Nashville

Le cose più belle sono quelle che si aspettano, preparano e sognano per tanto tempo. La bellezza di un viaggio risiede nei preparativi che precedono la partenza : lo studio del tragitto e dei luoghi da visitare. Ci si incanta a pensare ad un posto, a come potrebbe essere, a chi si potrebbe incontrare, a cosa si potrebbe trovare. Prima di partire si pensa già a come raccontare la vacanza e in fondo al cuore si spera sempre che i nostri sogni non vengano mai traditi.
Così è successo a me quest’estate.
Per tanti anni ho provato a immaginare a come poteva essere Nashville con il Grand Ole Opry, il Ryman Auditorium, la Country Music Hall Of Fame. Pensavo a cosa avrei provato a camminare sul palco dove decenni prima si erano esibiti Hank Williams , Patsy Cline, Elvis Presley. Pensavo a come doveva essere bello il negozio di Ernest Tubb interamente dedicato alla musica country, pensavo all’emozione di una sera al Grand Ole Opry. Quest’anno ho finalmente smesso di sognare e all alone mi sono diretta verso Music City U.S.A.

E’ stato il viaggio della mia vita in cui mi sono sentita parte di ciò che ho sognato e immaginato per anni. Sapendo di poter trascorrere una sola settimana a Nashville ho fatto in modo che la mia visita comprendesse ogni luogo degno di nota, sacrificando volentieri le ore di sonno.
La mia prima tappa non poteva che essere il Ryman Auditorium casa del Grand Ole Opry dal 1943 al 1974. Mi è quasi sembrato di entrare nella macchina del tempo. Aprendo la porta del teatro mi sono ritrovata nel bel mezzo di un’esibizione di Minnie Pearle: quell’esile donnino incorniciata in un grazioso vestito rosa pizzettato saluta la folla con il classicissimo Howdy!
Una frazione di secondo e tutto scompare, sul palco i turisti sono in coda per le foto di rito. Siamo ritornati ai giorni nostri ma nell’aria aleggia un profumo di antico: l’odore delle vecchie panche di legno, il parquet consumato e scricchiolante mi ricordano che accanto a me passeggiano le grandi voci. Esco dal teatro e la calura opprimente del profondo sud mi avvolge con violenza facendomi rimpiangere l’estate rovente della mia Valle Stura.
Mi dirigo ora alla Country Music Hall of Fame un enorme complesso costato 37 milioni di dollari che racchiude il più fornito archivio musicale: più di 10,000 pezzi tra vinile cd e libri, il paradiso per ogni appassionato. Qui le ore trascorrono come minuti e in men che non si dica mi ritrovo a pomeriggio inoltrato. Resto incantata dalla quantità di materiale racchiuso nel grande palazzo costruito a forma di pianoforte. Non riesco a credere che tutto quello che io ho faticosamente cercato e comprato tramite minuziose e lunghe ricerche attraverso lettere, fax e e-mail, qui lo si può ottenere in un quarto d’ora!

La serata va conclusa in bellezza e quindi mi dirigo tutta scoppiettante verso il WildHorse Saloon: sono ansiosa di ballare sulla pista più grande d’America. Una mano nerboruta però mi ferma: un buttafuori si rifiuta di farmi entrare: i ragazzi sotto i 21 anni se non accompagnati dai genitori, non possono entrare nei locali dove si servono alcolici dopo le nove di sera.
Ventun’anni??? Ma io ho ventinove anni! Scoppia la risata e con gentilezza mi invita ad uscire. Dopo avergli puntato il passaporto sul naso chiama a raccolta i suoi amici. Increduli mi osservano: “Non puoi avere ventinove anni!”. Basta, con fare deciso mi dirigo verso l’entrata e finalmente mi faccio rapire dalle melodiose note di Brooks & Dunn.
E’ fatta, andiamo a ballare. Il cowboy(davvero notevole) che è un misto tra Ricky Martin versione country e un ballerino di Full Monty, riesce a destreggiarsi tra una trentina di imbranati (compresa la sottoscritta) che caracollano a destra e a sinistra scontrandosi ogni tre passi. Alla fine però riusciamo a concludere la serata abbozzando un’intera sequenza. Che giornata!
Il mattino dopo mi alzo di buon ora, è la giornata ideale per un giro in campagna. Mi aggrego ad un gruppo in partenza per l’Hermitage residenza del presidente Andrew Jackson. Durante il viaggio l’autista, copia sputata di Charlie Daniels, pubblicizza il suo cd e alla fine la curiosità ha la meglio su di me. Dopo una breve chiacchierata Charlie mi vende il suo lavoro che non è poi così male.
Eccomi di nuovo nella macchina del tempo: sono diventata un personaggio dell’800, mi aggiro per la piantagione di cotone, il sole è ormai alto e gli schiavi sono chinati nei campi: il loro lavoro è scandito dalle lente noti gospel, l’atmosfera è carica di storia. Entro in casa e l’aria condizionata mi riporta al ventunesimo secolo. Le camere perfettamente ricostruite ripropongono scene di vita quotidiana.

