Recensione album The Blue Cats – “The Blue Cats” a cura di Ettore Cocina su Mucchio Selvaggio

Leggendo il loro nome in copertina, The Blue Cats, si potrebbe un po’ semplicemente pensare alla band vocale che accompagna Robert Gordon, ma se per un attimo credessi di aver letto male, vedendoli nel loro abbigliamento tipicamente fifties, con quell’aria volutamente démodé, potrei pensare ai Blue Caps, la mitica band del grande Gene Vincent.

Loro invece sono i fratelli Carlo e Stef Edwards, rispettivamente chitarra e batteria, Dave Phillips, vocale e basso, e Clive Osborne al sax; londinesi, molto giovani, si chiamano Blue Cats. È l’ennesima band con il nome cats preceduto da un aggettivo; d’altronde il gatto è l’animale che, come vuole la leggenda, concentra in sé le migliori caratteristiche fisiche del rocker-tipo: l’agilità, il portamento felino, l’aggressività.

The Blue Cats esordiscono con quest’album omonimo registrato nell’agosto ‘80, ma distribuito solo adesso, per la Charly Records, piccola, ma quanto mai attiva label londinese, piuttosto conosciuta per le ottime compilazioni di artisti del passato.

Dalle sedici (!) songs di quest’album traspare l’attaccamento dei Blue Cats al più tipico (e bello) dei rockabilly: quello dei primi 50’s; la batteria scarna, lo slapped-bass in evidenza, un certo uso hawaiano della chitarra e la voce lineare ma melodiosa, mi ricordano le vecchie incisioni mono di quel periodo.

Ma il gruppo non rimane ancorato sempre a questo schema: manco a dirlo apre la prima facciata Just Go Wild Over Rock’n’roll, un r’n’r così veloce, e con un uso della voce così stridulo, che al primissimo ascolto mi era sembrato addirittura che girasse a 45 giri!

Dopo alcuni bei rockabilly autocomposti, l’attenzione si ferma su Southbound Blues, un brano molto interessante, specie per l’uso molto r&b del sax. Poi Boogie Up Roar, brano strumentale in cui il sax (ancora!) aggiunge un pizzico di jazz, precede un pezzo bellissimo Five Days Five Days, dal ritmo ben cadenzato. Anche qui un pizzico di blues, specie nell’uso delle voci, che fanno quasi sconfinare la canzone in un doo-wop.

Nella side due è impossibile non riconoscere Teenage Party, un r’n’r di Tommy Steele, un dovuto tributo a questo rocker, il primo che portò questa musica in Inghilterra. Così come non si possono non riconoscere, Sweet Love My Mind, una song di Boo Walker, ripresa di recente da Robert Gordon in versione più dura e moderna, né Caldonia, già un hit nel ‘57 di Carl Perkins. Ci rilassiamo poi con I Sure Miss You, uno slow che tende alla lenta ballata di tipico sapore country’n’western, per continuare a roccare e rollare con Jumpin Little Mama e Juke Joint Jem, due pezzi composti dal bassista che ci calano perfettamente in piena atmosfera fifties-rockabilly.

Una piacevole sorpresa è data da Sure-fire Way, firmata da Steve Bloomfield, l’indiscusso leader dei Matchbox, che, a onor di cronaca, recentemente hanno vinto in Inghilterra il disco d’argento per il 45 When You Ask Me About Love (tenendo conto che il 45 giri più venduto in Italia per parecchi mesi è stato Anna dai capelli rossi, mi viene da piangere). Comunque mi asciugo le lacrime per ricordarvi che questo Blue Cats è un buon disco, forse non perfettamente degustabile di primo acchito, a causa delle poche concessioni ai moduli più conosciuti del pop che rendono l’album non dotato di grande orecchiabilità, ma assolutamente non per questo deprecabile, spero anche da parte dei neofiti che volessero ascoltare questo disco.

Charly CR30204 (Rockabilly, 1980)

Ettore Cocina, fonte Mucchio Selvaggio n. 40, 1981

Link amici

Comfort Festival 2024