Prima o poi qualcuno dovrà scrivere la storia del bluegrass in Italia, storia rocambolesca come un romanzo, piena di suspance come un giallo, interessante come un saggio. Qui basti sapere che al principio di tutto c’erano sei gruppi principali, distribuiti lungo la penisola quasi fossero uniti dal cordone ombelicale della stessa matrice, più diversi musicisti orfani o in cerca di altri appassionati coi quali formare un sodalizio stabile attraverso la comune irrefrenabile passione per il genere.
A Torino strimpellavano gli Happy Grass Special, a Milano muovevano i primi passi la Southern Comfort String Band ed i Bluegrass Stuff, nella capitale si esibivano gli Old Banjo Brothers, a Brindisi ci provavano i Weepin’ Willow Three.
Sotto la Lanterna macinava note fin dal 1978 la Red Wine String Band, formata dal banjoista Silvio Ferretti, dal mandolinista Martino Coppo, dal chitarrista Beppe Gambetta e dal contrabbassista Ferruccio Rocca: quattro giovanissimi che sulla loro pelle, a furia di esperimenti, improvvisazioni e manciate di puntine di giradischi consumate dai solchi dei pochi albums in circolazione (allora gli acquisti per posta oltreoceano non erano così disponibili, non esistevano i manuali per strumenti particolari ed internet non era nemmeno nell’immaginario a venire) si stavano costruendo una reputazione di tutto rispetto.
La grande occasione di scavalcare i confini regionali venne loro offerta dalla ormai storica Prima Convention di Musica Old Time & Bluegrass tenutasi al Ponderosa Ranch in quel di Tradate (Varese) nei primi due giorni del Maggio 1982; vi convennero circa 6000 persone da tutta Italia e, da quel momento, nulla fu più come prima. I genovesi, forti di questa esposizione e rinfrancati dai consensi ricevuti, si lanciarono in un percorso che ancora non ha conosciuto traguardi (e che nel 2013 segnerà i 35 anni di attività). Da allora molte cose sono cambiate dentro e fuori la formazione, dentro e fuori la vita di ciascuno dei membri originali, ma l’amore incondizionato per questa musica è rimasto immutato.
Fresco di stampa abbiamo tra le mani il loro ultimo lavoro intitolato Red, una semplice scritta in bianco su campo rosso smagliante (grafica spartana ma di una finezza unica grazie a Stefania Orengo). Potrei liquidare il tutto con una mezza dozzina di luoghi comuni: qui ci starebbero alla perfezione e soprattutto, una tantum, in positivo. In primo luogo, se non conoscessi di persona gli autori e ne ignorassi la nazionalità, penserei di aver ricevuto l’album direttamente da qualche eccellente band statunitense tanto la bontà delle esecuzioni, la scelta oculata del repertorio e la qualità del suono pareggiano gli alti parametri americani. E per quest’ultimo aspetto, molto spesso ignorato o trascurato quanto fondamentale, un meritato plauso va all’opera di missaggio di Josh Swift ad un passo dalla perfezione.
Dal punto di vista strumentale e vocale siamo a livelli difficilmente abbordabili. Se per Martino (mandolinista straordinario e cantante polivalente) e Silvio (un vero e proprio pioniere ed amante del 5 corde, autore qui della sola composizione originale, quella Grannie’s Blues che sembra ispirata ad un dagherrotipo nel salotto di J. J. Cale) già sapevamo e continuiamo a godere, un’ottima impressione si ha dalla chitarra di Marco Ferretti (sempre puntuale e preciso nelle entrate/uscite e nella concezione degli assolo) e dal basso dell’ultimo acquisto della formazione, Lucas Bellotti, una granitica sicurezza e garanzia ritmica come poche volte mi è capitato di ascoltare. Ad aiutare ed impreziosire la fatica dei nostri troviamo parecchi ospiti blasonati, tra cui Tony Trischka (banjo), Annie Staninec (strepitosa violinista) ed ancora Josh Swift al dobro.
Con queste premesse è facile immaginare che Red è un disco bellissimo, un immacolato prodotto di country-bluegrass (‘Bluegrass – Italian Flavor’ recita il loro logo), molto variegato (Mamma Mia Medley omaggia le melodie nostrane e non ha niente a che vedere con l’atmosfera caciarona alla Arbore), dove nulla è lasciato al caso, dove non esiste un brano fuori posto o sottotono, il vecchio buon ‘drive’ si tocca con mano, tutto scorre e si incastra alla perfezione e dove l’ultima nota ti spinge con forza a risentire la prima.
Amo questi musicisti, abbiamo cuori che pulsano sulla stessa lunghezza d’onda da tanto tempo, sono miei fratelli.
Autoprodotto RW007 (Bluegrass Moderno, 2012)
Pierangelo Valenti, fonte Suono, 2012