Nel tardo pomeriggio rientro in città perché stasera è la grande sera, stasera è Grand Ole Opry! Il programma mi offre Connie Smith, i Gibson Brothers, Mike Snider, Jack Greene e Patty Loveless. Si alza il sipario, ecco che in uno sfavillante abito color prugna, Porter Wagoner ci accoglie con un gran sorriso. Lo spettacolo ha inizio. I Gibson Brothers incantano il pubblico con la loro maestria. Non avevo mai ascoltato una bluegrass band dal vivo e ho ancora la pelle d’oca adesso. La serata procede con continuità tra le battute di Little Jimmie Dickens (complimenti per i suoi 80 anni egregiamente portati) e i commenti ironici di Mike Snider. Verso la fine compare Patty Loveless che presenta il suo nuovo singolo in uscita in questi giorni. Lo spettacolo è ormai terminato ma di ciò non mi preoccupo: l’indomani sarò di nuovo lì per assistere alla cerimonia che introdurrà Trace Adkins nella grande famiglia del Grand Ole Opry.
Di buon mattino mi reco sulla Broadway per gli acquisti. Entro nel negozio di Ernest Tubb e faccio man bassa. In pochi minuti ho tra le mani le ultimissime novità e la cosa più bella è che non ho fatto nessuna fatica.
Dopo tanto lavoro mi concedo una pausa da Tootsie, il locale storico dove Terri Clark ha mosso i primi passi e dove più volte sono passati Patsi Cline, Willie Nelson, Kris Kristofferson.
Visto che sono nelle vicinanze entro nel locale Legends Corner da cui proviene una musica niente male. Il ragazzo che si sta esibendo sul palco, Stuart Duncan, ci sa fare. Durante una pausa mi avvicino e scambiamo qualche parola: è originario di Chicago e, come mi fa notare, a Nashville la maggior parte degli abitanti proviene da altri stati. Ormai non si trova quasi più nessuno nato in città!

Al calar del sole mi dirigo al Grand Ole Opry. Stasera l’affluenza è notevole; le orde di ragazzine, equipaggiate di fiori e orsacchiotti da lanciare a Trace, sono cariche e lo si nota dai loro urletti isterici. Il programma è ricco di ospiti. Jean Shepard, Osborne Brothers, John Conlee, Jimmie Newman, Lorrie Morgan, e Ronnie Milsap che ha l’onore di premiare Trace Adkins. Eccolo che entra in tutta la sua possanza: un gigante racchiuso in un vestito color senape e lo sguardo coperto dal solito cappellone nero.
Le ragazzine impazziscono, una pioggia di flash lo investe. Commosso chiama a sè la sua famiglia trepidante che da dietro le quinte aspettava con ansia questo momento. Le sue quattro figlie e la sua terza moglie lo circondano di abbracci. Superata la commozione, Trace ci regala il suo ultimo singolo Then They Do e una strabiliante Chrome. Che momento!
Al termine corro al Texas Troubadour Theatre per il Midnite Jamboree. A mezzanotte in punto ha inizio lo spettacolo ricco di buona musica presentata da discreti artisti emergenti e non.
L’indomani faccio ritorno al Texas Torubadour Theatre per assistere alla funzione religiosa nella Cowboy Church. Essendo l’unica italiana vengo subito notata e invitata dal pastore a salutare gli ascoltatori alla radio, dopo di che viene innalzata una lode al Signore che ha fatto venire Gloria da così lontano (that’s America). Durante il sermone intervengono diversi cantanti di Christian Country Music (alcuni bisogna ammetterlo sono terribili) tra cui la sorella di Johnny Cash nonché moglie del pastore.

Dedico il pomeriggio a esplorare le sontuose ville delle Big Stars: Alan Jackson, Brooks & Dunn, Martina McBride, Tim McGraw e la blindatissima residenza di Kenny Chesney (a questo punto le ragazze sull’autobus impazziscono, per altro senza ragione in quanto il nostro eroe si trova in tournèe). Quando ci troviamo davanti alla villa di Alan Jackson siamo tutti attraversati da un fremito: la porta si apre, un’ombra compare lontano, restiamo con il fiato sospeso e gli occhi sgranati ma… nulla, una cameriera spunta velocemente per poi rientrare subito in casa. Peccato, per un momento …
Trascorro la giornata successiva lungo il Cumberland River sul battello General Jackson dove la musica è davvero di alta qualità grazie all’abilissimo violinista Tim Watson che propone una versione da favola del brano The Devil Went Down To Georgia. Appoggiata al parapetto del battello guardo lo skyline di Nashville scorrermi dolcemente davanti e penso a quanto sono fortunata: grazie alla mia passione per la musica country ho potuto visitare posti splendidi e conoscere persone indimenticabili (come il simpaticissimo commesso del negozio di Ernest Tubb che mi ricorda tanto il tipico vecchietto del West).
Sono giunta all’ultimo giorno: The Young Lady From Italy (cosi mi chiamava l’autista dell’autobus che ogni giorno mi portava in centro ) deve fare ritorno a casa. Con lo sguardo cerco di rapire più che posso del paesaggio attorno a me: il Profondo Sud, la terra dei miei sogni che sono diventati realtà.

Ormai sono seduta sull’aereo: accanto a me si siede un cotonatissimo ragazzo afro-americano (assomiglia da morire a Doctor J, asso del basket dalla folta capigliatura in voga negli anni ’80). Anche lui è diretto in Italia, a Napoli. Deve fare ritorno alla base militare in cui è di stanza. Entrambi siamo tristi: non abbiamo voglia di rientrare; guardiamo silenziosi il paesaggio che scorre ai trecento chilometri orari. Siamo partiti.
Ovada in fondo non è poi così male…ma Nashville è tutta un’altra musica…e che musica!

Gloria Tubino, fonte Country Store n. 70, 2003

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