Di dylaniani, di stonesiani, di spingsteeniani, di byrdsiani, ancor più che del senno di poi, ne son piene tante fosse, con grande merito di chi, del proprio talento ha saputo fare una scuola.
Il nome di Ovans è stato iscritto nel casellario dei dylaniani, una scelta alla quale ha contribuito non poco la sua vocalità nasale, ma anche il gusto per la folk ballad, unita a forti influenze rock, di matrice chiaramente stonesiana.
Un mix intrigante, nel caso di Ovans, punto d’arrivo di un percorso iniziato poco più di una decina d’anni fa, nel 1991, quando con ben pochi mezzi, per la label messa in piedi con Lou Ann Bardash e, naturalmente autoprodotto, aveva pubblicato Industriai Days il suo album d’esordio, che ne aveva già evidenziato interessanti prospettive di crescita, grazie ad una chiara affinità, cresciuta nel tempo, ma non a scapito di una personalità concreta: non un maestro, ma un buon allievo, capace di offrire spunti discretamente originali.
Musicista itinerante, come ogni menestrello che si rispetti, ha vissuto tra New York, Nashville, e Boston; Austin è la sua attuale dimora, dove lavora per mantenersi e produrre i suoi album, 10 con questo Tombstone Boys, Graveyard Girls, visto che un pubblico di culto, per quanto fedele, non riesce a garantire la sopravvivenza.
Accompagnato dagli amici di sempre, prima fra tutti, Lou Ann Bardash che duetta con lui in gran parte dei brani dell’album, ci sono anche Robert McEntee alla chitarra, Mark Andes al basso e Mark Hallman alle percussioni, una cricca di ‘beatiful loosers’ capace di fare apparire griffati anche i pochi stracci che hanno a disposizione, ricreando addirittura un’atmosfera alla ‘Gimme shelter’ che, se in Before I’m Dead, il brano che apre il CD, è addirittura imbarazzante, ritroviamo anche in Blues 4 Lenny e Great Big Lie, a tinte meno forti, ma segno di un’evoluzione del sound verso forme meno da folksinger e più cantautorali.
Resta invece l’attitudine al parlato, ereditata dallo spirito da storyteller di Ovans, che sembra affaticare la parte iniziale del CD quando intona Tombstone Boys, un blues trascinato e ruvido, cantato con una voce rasposa ma profondamente espressiva.
Il blues sembra avere fatto breccia nello script di Ovans, che sembra averne capito la potenza espressiva, apparentemente fatta su misura per il suo feeling un po’ greve, risultato di una vita spesa a mettere insieme con grinta, fatica e pochi sorrisi, quanto serve a garantirsi la realizzazione del proprio sogno di artista da strada e niente di più.
Con questi presupposti, dopo Tombstone Boys, infila Walking Back To Tupelo, Standing In The Rain, South Of Alabama, brani in cui sembra di ascoltare una vera blues band, con tanto di armonica inaspettatamente graffiante nelle mani di Ovans, per chiudere il CD con Racine, nella Un lavoro che rappresenta la maturità di Tom Ovans, un lavoro nel quale, a fianco di uno script essenziale è cresciuta una discreta ricerca melodica, insieme ad una certa cura degli arrangiamenti: piccoli passi, realizzati sempre in funzione delle proprie possibilità, con l’entusiasmo degli anni delle cantine.
Maria, al decimo posto nella scaletta del CD, merita una citazione a parte, per la delicatezza della melodia, ascoltata una volta non ti lascia più, per il suo perfetto crossover tra Texas e Messico, per il magnifico accostamento di armonica ed accordion, per l’interpretazione magistrale di Ovans, per il suo esplosivo calore, per l’intrigante malinconia: vale da sola il prezzo del CD.
Tom Ovans è certamente un onesto musicista, deciso a tirare avanti soltanto con le proprie forze, rinunciando a compromessi che potrebbero portarlo alla corte di una major, privandolo però di quella disincantata spontaneità che ne caratterizza lo stile. Ma se rinunciare alle lusinghe di una major vuole dire rispettare se stessi, ben vengano personaggi come Ovans: forse ogni suo album può essere l’ultimo, tale è la volatilità del pubblico, ma ogni album è un passo avanti verso una meta lontana e difficile ma che il grande sogno americano ha sempre reso possibile: auguri Tom, noi una mano te la daremo sempre.
Floating World FW 021 (Singer Songwriter, 2003)
Claudio Garbari, fonte Out Of Time n. 43, 2004
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