Slim Richey è il fondatore della Ridge Runner Records, una etichetta discografica che ha debuttato sul mercato americano nel 1975 e che è indirizzata soprattutto alla registrazione di bluegrass ‘progressivo’.
La formazione musicale di Richey, discreto chitarrista jazz ed appassionato di musica bluegrass, lo ha portato a realizzare nel 1977, con questo LP, una sintesi che dimostra come due linguaggi musicali fino a non molti anni fa estranei possano tranquillamente coesistere e portare alla strutturazione di quella ‘nuova musica acustica americana’ che sembre essere l’obiettivo di molti dei musicisti acustici americani piú sperimentali.
Mentre violino, chitarra e mandolino contano utilizzazioni anche di rilievo nell’ambito della musica jazz, per banjo 5-string e dobro si tratta di creare una tradizione. E non a caso al banjo vediamo impegnato, in questo disco, un musicista come Alan Munde giá dimostratosi in grado di spaziare ben oltre i limiti del bluegrass tradizionale, mentre a Bill Keith va il merito della stupenda versione di Night In Tunisia (lo standard di Dizzy Gillespie e Frank Paparelli).
Al fiddle sono impegnati Sam Bush, Richard Greene e Ricky Skaggs, il sempre piú convincente polistrumentista. Completano il set Joe Carr al mandolino, Kerby Stewart al basso, Jerry Case e Sumter Bruton alla chitarra e Dan Huckabee al dobro, lo strumento che presenta le maggiori difficoltá nell’adattarsi alle insolite ed elaborate armonie jazzistiche.
Per quel che riguarda Slim Richey, al primo ascolto aveva suscitato delle perplessitá, dissipate (in parte) successivamente. Il suo stile forse è troppo ‘soft’, poco aggressivo, ed in alcuni brani è relegato in secondo piano rispetto ad esempio al grintoso Sam Bush ed al sempre valido lavoro svolto da Alan Munde e Joe Carr; un bravo va anche a Dan Huckabee.
Il disco si apre con uno dei pezzi meno validi, ed è un peccato: Gravy Waltz scorre senza suscitare grosse sensazioni.
Con Back Home Again In Indiana si entra subito nel clima giusto, il ritmo diviene convincente.
Le cose migliori sono a mio avviso The Preacher, una composizione del pianista Horace Silver, al quale si deve la riscoperta, alla metá degli anni ’50, dei caratteri fondamentali del jazz (improvvisazione, ritmo, blues), e che i nostri riescono a rendere in maniera estremamente convincente; il classico di Benny Goodman Stompin’ At The Savoy; Rose Room, uno dei brani piú piacevoli, uno swing nel quale tutti i solisti danno interpretazioni valide; There’ll Never Be Another You, un altro standard; il Jazz Grass Waltz che apre la seconda facciata, una composizione di Richey; ed Angels Eyes, con dei continui cambi di ritmo incisivi e suggestivi.
Ma si tratta di preferenze personali, in realtá anche Summertime, ennesima versione del classico di Gershwin, si mantiene su buoni livelli; To Linda (altra composizione di Richey) scorre piacevolmente anche se Alan Munde non è molto convincente; mentre decisamente brutta mi sembra la Boppin’ At The Bluebird di Sumter Burton, con dei soli poco definiti, un’atmosfera troppo simile a quella di There’ll… ma una qualitá decisamente inferiore.
In conclusione, un lavoro riuscito, un disco da ascoltare, e dal quale prendere interessanti spunti ed aprirsi ad orizzonti piú vasti.
Ridge Runner 009 (Bluegrass Moderno, Bluegrass Progressivo, 1977)
Mariano De Simone, fonte Hi, Folks! n. 2, 1983