Waterboys - Dream Harder cover album

Esce in questi giorni l’ultimo lavoro dei Waterboys, apprezzatissimo gruppo scozzese, che annuncia il cambio di scuderia e sancisce l’affiliazione della band alla Geffen.
Dream Harder è foriero di grandi novità; innanzi tutto è molto chiaro l’abbandono (chissà se definitivo o no) della matrice folklorica a favore di un ammiccamento molto evidente al rock. Mike Scott, leader incontrastato del gruppo, che ha addirittura varcato l’oceano per avere sottomano una tecnologia che lo soddisfacesse nella realizzazione del disco, ha per la verità fatto la spola tra New York e Dublino, visto che il produttore Bill Price (ex Pretender e Pete Townshend) ha pensato bene di dare una svolta che però non disorientasse completamente il pubblico.

Quel che rimane inalterato rispetto al passato è l’uso della voce di Scott, istrionica come sempre e dal timbro inconfondibile, che mantiene un ritmo blando anche se molto intenso. Le chitarre elettriche viaggiano invece su dimensioni abbastanza tirate e la sezione ritmica ha decisamente dato impulso alla sua consistenza; rimane qualche antica reminiscenza come l’uso del cello in Love And Death o il clarinetto greco e il sitar qua e là. Si delinea insomma una rivoluzione indolore, ma decisa che apre nuove prospettive ai Waterboys senza che essi debbano rinnegare nulla del passato. C’è anzi, a ben vedere, una certa logica evolutiva che fa da ponte tra ieri e oggi e che rende più credibile la nuova espressione; è come se un preciso marchio di fabbrica si dilatasse per occupare nuovi spazi senza tuttavia abbandonare gli antichi.

E’ una visione più complessa del mondo circostante che induce a sperimentare attraverso i meandri vastissimi del mondo elettrico. “Il sogno duro” di Mike Scott e dei Waterboys è un viaggio onirico attraverso alcune tematiche scottanti come la salvaguardia della natura, la spiritualità, l’amore e la rivisitazione del mito che vengono trattate in modo insinuante, come, solo, una canzone può permettersi di fare. C’è molto surreale, proprio come accade quando si sogna, e ci si trova nelle situazioni più improbabili con stati d’animo che influenzano poi il risveglio.
Una città come Glastonbury diventa un luogo sacro in virtù dei ricordi dell’autore e il sogno, che filtra tutto ciò che non si vuol ricordare, dà la visione della realtà che si vorrebbe: un’esistenza perfettamente felice (Glastonbury Song). Basta, del resto, dimenticare l’antico dio Pan, protettore di tutte le forme viventi del nostro pianeta, per cominciare ad abusare della natura e ridurre la Terra in condizioni disperate; bisogna dunque ricominciare a sognarlo per riportare alla memoria il rispetto dovuto a chi ci ospita (The Return Of Pan).

C’è poi un sogno che disegna un mondo ideale, senza guerre in cui tutti convivono in pace e che soddisfa tutti gli ideali di fratellanza (Good News) e un ricordo appassionato di un mito musicale dei nostri tempi: Jimi Hendrix, che Scott, troppo giovane per poterlo apprezzare al tempo dei suoi successi, recupera con la fantasia, attraverso i video registrati e sente la sua musica investirlo come una tempesta (The Return Of Jimi Hendrix).
Dopo questo sogno Scott, in piena notte, scriverà le parole del testo e registrerà poi il pezzo proprio agli Electric Lady Studios sotto il murales del grande chitarrista. Si continua ancora con Love And Death ispirato nientemeno che da un testo semisconosciuto del grande poeta irlandese William Yeats, uno dei principali rappresentanti del Rinascimento celtico, da cui hanno già ampiamente tratto musicisti come Van Morrison e Bono. Spiritual City, è poi un sogno su come sarà una città del futuro, quando gli interessi spirituali diventeranno fondamentali per la vita di ciascuno e ne influenzeranno l’andamento molto più di quanto avvenga ora.

Wonders Of Lewis parla delle bellezze di quest’isola della costa nord-orientale della Scozia ricca di storia antica, dove si possono ancora trovare rovine simili a quelle di Stonehenge. Insomma tutto l’album si snoda attraverso visioni al confine tra il reale e il surreale, mantenendo come comune denominatore il sogno, meccanismo fisiologico che permette di debordare attraverso questi due mondi senza creare scompensi interpretativi.
Si tratta certamente di un buon lavoro che sottolinea la creatività di Mike Scott e la sua voglia di esplorare nuove frontiere che si espandono al di là del fittizio muro dello stereotipo musicale.

Roberto Caselli, fonte Hi, Folks! n. 60, 1993

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