Una dura estate questa, per gli appassionati di buona musica. Passata a scansare le decine di festivals assistiti dagli enti pubblici organizzati dalle solite Associazioni che si accaparrano i contributi grazie ai rapporti politici con gli Assessori ed ai cartelloni inflazionati di musiche ‘altre’, spesso indefinibili, quasi sempre mal cantate (chi potrà togliermi il dubbio che il rap sia più accessibile a chi per esempio non sa cantare o che la maggior parte dei gruppi italiani cosiddetti ‘indipendenti’ non sappia suonare?).
Chi ha voluto ascoltare buona musica di richiamo internazionale insomma ha trovato pochi buoni nomi se non in qualche programma di blues (avete visto Jimmy Vaughan?), di jazz o estemporaneo (vedi la sorpresa di un Billy Joe Shaver a Sesto Calende).
Per il country, l’esordiente Lola Cagle ha suonato il 21 Giugno a Milano per 600 persone in una rassegna pubblicizzata solo per vie interne dalla Bluegrass & Country Music Association of Italy mentre a Grindelwald (Svizzera), solo una settimana prima, alcuni fedelissimi fans italiani erano riusciti ad assistere ai concerti di Alison Krauss & Union Station e di Foster & Loyd inaspettatamente quanto occasionalmente riuniti.
A chiusura dell’estate, chi dedica parte della sua esistenza a rincorrere le poche occasioni di ascoltare in concerto nomi cari alle proprie orecchie, può sempre trovare un buon premio di consolazione nella deliziosa Gstaad, nei giorni 12 e 13 Settembre. Marcel Bach rinnova l’imperdibile appuntamento della Country Night con un cartellone come sempre interessante, ma soprattutto unico: quest’anno le spotlights dell’ormai familiare Palatenda da 3.000 posti si punteranno per la prima volta in Europa su Billy Ray Cyrus, Emilio, Paul Brandt e sul grande ritorno di Kathy Mattea.
E’ un cartellone curioso ed intrigante sia per la diversità degli stili rappresentati che per le aspettative (o diffidenze) che suscitano i primi tre. Il popolo italiano del country, infatti, costretto da sempre a muoversi in condizioni di semiclandestinità, per una sorta di atteggiamento autodifensivo è portato allo snobismo discreto di chi tiene alle forme, di chi sa di intendersene e guarda perciò con più cautela di quello svizzero, per esempio a Billy Ray, colpevole di aver contrabbandato per country music nel 1992 quell’Achy Breaky Heart così piattamente easy rock e di averne oltretutto vendute milioni di copie con il relativo album Some Gave All.
Che si trattasse di grazia occasionale è stato chiarito dalle vicende commerciali dei suoi tre lavori seguenti (It Won’t Be The Last, 1993 – Storm In The Heartland, 1994 – Trail Of Tears, 1995) ma non bisogna dimenticare che buona parte del limitato successo di quelli é da addebitare a quegli ambienti discografici di Nashville che vollero approfittare a dismisura del momento d’oro del country, allora in pieno dispiegamento di nuove proposte.
Diciamolo pure, non che il nostro non sia bravo: il problema è forse proprio quello stare lì a metà strada, con un repertorio che è andato col tempo a posizionarsi cautamente più sul country, con una voce più adatta al rock ed un look ibrido, tra il ruvido urbano ed il redneck.
Malgrado gli alti e bassi, la sua carriera non ha comunque mai conosciuto soste e Billy Ray si è conquistato fans ed una stabile nicchia di mercato. Sarà sicuramente interessante verificarlo in concerto, visto che i pareri sono discordi.
Emilio e Paul Brandt sono relativamente agli esordi ma entrambi hanno già un ottimo lavoro ed ottime referenze alle spalle.
Il primo è accreditato come il miglior rappresentante a Nashville della comunità ispanica del Texas e di quella affascinante mistura musicale di confine (col Messico) che si usa definire ‘Tejana’ adattata ai gusti del più ampio pubblico ‘mainstream country’. Naturale erede di Johnny Rodriguez, Emilio ha vinto numerosi premi e ha contato molte nominations della Tejano Music Association per i suoi primi quattro album ed ha un CD che segna il debutto country, Life Is Good del 1995.
Dall’estremo opposto del continente, dal Canada, viene Paul Brandt, cantautore esordiente di 24 anni. Dall’anno scorso è il maggior successo di vendite country negli USA con il CD Calm Before The Storm da cui è tratto il single My Heart Has A History, Song of the Year 1996 della Canadian Country Music Association. Negli USA ha avuto grande successo con altri due bei brani romantici tratti dallo stesso CD, I Do e I Meant To Do That ed é nominato per l’Horizon Award 1997.
E’ senz’altro uno da ascoltare: ha un repertorio piacevolissimo ed una morbida voce baritonale adatta sia ai momenti romantici che ai brani rock-oriented.
A fare da headliner infine, la graziosa Kathy Mattea, due volte Female Vocalist of the Year (1989 e 1990) per la CMA, 11 top-selling album nella sua carriera i cui inizi risalgono al 1984.
E’ senza dubbio la star di questa edizione della Country Night, una presenza di gran classe a testimonianza del prevalere comunque della bravura sui meriti commerciali. Originaria del West Virginia, Kathy approda alla country music professionale dopo esperienze di folk, bluegrass e musica celtica ed é una delle prime stars di Nashville ad occuparsi attivamente di lotta all’AIDS e a promuovere iniziative per la raccolta di fondi. Il suo ultimo CD Love Travels è ovviamente nominato per gli Awards 1997.
Come al solito la Country Night promette musica fino a tarda notte secondo la tradizione che vuole i musicisti partecipare dopo il Festival, in via informale, ai concerti del saloon collegato al Palatenda, e prevede altri momenti di entertainment come il raduno di Harley Davidson con relativa gara di bellezza delle moto, la parata della domenica mattina nelle vie della città e altra musica nel saloon.
Fabrizio Salmoni, fonte Country Store n. 38, 1997