That’s Not Me dimostra ancora che Randy Thompson non è interessato alle cose facili, non subisce il fascino dell’opera altrui, non è coinvolto dalle idee che qualcun altro può esprimere circa come dovrebbe suonare o cosa dovrebbe cantare.
Non si tratta di un presuntuoso egocentrico, ma di un musicista che ritiene di dover avere il completo controllo della sua musica, dei suoi testi e dei suoi arrangiamenti: un integralista dell’indipendenza artistica, in poche parole.
Nativo della Virginia (risiede ancora a Clifton, un paesino di 200 anime ad un’ora di macchina da Washinton D.C.), Randy Thompson si occupa di country music, quella vera, che viene dal cuore e quindi grezza e rustica, per certi versi, ma senza dubbio sincera e non certo edulcorata o piegata ai voleri del music-biz.
E’ per questo motivo che Randy cita i nomi di artisti quali Waylon Jennings, Steve Young, Hank Williams, Joe Ely fra le sue influenze e a pensarci bene stiamo parlando del gotha dell’indipendenza artistica, della quintessenza della caparbietà musicale e a buona ragione.
Le sue canzoni parlano delle sue esperienze, delle cose che gli sono successe e della gente che ha conosciuto, memorabile in tal senso è la storia narrata in The Ballad Of John Henry Fortney, a proposito di un suo bisnonno che combatté nella Guerra di Secessione.
Il brano è contenuto nel suo secondo CD, quel Wearin’ Blue sempre su Jackpot Records (la sua label) che racchiudeva anche il suo tributo a Hank Williams intitolato No Future In The Blues.
Il sound è fortemente orientato ed influenzato dalla country music più tradizionale, da non confondersi con il Nashville sound di ieri o di oggi. Piuttosto una digressione che punta dritta all’outlaw-country di matrice più texana, con riferimenti primordiali alla musica roots ed alle tematiche che, in genere caratterizzano il filone cosiddetto Americana.
Musica forte, dunque, sanguigna, gagliarda e senza fronzoli inutili; essenziale e potente, che va dritta al cuore ed al cervello di chi ascolta.
That’s Not Me, terzo album del nostro (dopo un oscuro esordio soltanto su cassetta dal titolo In The Rain) si conferma caparbio esercizio di indipendenza musicale fin dal brano di apertura, The Whole World, brevissimo intro che precede la carismatica Sound Of The Rain, roccioso rock-country elettroacustico che profuma del primo Waylon.
Per la pianistica That’s Not Me si cambia registro: la voce si addolcisce ed altrettanto gli arrangiamenti, la vena cantautorale emerge prepotentemente e ci consegna un prodotto estremamente pregevole.
The Lovin’ Show riprende le ritmiche care allo scomparso outlaw, pur in presenza di un anomalo mandolino ritmico e di pizzico di Johnny Cash qui e là. Dance Until Dawn mi ricorderebbe un certo Bruce che avesse voglia di accennare una ballata country-oriented, soprattutto per i fillers di chitarra elettrica: ballatona densa e corposa, da ascoltare e riascoltare.
If Love Is What You Want riprende il filone più acustico ed autobiografico, come peraltro tutto l’album, che risente – a livello lirico – del matrimonio andato a finire male proprio in quel periodo.
Unknown Zone succhia il latte da Nowhere Road di Earliana memoria, ma la voce filtrata elettronicamente fornisce una personalità propria alla performance di Thompson, If That Wasn’t Love ci propone un’altra ballata delicata, eseguita però con determinazione e convinzione dalla voce di chi ha vissuto le vicissitudini narrate dal testo. L’arrangiamento resta al disopra della media, che pur risulta invidiabilmente alta.
Only One Way conclude That’s Not Me, davvero bello e personale, meritevole di più di uno sforzo per cercare di reperirlo.
Se vi piacciono i personaggi di cui abbiamo fatto il nome più sopra (aggiungerei anche Jimmy Tittle nelle reminiscenze), Randy Thompson è il vostro prossimo obiettivo di acquisto.
Jackpot 1105 (Singer Songwriter, 2004)
Dino Della Casa, fonte Country Store n. 73, 2004
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