La versione del gospel di Leo Welch, classe 1932 e un’energia da far impallidire anche la più feroce delle rock’n’roll band, evoca un mondo e un’atmosfera in cui la fede ha un ruolo concreto nel definire una forma di speranza e insieme un’ideale di bellezza. L’aspetto sorprendente non è tanto che Leo Welch senza essersi mai allontanato dalla terra del suo lavoro quotidiano sia riuscito a conservare uno spirito indomito e autentico. Sì, è anche quello, perché c’è sempre una storia, un segreto, un mistero dietro l’apparenza dell’immobilità, che è il vero scopo di ogni artista. Restando fermo lì, nel mezzo del Mississippi, Leo Welch ha coltivato qualcosa che sta proprio tra il sacro e il profano, tra l’invocazione e la provocazione, tra la preghiera e il boogie, tra la nitro e la glicerina e si sa mettendoli insieme diventano quello che si sente in Sabougla Voices. Trattandosi di argomenti con un peso specifico non relativo, vale la pena attingere da un romanzo, molto ‘gospel’, Gridalo Forte (Amos Edizioni) di James Baldwin per cogliere il tono delle Sabougla Voices: «Gli uomini hanno parlato di come il cuore si spezza, ma non hanno mai parlato di come l’anima resta sospesa, muta, nella pausa, nel vuoto terrificante tra la vita e la morte; di come, strappati e gettati via tutti gli abiti, l’anima entra nuda nella bocca dell’inferno».
Quell’idea di spogliarsi e di svelarsi è stata colta alla perfezione da Bruce Watson, il patron della Big Legal Mess, che ha prodotto Sabougla Voices, che ha messo a disposizione l’essenziale, ovvero quello che serve: Jimbo Mathus alla chitarra, Eric Carlton al piano e all’organo, Andrew Bryant alla batteria e Matt Patton al basso. Tutti insieme, Leo Welch compreso, forniscono alle canzoni una struttura ritmica scheletrica, ipnotica e corrosiva che non si fa tanti problemi a sconfinare nel rock’n’roll puro e semplice, trasformando You Can’t Hurry God in una specie di pericoloso incrocio tra Chuck Berry e Jerry Lee Lewis o suonando Somebody Touched Me come se i Fairfield Four avessero rubato le chitarre dei North Mississippi Allstars. I contrasti sono voluti e cercati perché rappresentano lo spirito con cui cantano queste Sabougla Voices fino in fondo, fino alla fine, dove Leo Welch mette da parte la gran macchina ritmica guidata da Jimbo Mathus e si accosta con la sola chitarra acustica a The Lord Will Make A Way, che di sicuro non gli sarà sfuggita, nei suoi ascolti radiofonici notturni, nell’interpretazione di Al Green, anno di grazia 1980. Il paradosso è che trasforma l’elevata condizione di quel gospel nel più crudo e spudorato dei blues. Sincero, spiazzante e, quindi, genuino.
Praise His Name / You Can’t Hurry God / Me And My Lord / Boogie / Take Care Of Me Lord / Mother Loves Her Children / Praying Time / Somebody Touched Me / A Long Journey / Shimmy / My Babe / Granny, Does Your Dog Bite / World Boogie / Goin’ To Brownsville / His Holy Name / The Lord Will Make A Way.
Big Legal Mess 0287 (USA) (Blues, Gospel, 2013)
Marco Denti, fonte Il Blues n. 126, 2014