Willie Nelson – Teatro cover album

Teatro segna un passo del grande Willie Nelson verso le sonorità rarefatte ed estremamente personali di Daniel Lanois, che produce questo album dando alla musica un aspetto meno tradizionale e più simile a certi dischi di Peter Gabriel, Robbie Robertson o di Time Out Of Mind di Dylan, prodotti dallo stesso Lanois. A mio parere, il paragone più immediato è, però, con Wrecking Ball di Emmylou Harris che Lanois produsse nel 1995, solo 3 anni prima di questo album. Probabilmente è la seconda voce onnipresente della Harris (che in molti casi diventa quasi una prima voce a duettare con Nelson) a creare un legame così forte tra i due album, oppure l’impronta chiara di Lanois nella produzione, tant’è che Teatro fu salutato da molti come un capolavoro all’uscita e, col senno di poi e con decisamente meno enfasi, lo si può considerare ancora un album più che valido.

Tredici canzoni che si avvalgono di un tappeto percussivo di prim’ordine e di musicisti all’epoca ancora poco apprezzati, ma decisamente validi come il pianista Brad Meldhau. Buona parte dei brani sono cover stravolte di brani dello stesso Nelson degli anni antecedenti il disco, soprattutto degli anni ’60. Ci sono anche due cover: l’iniziale Ou Es-Tu Mon Amour? (Where Are You My Love?) di Emile Stern e Henry Le Merchant, eseguito in versione strumentale da Nelson alla chitarra e dal figlio Bobbie al piano e The Maker, scritta da Lanois per il suo album d’esordio Acadie. Personalmente credo che quest’ultimo sia il miglior brano dell’album. Ha una melodia splendida evidenziata dalla voce soave di Nelson e della Harris e dalle percussioni di Cyril Neville dei Neville Brothers.

I brani nuovi sono Everywhere I go, con Lanois alla Les Paul e una base ritmica quasi cubana, These Lonely Nights, che sembra uscita da un disco dei Los Lobos e con un Lanois che gioca a sottrarre suoni più che ad aggiungerli. Gran bel pezzo è anche Somebody Pick Up My Pieces, dall’incedere blues, ma con un arrangiamento moderno e direi decisamente azzeccato. Idem dicasi per I’ve Loved You All Over The World, brano country dannatamente piacevole che si sviluppa come una ballata, ma con due batterie e un lavoro notevole alle percussioni. Chiude il disco e le novità Annie, un brano vagamente sixties con Nelson a far faville con la chitarra acustica.

Il resto di Teatro è già sentito, ma decisamente diverso dal passato. I Never Cared For You risente, un po’ come tutto l’album, del successo di Ry Cooder e dei grandi della musica cubana Buena Vista Social Club (pubblicato appena un anno prima), e si veste di un ritmo decisamente coinvolgente, così come Darkness On The Face Of The Earth con Lanois al basso e My Own Peculiar Way con Brad Meldhau al vibrafono, che però risulta un po’ monocorde. Meglio Home Motel, piano e voce, Meldhau, Nelson e tante emozioni. Per finire un po’ di tradizione in I Just Can’t Let You Say Goodbye, ballatona forse poco originale, ma con un gran solo di Nelson alla chitarra, Three Days, brano semplice ed estivo e I’ve Just Destroyed The World, poco etno e molto, molto country. Outlaw sì, ma non esageriamo.

Island 524548 (Outlaws, Traditional Country, 1998)

Fabrizio Demarie, fonte TLJ, 2005

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