In occasione del 20° anniversario della scomparsa di Elvis Presley, lo scorso Agosto si è tenuta a Memphis la ‘Elvis Week’, con mostre, concerti e iniziative varie, non tutte precisamente di gusto squisito. La stampa italiana specializzata e non, si è occupata abbondantemente, anche se spesso superficialmente, dell’argomento riportando anche la notizia che, in uno dei concerti, alla chitarra ci sarebbe stato il leggendario Scotty Moore.
Schivo e modesto, Scotty sembra non rendersi conto di incarnare un pezzo di storia del country e del rock&roll. In quest’epoca di video didattici per tutti i gusti e livelli, in cui l’informazione è quasi ridondante, è opportuno ricordare che Scotty Moore si è dovuto inventare uno stile partendo da zero, praticamente senza modelli a cui ispirarsi, pur riconoscendo influenze da Barney Kessel e Merle Travis.
Winfield Scott Moore nasce a Gasden, Tennessee, nel 1931. Proprio il fatto di essere tenuto fuori dalla country band di famiglia (il padre e tre fratelli maggiori), gli serve da stimolo per darsi da fare con la chitarra, imbracciata per la prima volta a otto anni.
A sedici anni entra in marina e nel ’52, alla fine del servizio, si sposta a Memphis, per lavorare nella lavanderia dei fratelli. Qui forma un gruppo honky tonk (The Starlight Wranglers) con il cantante Doug Pointdexter ed il contrabbassista Bill Black cominciando a gravitare intorno alla Sun Records di Sam Philis.
Originario dell’Alabama, Philips aveva fondato la sua etichetta per produrre artisti di colore (potete immaginare con quali difficoltá da quelle parti in quegli anni), eppure era alla ricerca di qualcosa di nuovo. Racconta Scotty:”Egli sapeva che c’era un ‘crossover’ in arrivo. Lo prevedeva. Credo che registrare tutti quei cantanti neri gli avesse dato un’illuminazione che non sapeva dove l’avrebbe portato. Eravamo tutti in cerca di qualcosa che non sapevamo cosa fosse. Ci sedevamo al bar dicendoci: Cos’è? Cosa dovremmo fare? Come possiamo farlo?”.
I Wranglers approdarono nel ’54 all’incisione del singolo My Kind Of Carryin’ On in cui sono presenti in maniera impressionante i germi della rivoluzione, con le linee chitarristiche di Scotty giá cosí ‘punchy’, logiche e concise.
Nell’estate di quello stesso anno, visto l’insuccesso del singolo (“Credo che vendette circa 12 copie”) Sam, Scotty e Bill cominciano a registrare con un cantante diciannovenne che da un pó di tempo continuava a bussare alla porta della ‘Sun Records’. “Senza batteria sembrava cosí vuoto ed io cercavo di riempire un pó – ricorda Scotty – ecco perchè usavo il fingerpicking, (piú tardi per quel pattern sui bassi di ‘Houndog’ lo vedremo usare anche il plettro. NDR) tentando di tenere un ritmo piú pesante con il pollice e contemporaneamente di fornire dei ‘fills’ con le altre dita”
Forse questo spiega anche l’uso intensivo dei bicordi nonchè la tecnica di tenere un mezzo barrè fisso con l’indice lavorando sul mi cantino con le altre dita. Il ragazzo si chiamava Elvis Presley (“Elvis, che razza di nome” commentó Scotty) ed i brani erano That’s Alright Mama di Arthur ‘Big boy’ Crudup e Blue Moon Of Kentucky di Bill Monroe.
Poco dopo i Wranglers si sciolsero mentre Scotty e Bill, con l’aggiunta del batterista D.J. Fontana, dettero vita alla band di Elvis. “Ecco una cosa su cui Elvis ed io eravamo d’accordo: Se funziona, lascialo! A volte è il piccolo errore che rende un disco speciale”.
L’anno successivo Philips cede il contratto di Elvis alla RCA per 35.000$ al fine di procurarsi la somma necessaria a promuovere altri artisti (Carl Perkins, Johnny Cash, J.L. Lewis e Roy Orbison), mentre sará lo spregiudicato Colonnello Parker a prendersi cura di Elvis.
Il colonnello fu anche la causa principale dell’abbandono, per motivi economici di Scotty e Bill nel ’58, poco prima che Elvis partisse militare. Scotty se ne va dopo aver lasciato la sua personalissima impronta nei primi successi di Elvis. Oltre che sui brani giá menzionati suonó insieme a Bill su All Shook Up, Too Much, Heartbreak Hotel e Jailhouse Rock.
Subentrerá un altro colosso: James Burton. Scotty metterá da parte la sua Gibson ES-295 (attualmente in mostra all’Elvis Museum di Branson, Missouri) per concentrarsi come produttore e fonico. Possiede un proprio studio a Nashville dal ’65. A parte un televisivo ‘Comeback Special’ nel ’68, lo Scotty Moore chitarrista subisce una netta battuta d’arresto.
“Non ho suonato per 24 anni. Neanche una nota, a parte poche sovraincisioni per qualche amico. Non ho neanche posseduto una chitarra per tanto tempo. Vendetti tutto tranne l’amplificatore (il mitico Ray Butts 50 Watt con Eco a nastro. NDR). Quando qualcuno mi chiedeva se mi mancasse il suonare rispondevo: PerDio no! Sto suonando un’intera band qui alla console. Inoltre non volevo piú avere a che fare con tutta quella merda che era venuta a galla dall’altra parte del business, e volevo stare a casa”.
Nell’89 Keith Richards (grande appassionato di country e rockabilly) risveglia Scotty dal letargo invitandolo insieme a D.J. Fontana (Bill Black era morto da qualche anno, dopo aver formato il Bill Black Combo) a suonare con gli Stones in un concerto a St. Louis.
Scotty e D.J. registrano nello studio di Levon Helm a Woodstock con Richards e la Band, a Nashville con Steve Earle, Joe Ely, i Mavericks, i Jordanaires e molti altri ed infine a Dublino, presso lo studio di Ron Wood, assieme a Jeff Beck, viene praticamente improvvisata quella che sará l’ultima traccia dell’album: Unsung Heroes.
Chi volesse vedersi gli hillibilly cats degli esordi all’opera puó procurarsi il video ‘Elvis ’56’, stampato in Italia. Si tratta di rari spezzoni in bianco e nero dal ’54 al ’56 in cui a clips di concerti si alternano spaccati straordinari dell’America anni ’50.
Sul palco vediamo un Elvis scatenato con le sue mosse sensual-dinoccolate, un Bill Black che si prodiga in numeri d’ogni tipo (“He was the clown of the band”), e uno Scotty quasi immobile che di tanto in tanto si fa scappare un sorrisetto sornione. D.J. è quasi sempre coperto da Elvis. Se Elvis è stato il re, sicuramente il suo primo ministro era Scotty Moore.
P.S. Un annuncio-appello che non c’entra niente ma c’entra col buon gusto e con quello che sto ascoltando mentre scrivo: Offresi lauta ricompensa a chi riesce a cancellarmi la traccia di Bono dal CD ‘Tributo a Jimmie Rodgers’. Non ce lo voglio! Caro Bob, sai che ti ho sempre stimato ma il primo brano con quella voce melensa e quella sezione di archi è proprio bullshit.
Fabio Ragghianti, fonte Country Store n. 39, 1997