Unlimited Tradition - She’s Gone cover album

E’ un nome relativamente nuovo. La formazione è nata nel 1993 nel Kentucky, il fondatore della band è Ray Craft, chitarrista e cantante, già con Dale Evans, Emma Smith e i giovani Redwing. Gli altri componenti sono John Lewis, banjo, in passato al servizio dei buoni Lost & Found, Gary Brewer & The Kentucky Ramblers e della Timmy Cline Band. A quattordici anni formò una band con gli amici Don Rigsby e John Whitley, nipote del famoso Keith. Shayne Bartley è mandolinista e anche lui, come John Lewis, è stato membro dei Lost & Found, Kentucky Ramblers oltre che della Charlie Sizemore Band. Scottie Sparks, altro chitarrista e cantante, lo si può ascoltare nell’omonimo CD della Doobie Shea Records, è vecchio amico degli altri componenti avendo anch’egli fatto parte del Redwing e del gruppo di Dale Evans. Infine, Jason Hale al contrabbasso, il più giovane, soltanto diciotto anni.
Il debutto discografico degli Unlimited Tradition risale al 1994. Lost In Time il titolo, e venne giudicato ‘highlight’ (qualcosa come ‘fondamentale’) dalla rivista americana Bluegrass Unlimited. “She’s Gone è una pietra miliare” (parole del famoso dj Wayne Rice di San Diego CA, che ha scritto le note) per un palo di buone ragioni, la prima è che è il primo prodotto Doobie Shea di una ‘touring band’, la seconda è perché è stato registrato due volte, a causa dl quel maledetto incendio che ha devastato l’intero edificio dell’etichetta (leggi studi, uffici, magazzino e tutto il resto) un anno dopo soltanto la sua comparsa. Quando si dice sfiga. Pensavo si trattasse di uno dei tanti dischi di ‘contemporary bluegrass’ che da qualche anno a questa parte vengono prodotti con lo stampino, tutti molto simili, belli e grintosi, ben suonati e cantati ma troppo spesso privi di ‘soul’, se non addirittura freddi e asettici. Dischi che, se vogliamo, possono essere paragonati, per concezione, a quelli country made in Nashville degli ultimi tempi. She’s Gone non è così, pur facendo parte di questo nuovo filone, il disco è ‘caldo’, perché le canzoni dal punto dl vista vocale sono interpretate con particolare convinzione e soprattutto partecipazione. Se poi aggiungiamo che tecnicamente i ragazzi si dimostrano portentosi, allora.., viva il contemporary bluegrass.

Alcune canzoni, nel dettaglio la title track, I Ain’t Gonna Cry Anymore, Higher Ground, Bound To Get Burned, Broken Hearted Crying Time Again, e forse altre ancora, potrebbero sembrare a tutti gli effetti uscite dai dischi della Lonesome River ……. sarà forse a causa della mano del produttore? Potete giurano: i ‘colpevoli’ si chiamano Tim Austin e Dan Tyminski, loro si sono occupati della produzione. Lo hanno prodotto esattamente come se fosse un disco della loro ex-band. Scopriremo in futuro, già col prossimo CD se prodotto da qualcun altro, se questo loro lavoro ha parzialmente snaturato la personalità degli Unlimited Tradition. Oddio, somigliare alla Lonesome River Band non deve essere considerato un male, in fondo stiamo parlando della più importante formazione che esegue bluegrass moderno, e chissà quanti gruppi vorrebbero raggiungere un tale livello tecnico, di grinta, gusto e professionalità pari a quello di Ronnie Bowman, Don Rigsby, Sammy Shelor e Kenny Smith.
li brano che in assoluto preferisco è You Should See My Heart, una love song mid-tempo ricca di una linea melodica molto efficace, perfetta nella sua semplicità, più country che bluegrass… che meraviglia dì canzone. Ma belle sono anche le lente Pathway Of Danger di Ronnie Bowman e Little Girl di Ray Craft (ben quattro pezzi sono suoi). Dal lato strumentale, si noterà la fantasia, il timbro e la pulizia del Craft chitarrista, Il mandolino bluesy di Shayne Bartley mentre, sorpresa, al banjo John Lewis lo si ascolta in un solo pezzo (cambio improvviso dl formazione?) perché al 5-string abbiamo Craig ‘prezzemolo’ Smith. Le voci lead sono di Craft e Sparks; più bella, calda e personale quella dl Craft, non a caso nove su tredici le canta lui, ottima però anche quella di Sparks. La debolezza sta nei cori, non perché mal riusciti, al contrario, sono splendidi, ma perché il ruolo di baritone è ricoperto da special guest (Dan Tyminski e Keith Tew). In conclusione, un disco veramente bellissimo, ma fortemente manipolato, staremo a vedere con il loro banjoista, con altri produttori e con un baritono non in prestito cosa potranno offrirci in futuro.

Doobie Shea CD 4001 (Bluegrass Moderno, 1999)

Maurizio Faulisi, fonte Country Store n. 52, 2000

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