Gibson Brothers - Long Way Back Home cover album

Dopo una manciata di dischi pubblicati per la minuscola Hay Holler e il Bona Fide del 2003 che ha permesso ai due fratelli di varcare il confine che separa le realtà locali dalle band di fama internazionale, ancora su Sugar Hill esce l’ottimo Long Way Back Home, un ulteriore passo avanti verso un futuro segnato.
Se in Bona Fide già erano chiari gli aspetti di originalità della coppia, con il secondo album (sesto, veramente) si va addirittura oltre, perché la scelta dei pezzi non loro, maggiore rispetto al precedente CD, è riuscitissima. Cioè, gli arrangiamenti di questi pezzi, quello che hanno fatto per personalizzarli è riuscitissimo. E la cosa bella è che i brani originali sono di pari livello.
Se prima potevano sembrare due bravi, spesso ottimi, musicisti e cantanti, oggi risultano eccezionali.

In questo disco particolarmente, le armonizzazioni, le finezze vocali, le dinamiche e la capacità di affrontare melodie poco scontate se non addirittura inusuali per il bluegrass, sono da considerarsi un esame passato a pieni voti e con tanto di lode. Questi ragazzi, attraverso Long Way Back Home, hanno raggiunto il piano più alto, dove hanno trovato ad attenderli personaggi che fino a qualche tempo fa i due guardavano dal basso verso l’alto.
L’inizio di Mountain Song t’inchioda e ti obbliga ad ascoltare tutto il disco d’un fiato, dritto dritto senza cedimenti di sorta, con una tensione che non cala nemmeno nei pezzi lenti. Le canzoni si susseguono e arrivano anche delle piacevoli, inattese sorprese, come Ophelia della Band, a firma Robbie Robertson: l’avreste mai immaginato che qualcuno potesse farla bluegrass? Questo si chiama coraggio, di mettersi in gioco, di voler uscire dagli schemi, ascoltare per credere. Meno sorprendente, ma non meno riuscita, la canzone di Gordon Lightfoot che dà il titolo al disco.
Che dire di He’d Take Her Back Again, un brano country che profuma di classico, un po’ anni ’60, con una steel a fare la differenza. E poi… no, no, voglio fermarmi, questo è un disco che non deve essere raccontato, va ascoltato. E riascoltato. E riascoltato.

Sugar Hill 3986 (Bluegrass Moderno, 2004)

Maurizio Faulisi, fonte Country Store n. 73, 2004

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