Venerdì 26 e sabato 27 maggio 2000 la famosa cittadina svizzera di Locarno, affacciata sul Lago Maggiore nel Canton Ticino, ha ospitato, in Piazza Grande, la rassegna ‘Back Home Again – American Music Festival’.
La manifestazione ha visto la partecipazione di musicisti per lo più americani, tra cui la travolgente Rosie Flores e il raffinato Greg Trooper, affiancati da qualche svizzero e da un’ottima formazione francese: The Road Riders.
Il festival, che si svolge ogni anno a Locarno, non è di impronta propriamente country, ma abbraccia la musica tradizionale americana e le sue evoluzioni nei diversi generi da cui il nuovo continente è caratterizzato: blues, country, folk, rock, con rari accenni al bluegrass.
Nella serata di sabato 27 il sottoscritto si è recato a Locarno al solo scopo di godersi l’esibizione di Rosie Flores, in quanto, non disponendo di un programma, ignaro della presenza di altri artisti.
Meteorologicamente l’accoglienza in Piazza Grande è stata sconfortante per gli avventori al festival, un po’ meno per i fiori e gli arbusti delle fioriere, che della pioggia fanno una ragione di vita. Il concerto, da programma, sarebbe dovuto iniziare alle 20:00, ma, dato che alle 19:50 nessuno ancora faceva capolino né sul palco, né sul selciato, abbiamo dirottato le nostre membra stanche in una delle innumerevoli pizzerie che affollano i portici della Piazza.
Intorno alle 20:15 i rudi suoni di un lento blues elettrico ci hanno segnalato l’inizio del concerto. Consumato un caffè svizzero (?), ci siamo diretti verso il palco cercando di evitare le 8 o 9 persone che, infreddolite e sotto l’ombrello, si accalcavano sulla piazza davanti al nashvilliano Bleu Jackson, affiancato dagli svizzeri Donkey Biters.
Bleu, ‘The Tennessee Blues Traveler’, è un rude bluesman bianco dalla voce rauca e graffiante, autore di brani per artisti della portata di Johnny Winter, la cui unica sfortuna è stata quella di esibirsi per mezz’ora davanti a qualche ombrello colorato e ad alcuni bambini che giocavano a ‘ce l’hai sui muretti’.
Ecco alle 21:00 salire sul palco Michael e Dyann Woody, in arte The Woodys, anche loro da Nashville, due voci e due chitarre, un duo compatto ma leggermente impersonale. Il loro è un repertorio folk-country acustico semplice ed efficace, privo di azzardi e virtuosismi, sia vocali che strumentali, ma proprio per questo la loro esibizione corre il rischio di essere monotona.
E’ anche vero che il produttore Brian Ahern, per intenderci quello di Emmylou Harris, Ricky Skaggs, George Jones and others, è stato talmente colpito dal loro primo album da paragonarli agli Everly Brothers, e permettendo loro di ospitare la stessa Emmylou Harris in un brano contenuto nel loro ultimo CD.
Dopo mezz’ora Piazza Grande ha cominciato a riempirsi, anche se continuava a piovere, e i Woodys hanno lasciato il palco ai francesi The Road Riders, formazione alsaziana veramente notevole che ci ha colpiti direttamente al sistema nervoso, proponendo molto efficacemente brani di new country e country, passando da Mary Chapin Carpenter a Garth Brooks, senza tralasciare brani strumentali d’effetto e ben studiati.
Accattivante è stata la bionda Linda Jacob, poco più che ventenne, cantante del gruppo, che ha conferito al repertorio della band una personalissima impronta calda e compatta. The Road Riders, capeggiati dal polistrumentista Jean-Marc Bouton (pedal-steel, fisarmonica, dobro e chitarra), sono reduci da una tournée negli Stati Uniti, con gran finale a Nashville, ed hanno manifestato una travolgente simpatia e gioia di suonare, non mancando di offrire divertenti momenti di cabaret e di balletti pseudo-sicronizzati. (Consiglio: se vi capita, andate a sentirli!).
All’alba delle 23:30, nonostante l’intensificarsi della pioggia, la piazza era gremita, in attesa della comparsa dell’ospite per eccellenza, quand’ecco farsi largo sul palco la affascinante Rosie Flores, cinquantenne texana (ma ne dimostra meno), vera furia del rockabilly, grintosa e aggraziata nel contempo.
All’interno di una band compatta, il chitarrista Duane Jarvis ci ha regalato very licks rock’n’roll con la sua strepitosa Telecaster, dialogando in più occasioni con i riff rockabilly che si sprigionavano dalle dita della texana.
La voce di Rosie è diretta e morbida, gioviale e ben si accavalla con gli assoli efficaci e maturi che entrambi sanno donare. Non siamo di fronte a manifestazioni virtuosistiche, come potrebbero apparire The Road Riders, ma a persone esperte e mature, che hanno la musica nel sangue e che sanno calibrare con destrezza ogni apporto al brano eseguito.
Già alla fine del primo brano Rosie Flores ha sollecitato l’organizzazione affinché le portassero una grappa, per sciogliere la voce, affermando, in seguito, con il bicchiere alla mano e rivolto al pubblico: “Grappa!! The juice of the Gods!!”, ottenendo approvazione e consenso da un nutrito gruppo di svizzeri alticci.
A metà concerto urla rade si levavano dal pubblico: “Una grappa per Rosie!”, ed ecco comparire sul palco altre quattro grappe, una per ognuno degli artisti sul palco. Rosie ha manifestato la sua grinta cantando e suonando la chitarra, saltellando con i suoi stivali di color verde acqua, in perfetto abbinamento alla chitarra rockabilly e richiamando con l’immaginazione sul palco personaggi quali Wanda Jackson, Buck Owens, Carl Perkins, Eddie Cochran e anche Patsy Cline.
Il bassista, sosia di Tommy Lee Jones e reduce dei Lonesome Stranger, ha consolidato tutti i brani con linee secche ed efficaci, in perfetta sincronia con la batteria. Un momento di virtuosismo ce lo ha regalato l’ospite della serata Sonny Landreth, vero maestro della bottle-neck slide guitar, la cui carriera artistica inizia quale sideman di John Hiatt, John Mayall ed altri, debuttando nel 1992 con una propria band, da cui nasce l’album Outward Bound.
In seguito avrà occasione anche di suonare con Mark Knopfler, inserendosi in un disco dell’inglese e ospitandolo a sua volta nell’album South of 1-10.
Grande professionalità, perfetto entusiasmo, voglia di saltare, allegria e gioia di vivere… ecco cosa si prova ad un concerto di Rosie Flores, che ha concluso lo spettacolo con un salto acrobatico dall’amplificatore, toccando la pedana del palco nel medesimo istante in cui l’ultimo accordo della sua chitarra e degli altri strumenti suggellavano la chiusura della serata. Non è da tutti!!
Simone Mazzon, fonte Country Store n. 53, 2000