Red Meat - Meet Red Meat cover album

I pionieri, una volta arrivati all’oceano, realizzavano che non c’era più terra: il West era finito. Non per questi ragazzi inurbatisi a San Francisco da Iowa, Nebraska e Oklahoma per formare una country band di grande personalità, in grado di far rivivere i fasti delle honky tonk bands d’altri tempi. Un sestetto stupefacente per le qualità della scrittura della sua ‘anima’, Scott Moore, chitarra, violino e voce e geniale autore di tutte le songs di questo splendido CD, e per il valore d’insieme di un ‘corpo’ che sa essere sinuoso e musicalmente intrigante.
I Red Meat, partono a grande velocità con due road songs di gran presa, 14 Hours From Tulsa e Highway Of Heartaches: questi ‘bay-area cowboys’ non scherzano. Fanno rivivere lo spirito musicale di Buck Owens, Merle Haggard, Stanley Bros., George Jones, ma il loro non è certo pedissequo revivalismo, non sono degli imitatori. Un sapido e vibrante honky tonk feeling li sorregge, conoscono sfumature western swing e country, hanno humour, senso della misura: la polvere sui loro stivali è vera.

Il sound dei Red Meat, impreziosito dai ceselli di Michael Montalto, chitarre e mandolino, e Steve Cornell, pedal steel e chitarra, dalle belle parti corali a tre o quattro voci (brava la bassista Jill Olson) a sostegno della levigata voce solista Smelley Kelley, è comunque divertente, dissacrante ed ironico (Nashville Fantasy, Inner Redneck), senza perdere capacità emozionale.
Tra storie di Texas, Mexico, rednecks, lolite, bevitori, ci troviamo di fronte ad una dozzina di songs di Scott Young che sembrano standars, una band che, pur giocosa, ha un rigore stilistico encomiabile e un contagioso country feeling. Non c’è retorica nella musica dei Red Meat, solo una impalpabile e in quietante nostalgia che, a volte, appare di fronte alla musica del West e dintorni.

Ranchero 001 (Honky Tonk, 1997)

Franco Ratti, fonte Out Of Time n. 24, 1997

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