Company Of Snakes – Burst The Bubble cover album

Quando si dice le cariatidi. Già solo il moniker del gruppo, che furbamente riecheggia quello della storica band di David Coverdale, fa capire che ci sarebbero tanti fatti da raccontare riguardo ai componenti dei Company Of Snakes che non basterebbero un paio di numeri monografici di JAM. In questa sede basti pertanto dire che i COS non sono nient’altro che il progetto di Bernie Marsden e Micky Moody, chitarre dei Whitesnake dallo storico Snakebite del 1978 a Saints And Sinner del 1983, oggi attorniatisi di guest di lusso come Josh Phillips alle tastiere (Midge Ure, Pete Townshend), John Lingwood alla batteria (Roger Waters, Manfred Mann) e – poteva essere altrimenti? – Neil Murray, che dei Whitesnake è stato il bassista parallelamente alla militanza nel gruppo di Marsden e Moody.
Obiettivo di un simile ensemble? Sicuramente non riscrivere una lezione impartita e consegnata alla storia del classic rock parecchi anni fa, ma più che altro riecheggiarne i fasti con un songwriting accattivante e un’interpretazione assolutamente di classe. Non che ci aspettassimo niente di meno, intendiamoci: negli anni può forse inaridirsi la vena creativa (e non è comunque questo il caso), ma la classe d’esecuzione di un bravo musicista rimane per lo più inalterata, e Burst The Bubble ce ne dà piena conferma.

Dietro il microfono il giovane Stefan Berggren – l’unico senza una “storia alle spalle”, non fosse altro che per motivi anagrafici – non si fa affatto intimorire dalla caratura dei personaggi con cui è chiamato a collaborare, e dà prova al contrario di un’ottima interpretazione. Il risultato è un album di rock blues classico imperniato sulle chitarre di Marsden e Mood, assolutamente godibile anche da un pubblico che non necessariamente ha avuto più di tanto a che fare con i Whitesnake. L’iniziale Labour Love e Can’t Go Back i brani migliori di Burst The Bubble.
Voto: .6/7
Perché: nulla di nuovo sotto il sole, anzi. Ma suonato (e prodotto) benissimo.

SPV/Audioglobe SPV 085-72682 (Roots Rock, 2002)

Francesco Eandi, fonte JAM n. 82, 2002

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