Reed Turner ha vagabondato per tutti gli Stati Uniti prima di ricollocarsi ad Austin, Texas, dove ha trovato una sua strada musicale, pregna di influenze diverse che non lo inquadrano come il classico cantante ed autore proveniente dal Lone Star State.
Ghosts In The Attic è infatti un lavoro in cui coabitano influssi californiani, alternative country figlio dei Wilco e la passione per la roots music filtrata attraverso una leggera patina psichedelica. Dopo il debutto nel 2009 inciso a Nashville ed intitolato All My Running e l’EP di due anni più tardi See How Far I Get prodotto nella nativa Portland, Oregon, questo terzo sforzo solista è il risultato di una notevole maturazione, sia dal punto di vista compositivo sia nell’affidarsi a un produttore (Matt Noveskey dietro alla consolle dei Terra Nova Studios di Austin) capace ed intelligente, in grado di evidenziare le doti interpretative di Reed Turner.
Modern Man è eterea ed evocativa, sulla falsariga delle cose più acustiche di Jonathan Wilson e del suono californiano di Laurel Canyon, Ghost In The Attic fa emergere l’amore per i suoni un po’ psichedelici di band come Dream Syndicate e Green On Red mentre Killed That Girl (‘Cause She Was Killin’ Me) ha le tonalità bluesy, corpose e misteriose del Sud. Room For Doubt è una ballata pregevole dove Reed Turner si affianca a personaggi come Bill Morrisey e Rod MacDonald con i quali trovo abbia più di un punto in comune e in cui la pedal steel di Kim Deschamps pennella con sapienza. Una ritmica quasi jazzata introduce Long Gone, affascinante con le sue atmosfere fumose, Familiar Sound con i suoi ‘suoni familiari’ ricorda situazioni folk e il fiddle di Phoebe Hunt contribuisce al suo fascino.
Da sottolineare ancora The Fire, ballata sontuosa ed intrigante caratterizzata dall’armonica dello stesso Reed Turner e Long Way To Go che concorrono in maniera fattiva a rendere prezioso questo disco, un lavoro che cresce enormemente ascolto dopo ascolto.
Autoprodotto (Singer Songwriter, 2013)
Remo Ricaldone, fonte TLJ, 2015
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