Ci casco sempre: ogni volta mi dico che i Seldom Scene non mi interessano più, specialmente quando rifanno le cose di sempre o si celebrano addosso, e ogni volta trovo la ragione per comprare il nuovo disco (l’ospite, il nuovo cantante o il nuovo bassista, la pura curiosità). E ogni volta mi incazzo perché c’è qualcosa che mi riconferma il mio acquisito disamore per la band (Duffey sempre fuori tempo ad ogni break, con un timbro di mandolino inesistente, oppure Eldridge senza timbro e con un timing dubbio, o ancora l’inconsistenza volutamente stranoide di certi arrangiamenti), ma poi trovo qualcos’altro che mi porta a non mettere in vendita l’album, come avrei deciso al primo ascolto.
In questo caso sono ancora nel mezzo di questo processo (malato) di alterni convincimenti e disgusto, e ve ne parlo. Scene 20 è il secondo album celebrativo della longevità dei Scene, ma non ha la fragorosità e l’impegno del precedente album del quindicennale (registrato al Kennedy Center con migliaia di ospiti illustri), né vuole averli. I ragazzi hanno registrato due sere più o meno qualsiasi al Birchmere, loro casa madre ogni giovedì per anni e anni, nei sobborghi di Washington, e hanno sbattuto tutto quanto su CD. Tutto qui.
D’accordo, su un pezzo hanno invitato Emmylou Harris, e d’accordo, il sound engineer era Bill Wolf, ma è stato in ogni caso tutto qui.
Il concetto del doppio CD è semplice: sul primo compaiono prima i Scene originali, 1971-77, con il grande John Starling, quindi la band degli anni 1977-86, con il meno grande Phil Rosenthal, qui peraltro in discreta forma, e sul CD numero 2 compare la band attuale (o quasi), con Lou Reid (che nel frattempo se n’è andato nei III Time Out) e T.Michael Coleman.
Il primo CD è quello che mi ha fatto un po’ incazzare, visto che la band suona i vecchi pezzi in modo pressoché indistinguibile dalle vecchie versioni sui vecchi LP (insisto sul concetto), o almeno questa è l’impressione apparente.
Il secondo CD è quello che forse non mi farà vendere il tutto, dato che: 1) mi piace Lou Reid, che è qui in forma smagliante; 2) ci sono pezzi nuovi e ben suonati (ottimo ad esempio l’ornatissimo coro su Blue Ridge Cabin Home); 3) Auldridge, che già si rivelava nel primo CD come il membro della band che più merita di essere ricordato dai posteri, pare quasi stimolato da Reid e Coleman (con cui guarda caso ebbe anni fa a incidere un album), e fa cose decisamente di squisita fattura, per timbro, gusto e personalità; 4) T.Michael Coleman appare finalmente in un pezzo che fa da molti anni dal vivo, intitolato And On Bass, divertente e da me molto atteso.
Il resto dell’album, a mio parere, è routine, e se ciò per voi significa qualcosa di positivo, allora benissimo, è l’album per voi e ve lo godrete sicuramente. Per uno come me che ha tutti gli album dei Scene, e ha smesso di ascoltarli da tempo (salvo quelli più recenti), la definizione di pleonastico (proprio per non usare la parola superfluo) è quella che trovo più calzante per Scene 20. Ma so che non lo venderò…
Sugar Hill CD 2501/02 (Bluegrass Moderno, Bluegrass Tradizionale, 1991)
Silvio Ferretti, fonte Country Store n. 18, 1993