E’ ormai vecchia abitudine per Ralph e i suoi Clinch Mountain Boys registrare tutti gli album secondo una routine ben definita e inalterabile: si incontrano nello studio di Charles e Alan Maggard, a Big Stone Gap, Virginia, in tarda mattinata in un giorno d’inverno, ‘fanno i suoni’ rapidamente dopo un paio di tazze di caffè, quindi registrano tutti i pezzi di fila, ovviamente ‘live in studio’ perché è tutto più spontaneo, quasi senza interruzione e nell’ordine in cui compariranno nell’album, e infine ascoltano, mixano, riascoltano, e salutati i signori Maggard si allontanano nella fredda notte della Virginia. Dicono che loro old timers fanno così.
Ed i risultati, sino ad ora, parevano dare ragione al vecchio Ralph: tutti i dischi registrati in questo modo avevano vivacità, grinta, spontaneità e abbastanza personalità da fare in parte sollevare sugli inevitabili difettini del suono.
Nel caso di Pray For The Boys, al contrario, mi sembra che la pratica della ‘one day session’ si sia rilevata un ulteriore handicap.
Mi spiego: Ralph ha voluto uscire con un album di gospel nei giorni in cui la Guerra del Golfo era alle porte in modo da ‘sostenere i ragazzi in guerra’ così come altri avevano fatto ai tempi della Corea o del Vietnam, e il risultato è stato allora, a parer mio, rivelatore di questa fretta.
Il suono è tutt’altro che buono, piatto, con tutti gli strumenti annegati in un mixaggio che non premia nessuno (salvo forse la chitarra ritmica); l’andazzo generale è discretamente palloso, con pochi pezzi degni di essere ricordati e una generale scarsa attenzione per l’equilibrio di atmosfere e tempi; gli arrangiamenti sono buttati un po’ lì, come chiunque potrebbe fare in una jam session uguale, e i lead affidati solo a chitarra (in puro stile George Shuffler) e fiddle dopo un po’ stufano.
Solo un paio di cose di Pray For The Boys riescono ad attirare la mia attenzione: la voce del nuovo lead singer, Ernie Thacker, che questa volta non si limita a clonare Carter Stanley nell’ennesima reincarnazione, ma ricorda in maniera impressionante un giovane Keith Whitley, e in modo assai gradevole, e la immortale voce di Ralph Stanley, qui fortunatamente usata in modo appropriato in Wayfaring Stranger e in un paio di altre occasioni (anche se paradossalmente molto sotto rispetto ad apparizioni recenti del nostro, ad esempio a quella sull’ultimo album di Bill Monroe).
Per questo si possono fare tanti discorsi, ad esempio ricordare che Stanley è l’ultimo (pare) alfiere di una tradizione gospel che sta scomparendo, rimpiazzata dallo stile più complesso ma in fondo più frivolo, quasi da ‘barbershop quartet’ alla Quicksilver, oggi tanto di moda, possiamo anche bearci dell’immutabilità dello stile Stanley dal 1949 a oggi, possiamo financo rallegrarci della mancanza (o quasi) di riverbero nella registrazione, che ci ricorda che in fondo il vecchio Ralph andrebbe considerato ‘prebluegrass’ (tutte osservazioni queste condivise da Bluegrass Unlimited), possiamo dire quello che vogliamo: alla fine della fiera, però restiamo con un disco che non si fa ascoltare molto volentieri né molto spesso…
Almeno, se non ci divertiamo, a sbadigliare…scusami Ralph, ma vado a riascoltare Child Of The King o meglio Cry From The Cross, con il vero Keith Whitley.
Pray For The Boys/ Old Man Death/ Lookin’ Through A Spiritual Window/ Wayfaring Stranger/ City Of Gold/ Give Me Wings/ God’s Great Chariot/ Searching For A Soldier’s Grave/ He Keeps Leading Me On/ Beautiful( Is The Land Where I’m Going)/ Snap A Finger, Jesus/ Look What I Traded.
Rebel 1687 (Bluegrass Gospel, 1990)
Silvio Ferretti, fonte Country Store n. 16, 1992
Ascolta l’album ora