Prima di tutto bisogna precisare un punto: siamo di fronte ad un doppio CD, che raccoglie performances lontana fra loro qualcosa come tredici anni.
Road To Indio è infatti la ristampa – molto sospirata, invero – del primo e mitizzato mini-CD (solo sette pezzi) di Chris Gaffney, mentre Live And Then Some è la registrazione di un formidabile concerto tenuto dal nostro allo Swallows Inn di San Juan Capistrano, CA alla fine del Marzo 1999.
Se il primo dischetto è fortemente country-oriented, pur nei suoi diversi filoni: texmex per Road To Indio, White Girl e Still A Few Months e country per A Bridge Too Far, Alcoholidays e Don’t Let Love Tear Apart, il secondo è la cronaca reale di una serata di altissimo livello, dove si rispolvera tutta la cultura del roots-rock, Americana e Rock (con la R maiuscola, mi raccomando) in generale, andando addirittura a scomodare il grande Joe Ely, la cui Are You Listening Lucky viene offerta in chiave hard-rock, in medley con la Highway Star di Deeppurpleiana memoria (!).
Apre la serata una versione di Six Nights A Week (scritta con Dave Alvin e compresa nel CD Mi Vida Loca di Gaffney) che sfoggia una voce nasale, quasi annoiata.
Il passo aumenta nel corso della performance e le potenzialità della serata cominciano a trovare conferma nel coinvolgente conjunto di Frankie’s Tavern, (Chris Gaffney-Wyman Reese) in cui l’accordion dello stesso Chris si anima di vita propria.
Originariamente compresa nel CD datato 1990 inciso con la sua band dell’epoca, gli Hard Facts, la song mostra di avere ancora grinta e vitalità da vendere.
Fight (Tonight’s The Night) è la terza volta che viene riproposta, due delle quali in versione live, considerando anche il semi-ufficiale Man Of Somebody’s Dreams, edito per l’etichetta svizzera Country Records. Si tratta di un rock lineare ed immediatamente fruibile.
Altrettanto si potrebbe dire per la disimpegnata country song Fade To Grey, dedicata ad una donna che vede la sua giovinezza svanire in attesa dell’uomo della sua vita, quasi che quella sua stessa vita fosse un film in bianco e nero: “you’re no longer black & white, you turn to grey…”.
C’mon Joe è un inedito brano country dall’andamento caratteristico delle narrazioni del Gaffney migliore.
Albuquerque non manca di rocckare al punto giusto e la band comincia ad entrare in maniera importante nell’economia della serata.
Grande entrata dell’onnipresente amico di vecchia data Wyman Reese all’organo, che lascia il posto alla solista elettrica di Danny Ott. Il catalogo del cantautorato ‘giusto’ texano ben si presta a fornire materiale da eseguire live ed è così che il classico di Jimmie Dale Gilmore (ricordate quando lui, Butch Hancock e Joe Ely si facevano chiamare Flatlanders?) Dallas viene riproposto in versione dilatata, con umori che trascendo i confini del country e del rock.
Waltz For Minnie rivede la luce, dopo essere stato compreso nel succitato Mi Vida Loca ed a seguito di una fugace apparizione sul CD elvetico di cui sopra (dove era inclusa come bonus track) e si gioca la propria credibilità sul tempo morbido del ¾, accompagnato dalla languida steel di Gary Brandin, già alla corte di Heather Myles.
Every Now And Then mi risulta inedita e ben si presta ad essere ampliata a mo’ di jam session davanti ad un pubblico che giustamente mostra il suo gradimento, con la fisa di Gaffney ben in palla.
Il fatto che Gaffney ed i suoi riescano a mescolare con disinvoltura una song di Joe Ely (Are You Listenin’ Lucky) con uno scatenato brano dei Deep Purple (Highway Star) la dice lunga sulla versatilità dei nostri.
La sfida ha davvero successo ed alla fine il pubblico si unisce in un’ovazione corale.
In tema di stranezze, ecco Gaffney che va a scomodare addirittura il grande Louis Prima e la sua Buonasera Signorina, che viene rivisitata completamente, almeno nella seconda parte del brano, come se volesse dire: “Adesso ve la rifaccio swing come dico io!”.
Ancora dal repertorio a firma Dave Alvin (e Billy Swan, in questo caso) esce East Of Houston, West Of Baton Rouge, una ballata mossa che Chris aveva già compreso nel suo Loser’s Paradise del 1995. Ben strutturata ed adatta all’esibizione on stage, si snoda fra una steel estremamente fluida e sinuosa ed un uso sapiente del washboard (R.J.Simensen).
King Of The Blues riemerge dal lontano 1990 (solito CD) e la pedal steel che era stata all’epoca appannaggio di Rick Shea, ubbidisce ora docilmente al tocco di Doug Livingston. Shuffle rallentato per un brano decisamente interlocutorio, mentre The Lord Knows I’m Drinkin’ è una cover di un vecchio hit di Cal Smith: tipico tempo ol’ country ed esecuzione scolastica, che ben poco aggiunge al peso specifico di questo CD, che gode di momenti ben più alti.
’68 chiude la partita con sonorità rock mutuate dal solito Mi Vida Loca. Tipico brano epidermico, giocato sulla chitarra elettrica e dalle due belle voci che cantano all’unisono.
Al di là del valore storico della ristampa di Road To Indio, la registrazione live di Gaffney & Band dà un’esatta misura dell’impatto sonoro di un gruppo ben amalgamato che rilegge rock e country (in senso molto lato) con un’omogeneità degna dei grandi. Ma perbacco, CHRIS GAFFNEY E’ UN GRANDE…
Tres Pescadores TPCD1 (Singer Songwriter, 2000)
Dino Della Casa, fonte Country Store n. 53, 2000