Bela Fleck, l’enfant terrible del banjo 5 corde, era poco piú che ventenne quando incise – nel 1982 – questo Natural Bridge.
Capelli a caschetto, giacca di velluto marrone, il vecchio Gibson abbracciato a mó di chitarra elettrica, il musicista sembra uscire dalla copertina di un disco di Jeff Beck (gli assomiglia pure): l’accostamento non suoni incongruo, essendo stati entrambi due rivoluzionari sperimentatori nei rispettivi strumenti.
Per l’occasione, il giovane Fleck – ancora non entrato a far parte dei New Grass Revival – riuní il meglio della scena acustica di Nashville e San Francisco, e dalle session uscí un disco rivelatore: magari acerbo in certe sue digressioni piú jazzistiche, ma denso di quel talento compositivo che sarebbe esploso nei successivi lavori (fino alla recente doppietta Tales From The Acoustic Planet).
Del resto, sulle note di copertina, David Grisman plaude giá allora alla cultura musicale che traspare dai brani, tutti e undici firmati dal titolare del disco.
Una vera e propria ‘musical vision’, che intreccia virtuosismi bluegrass e sottolineature classiche, atmosfere swing e cadenze liriche, secondo un gusto melodico che rende i dischi di Fleck immediatamente riascoltabili.
Piú di Tony Trischka, piú di Bill Keith, piú del maestro Earl Scruggs, Fleck s’è dimostrato nel tempo un innovatore puro.
Non meraviglia che anni dopo, a capo dei Fleckstone, abbia ricevuto un Grammy, e che la Warner se lo coccoli come un fiore all’occhiello: dovunque lo metti – con Chick Corea o con Tony Rice – Fleck porta uno stile personale, riconoscibile, un sapore unico.
In Natural Bridge (titolo che suona quasi un manifesto programmatico) il banjoista newyorkese allinea almeno cinque piccoli capolavori con l’aiuto di gente come Jerry Douglas al dobro, Mark O’Connor alla chitarra, Darol Anger al violino e Mark Schatz al contrabbasso. Punchdrunk è un grintoso bluegrass pieno di variazioni, Bitter Gap gioca con gli accordi minori, Daybreak un albeggiante duetto banjo-dobro, Applebutter un reel per chitarra, ma soprattutto resta Old Hickory Waltz: un valzer soave e trasognato, scritto per Jerry Douglas, dal quale emerge un acquietato senso dell’esistenza.
Rounder 0146 (Bluegrass Tradizionale, Bluegrass Progressivo, 2000)
Michele Anselmi, fonte Country Store n. 53, 2000
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