà per molto tempo ancora.
(Country Rock, 2012)
Pierangelo Valenti, fonte Suono, 2012
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