Roger McGuinn e Chris Hillman hanno perso Gene Clark (presente solo in due pezzi) ma hanno ritrovato se stessi: questo sembra essere il leit-motiv del loro nuovo album. Perché stavolta ci siamo, il disco è ottimo, vivo, ispirato, proprio nella direzione desiderata, nettamente superiore all’esperienza dello scorso anno. Questa sì è la musica dei Byrds degli anni ’80, non quella super-arrangiata e devitalizzata del primo LP su Capitol. Roger e Chris lo hanno compreso e, con molto senso di realismo, hanno cambiato pagina, riproponendo finalmente la loro vera immagine, che conoscevamo e apprezzavamo e che è personalissima, nient’affatto anonima.
City è un album di gruppo e basta: ci sono Roger, Chris, John Sambataro alla lead guitar e Scott Kirpatrick alla batteria (ha preso il posto di Greg Thomas). Aiutano in studio soltanto Skip Edwards alle tastiere e alla steel guitar e Chuck Grane alla chitarra (poco). Niente orchestra, niente fiati, niente cori allargati e intrusivi. Il sound è decisamente rock, scintillante, tirato, denso, ma anche dolce e magico. L’amore resta il tema prevalente delle canzoni, un amore che si definirebbe up-to-date, cioè molto legato ai problemi di oggi.
Dieci i pezzi raccolti, che descrivo uno per uno. Who Tought The Night, di Chris e Peter Knobler, rock tenace e deciso, piuttosto duro, condotto da un basso travolgente. One More Chance, scritta da Roger con Jacques Levy, motivo ad andatura un po’ reggae, con refrain orecchiabile e un bel assolo di Sambataro (che comincia a piacere). Uscirà come singolo? Won’t Let You Down, Byrds song al cento per cento, tipica ballata di Gene Clark, che canta al meglio di sé, aperta da un attacco di chitarre (Rickenbacker) simile a quello di The Reason Why, con assolo poi di Rickenbacker che sembra riportarci ai bei tempi di Turn Turn, Turn.
Street Talk, classico rock di Hillman in forma smagliante, (aiutato da Knobler e Sambataro) con un coro molto piacevole, una canzone d’amore con parti invertite, è la ragazza qui che dà la caccia all’uomo. City, eccellente pezzo di McGuinn e consorte che descrivono la vita in città attraverso una serie di immagini diverse, Byrds sound eighties, ottimo basso, fantastico lavoro della Rickenbacker che sembra riprendere il discorso interrotto dopo Eight Miles High. Skate Date, divertentissimo scherzo di Roger, moglie & Chris che invitano a rinunciare all’auto per correre con i pattini a rotelle, brano spigliato e veloce in cui i nostri eroi sembrano togliersi dieci anni di dosso.
Givin’ Herself Away, rock un po’ melodico di due autori sconosciuti, Tom Kimmel & Lynn Tobola, cantato da Roger e sostenuto assai bene dalla Fender Telecaster di Sambataro. Deeper In, altro rock di Chris (collabora con lui Douglas L. A. Foxworthy), con un’affascinante impasto chitarristico sopra il ritornello. Painted Fire, l’altro brano di Gene Clark, country slow pianistico, si discosta un poco dagli altri ma è cantato da Gene, che in questa occasione scappa con una diciassettenne, con grinta e impegno. Let Me Down Easy, ballata lenta e parzialmente acustica di Hillman e Knobler, nella quale Roger e Chris cantano (stupendamente) insieme, dolci armonie, break di steel guitar, i Byrds che strizzano l’occhio agli innamorati.
Queste le credenziali del disco, che spero siano sufficienti. Certo comprendo che chi si è sentito scottato dal precedente lavoro abbia stavolta qualche pregiudiziale, ma oltre alle mie parole ci saranno diverse opportunità per tutti di convincersi che vale la pena di acquistare il disco. Dispiace per Gene Clark, questo sì, che non è riuscito a sostenere gli impegni, sicuramente stressanti, di questa nuova avventura: la sua salute infatti, in cattivo stato, lo ha costretto a interrompere le sessions dell’album e a lasciare il gruppo. Speriamo non definitivamente (anche se questa circostanza sembra ripetere quella del ’66) soprattutto oggi che David Crosby ha firmato un contratto per la stessa casa discografica.
Capitol 12043 (Country Rock, 1979)
Raffaele Galli, fonte Mucchio Selvaggio n. 28, 1980
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