Red Allen - The Red Allen Tradition cover album

E’ un Red Allen meditabondo, casalingo in apparenza, vagamente simile a Luciano Lama (dicono alcuni maligni) ma più intimo quello che la foto di copertina di The Red Allen Tradition ci mostra, ma è un Red Allen vigoroso e pieno di grinta quello che esce dai solchi dell’album.
Dopo un lungo periodo oscuro, opaco, pesantemente influenzato da gravi problemi di alcolismo (problemi di cui ormai Allen parla con serenità) la carica interiore che animava la prima produzione di questo grosso musicista è nuovamente affiorata, ed ha dato frutti di discreto valore, che lasciano ben sperare per il futuro. La voce di Allen non è molto cambiata in questi anni ed ha conservato quasi inalterate potenza, estensione ed espressività; l’elettronica è certo utile nel mascherare pecche minori e nel ringiovanire voci non più fresche, ma in questo caso le qualità intrinseche e la notevole tecnica di Allen riescono a rendersi evidenti anche al di sopra degli artifici di studio.

Con queste premesse, fondamentali per quanti avessero un ricordo negativo di precedenti album di Red Allen, vediamo di analizzare The Red Allen Tradition, lavoro decisamente buono anche se non privo di difetti. E i difetti sono principalmente di scelta di repertorio: Last Train To Clarksville è un pezzo ormai troppo stanco per figurare in un buon album di bluegrass, e per giunta all’inizio dell’album; così Hippy Dippy Dan appare decisamente idiota (quale in fondo è), specialmente se accostato a piccoli gioielli quali Victim To The Tomb di John Duffey o Worry My Life Away (Going To Georgia) degli Stanley Brothers.
Scelte un po’ superficiali, quindi, calate in un contesto per il resto coerente e pregevole. Nashville Skyline Rag, Down The Road, Lonesome Here Without You e gli altri pezzi dell’album sono infatti ‘intelligenti’ e piacevoli da ascoltare, e ricchi di soluzioni interessanti: in particolare colpiscono le voci (da sempre molto curate, in tutta la produzione di Allen), organizzate qui con lead, tenor e high baritone, una struttura insolita per Allen, usualmente legato al classico lead, tenor e baritone, oppure osborniano high lead, baritone e low tenor.

A giocare la difficile carta dello high baritone troviamo una donna, Kathy Chiavola, attualmente nella band di Doug Dillard, e astro nascente degli studi di Nashville. L’uso di una voce femminile in un contesto bluegrass tradizionale è fatto quasi rivoluzionario (gente, qui non si deve pensare alle sorelle White o a Emmylou Harris, siamo in un’altra dimensione), e appare una gradevole ‘novità’ ed una soluzione degna del migliore Red Allen. Al tenor e alla chitarra è il figlio Harley, a mio parere il migliore della nidiata dopo il compianto Neal, e qui in splendida forma sia nel rinvigorire i cori sia nel dare una nuova e originale veste alla vecchia (e un po’ troppo sfruttata) Down The Road di Flatt & Scruggs.
Ma anche strumentalmente il disco è tutto da gustare, con un infuocato Mike Lilly al banjo, Marty Stuart al mandolino, Vassar Clements al fiddle (elettrificato, maledizione, in modo quasi fastidioso), Josh Graves al dobro e Larry Nager al contrabbasso.
Una line-up di qualità eccellente, a cui una registrazione e un missaggio curati, anche se forse leggermente ‘artificiali’, donano un suono al tempo stesso pieno ed etereo, vigoroso e raffinato.
Una prova positiva, quindi, seppure non perfetta né da archivio, un album da ascoltare con attenzione e al cui acquisto, ne sono certo, non avrete rimorsi. La tradizione è solida, e pare destinata a durare a lungo.

Folkways FTS-31097 (Bluegrass Tradizionale, 1983)

Silvio Ferretti, fonte Hi, Folks! n. 7, 1984

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