Gli Starlings (in italiano gli storni, come ci ricorda anche il pennuto nella copertina del loro CD) sono una band di Seattle che ha pubblicato nel 2006 il suo album d’esordio, un felice esempio di musica roots con influssi folk e bluegrass. Semplicemente intitolato Songbook, questo ‘canzoniere’ comprende dodici brani originali – dieci composti da Jay Mills (voce, chitarra e mandolino) e due da Tom Parker (voce, chitarra e armonica), le colonne portanti del gruppo – più una cover della classica Long Black Veil.
Il risultato è un perfetto connubio tra le capacità vocali e compositive della Mills e l’esecuzione dei musicisti a supporto (notevoli soprattutto il mandolino e l’armonica, ma anche il banjo e il fiddle lasciano delle pennellate sonore degne di nota). Questo connubio è ben esemplificato già dal primo brano, Hand To Mouth (grosso modo traducibile con ‘alla giornata’), che si apre con la gentile voce della Mills che chiede “Tell me a story ‘bout when you hit the road”, subito seguita dal tipico tremolo del mandolino, a cui si aggiungono poi il banjo, l’armonica e la voci di accompagnamento degli altri membri del gruppo.
La tematica del viaggio, il racconto delle difficoltà quotidiane espresso mediante immagini di vita ‘on the road’ è espresso quindi sin dall’inizio e si ritrova in tutto il disco. Si tratta di argomenti tipici di questo genere, ma la Mills li sa rendere in modo accessibile e nuovo, evitando di scadere nello stereotipo. La freschezza dell’esecuzione, le armonie vocali (che spesso diventano dei singalong di tutto il gruppo) danno poi all’ascoltatore l’impressione di ascoltare musica proveniente da un’altra epoca, quando, almeno in America, la gente si riuniva a cantare in veranda accompagnata da mandolini, banjo e armoniche.
Queste caratteristiche, pur con qualche variante, si mantengono per tutto il disco, senza perdere smalto se non in alcuni brani centrali. Alla vivacità della traccia iniziale si contrappongono le successive Bones To Ashes e Alaskan Fire, più cantautoriali, ma ugualmente piacevoli, soprattutto grazie all’onnipresente mandolino e alle armonie tra Mills e Parker. In Workin’ Man Blues i due si scambiano ruoli, con Parker ora voce principale e Mills a supporto; anche stavolta il risultato è soddisfacente. Il brio iniziale torna in Gold Rush e in Take Me To The Fire, ma i brani successivi sono un po’ anonimi. Il disco torna ai buoni livelli iniziali verso la fine, con un’ottima esecuzione della murder ballad Long Black Veil e con il bel duetto finale tra Parker e Mills in Acorn.
Complessivamente, per chi ama la musica roots tradizionale e acustica si tratta di una band da tenere d’occhio, musicalmente molto vicina a Cindy Woolf, già recensita in queste pagine.
Autoprodotto (Country Folk, Singer Songwriter, 2006)
Vito Minerva, fonte TLJ, 2007