Il 2012 non sarà un anno che ricorderemo così volentieri. Per quanto mi sforzi di individuare il lato migliore di ogni cosa, aiutato dall’attitudine di Dr Feelgood nel voler vedere positivo, lo scorso anno tra terremoti, crisi economiche e governi tassaroli, s’è chiuso senza che se ne potesse aver nostalgia. Se a quanto sopra si aggiunge la notizia della scomparsa di un importante musicista o cantante, notizia trasmessa troppe volte durante l’anno, allora al diavolo il 2012.
Johnny Otis è uno dei tanti, ed è poco consolante sapere che ci abbia lasciati a 91 anni, certi geni bisognerebbe trovare il modo di renderli eterni. E lui era un genio, un artista completo, dalle mille risorse, eclettico come pochi altri nella storia della musica moderna. Produttore discografico, bandleader, arrangiatore, autore, compositore, disc jockey, talent scout, e polistrumentista, a suo agio con vibrafono, batteria, chitarra e pianoforte. Ad un certo punto della sua carriera cominciarono a chiamarlo il “Padrino del Rhythm’n’Blues” tale era l’estensione della sua attività.
Figlio di immigrati greci (il suo vero nome era John Veliotes), nacque e visse in California, precisamente a Berkeley, dove suo padre aveva una drogheria all’interno di un quartiere abitato principalmente da neri. Otis crebbe con amici afroamericani, imparò ad apprezzare la loro musica a tal punto da farla propria, a tal punto dal sentirsi uno di loro. Dopo aver fatto parte giovanissimo di svariate band, nel 1945, a soli 24 anni, fondò la sua orchestra, che vedeva la partecipazione tra gli altri di due nomi che sarebbe passati alla storia, Wynonie Harris e Charles Brown, e accompagnò il già famoso Jimmy Rushing. Tre anni più tardi, con l’apertura di un locale il cui nome era già tutto un programma, The Barrelhouse Club, cominciava la sua lunghissima carriera di promoter. In quel locale cantarono e suonarono tutti i più grandi artisti del tempo e giovani che lo sarebbero diventati, Esther Phillips, l’embrione dei Coasters, Mel Walker e Big Jay McNeely solo per citare i primi. Nel frattempo, siamo nella prima metà degli anni ’50, la sua carriera di musicista proseguiva parallelamente a quella di talent scout e promoter, tra le varie importanti produzioni quella di Pledging My Love di Johnny Ace, nr 1 di Billboard nel 1955. Ma alla prima posizione della classifica vi giunse già qualche tempo prima, con Little Esther e Mel Walker.
A partire dal 1945, il numero delle incisioni a suo nome o con altrui orchestre, andò crescendo di anno in anno, registrò per la Savoy Records, la Mercury e altre etichette, fino ad approdare alla Capitol di Los Angeles dove produsse alcune delle sue più importanti canzoni, su tutte Willie And The Hand Jive nel 1958, brano che riscosse un successo clamoroso.
Sarebbe bastata la sua attività di artista per ritagliarsi un capitolo a parte nella storia del Rhythm’n’Blues e del Rock & Roll, ma Otis è ricordato soprattutto come talent scout, avendo scoperto artisti di meraviglioso talento quali Etta James, Jackie Wilson, Hank Ballard e Little Willie John.
Il suo nome è nella Rhythm’n’Blues Hall of Fame e nella Rock and Roll Hall of Fame. Per approfondirne la conoscenza, vi invito a leggere il libro di George Lipsitz Midnight At The Barrelhouse e all’acquisto di The Johnny Otis Story Vol 1 e 2, editi dall’inglese Ace Records.
Maurizio Faulisi, fonte Chop & Roll n. 6, 2013