“… non dovremmo preoccuparci di attirare l’attenzione della gente verso un certo tipo di musica perché è ‘acustica’ o ‘nuova’, ma perché e ‘bella’.” (David Grisman)
Un paio di anni fa sulla rivista americana Bluegrass Unlimited apparve una divertente dissertazione di tale Doug Taylor sulla difficoltà di definire in modo completo ma conciso la musica ‘bluegrass’. Nel campionario di risultati scaturiti da una lunga indagine nell’ambiente di appassionati e musicisti emergevano definizioni del tipo “si dice ‘bluegrass’ la musica eseguita nei ‘bluegrass festivals'” (!); ovvero “…è una musica diversa dalla ‘country music’ e dal ‘western swing'”; o ancora “…è uno stile musicale in fase di sviluppo e quindi non ancora definibile”.
A parte l’impostazione volutamente semiseria dell’articolo, si tratta di un buon esempio della difficoltà di definire qualsiasi genere musicale, nuovo o stagionato che sia (il bluegrass ha ormai quarantanni), usando un numero limitato di parole e senza scontentare nessuno. Immaginiamo allora se si volesse tentare di definire la New Acoustic Music (da ora in poi per brevità NAM), che è una fusione di più generi musicali preesistenti ed un fenomeno musicale in pieno sviluppo. E l’esempio citato in apertura ha ancora più senso in quanto il ‘bluegrass’ è alla base della NAM. Ma procediamo con ordine.
Le ‘radici’ della Nuova Musica Acustica
Come nasce l’esigenza di attribuire una qualche etichetta ad un genere musicale?
Intanto c’è chiaramente la necessità delle case discografìche di etichettare i propri artisti; degli artisti di sentirsi inseriti in un qualche filone musicale (magari quello che va per la maggiore); dei negozianti e dei collezionisti di inserire i propri dischi sugli scaffali o negli espositori con un qualche criterio; mentre per i musicologi, infine, si tratta di una necessità e basta.
Ed a proposito di negozianti e della musica di cui ci stiamo interessando, fino ad oggi molti di essi in Italia hanno risolto il problema della schizofrenia provocata dal proliferare incontrollato di sigle (nonché quello della loro storica ignoranza nel campo) ammucchiando tutto il possibile sotto la voce ‘country’ o ‘folk americano’. Alla faccia della chiarezza!
E questa NAM? Non vorrei neanche tentare di classificarla; l’unica cosa che è possibile fare è cercare di seguirne le tracce che emergono qua e là nel campo della musica acustica americana degli ultimi quindici anni circa.
La base da cui partire è sicuramente il bluegrass. Il motivo è molto semplice. Tutti i musicisti (o quasi) che oggi possiamo in qualche modo inserire nel filone NAM hanno suonato della musica bluegrass, tradizionale o meno, ed hanno le loro radici musicali in essa. E’ fuori di dubbio la loro capacità di suonare dell’ottimo bluegrass, del quale continuano ad usare delle tecniche strumentali di base. Provate a chiedere ad un qualsiasi Grisman, Bush, Trischka, Rice di eseguire dello ‘straight’ bluegrass, ed ascolterete qualcosa che non ha niente da invidiare ai vari Monroe, Scruggs, Reno, Stanley Bros.
La NAM nasce dunque dal bluegrass come corrente profondamente innovativa, a cavallo del 1970. Nasce dall’esigenza di suonare della musica acustica, dalla affermazione della validità di una strumentazione tradizionale, ma anche dal desiderio di non rimanere legati agli schemi ed al repertorio classico; nasce dalla ricerca di soluzioni diverse, nuove, anche se legate alla tradizione.
Naturalmente non si tratta di una musica nata ‘a tavolino’, ma di una naturale e logica evoluzione di fenomeni musicali precedenti. Ci sono due modi per un musicista di rapportarsi ad un genere musicale: quello di farsi fagocitare e divenire un semplice esecutore, magari validissimo, di stili e repertori standardizzati; e quello di avere un rapporto creativo con la propria musica, facendo confluire in essa tutte le proprie esperienze musicali. Il rischio per la prima categoria è di isterilire le potenziali capacità creative, di limitarsi ad eseguire la copia esatta di qualcosa già esistente. La validità di un musicista bluegrass non si misura con la sua abilità nel suonare dei classici nell’esatto stile degli originali, magari a velocità doppia. Il ‘ricalco stilistico’, una brutta definizione coniata durante il ‘folk revival’ (v. Hi, Folks! n. 4) dai folksingers urbani che tentavano di assimilare stili ed atmosfere ‘rurali’, può essere considerato un buon punto di partenza per un musicista, ma non certo un punto d’arrivo. La tradizione ha un suo valore enorme, ma è anche giusto e necessario andare avanti.
Già negli anni ’60 si era assistito ad un allargamento del repertorio delle bluegrass bands a brani di origine ‘pop’ e ‘rock’ ed a composizioni originali. Difficile dire se si sia trattato di una esigenza sentita o indotta dalla necessità di far fronte a precise richieste del mercato. Poco o niente di nuovo si era invece notato sotto l’aspetto strumentale, a parte casi sporadici. E’ possibile elencare una serie di nomi di musicisti che, nell’ambito del bluegrass, contribuirono con le loro innovazioni a creare le premesse alla NAM: basta citare Vassar Clements, Clarence White o Bill Keith. Ma l’ispirazione veniva anche da personaggi più lontani nel tempo e nello stile, come Joe Venuti, Django Reinhardt, Jethro Burns.
Sarebbe comunque limitativo cercare solo in questa direzione spunti per spiegare la nascita della NAM. In realtà è necessario allargare il discorso all’atmosfera che si respirava negli Stati Uniti durante gli anni ’60: anni turbolenti, con la contestazione studentesca, il free-jazz, il rock, tutte esperienze liberatorie che proiettavano verso un futuro diverso, possibilmente migliore, piuttosto che mantenere legami con il passato. Ne segue che il bluegrass, nella sua forma sclerotizzata e sclerotizzante, comincia a diventare per qualcuno una musica alienante, appartenente ad un’epoca passata, a quegli anni ’40 e ’50 durante i quali si era strutturata ed affermata: una musica non integrabile con le esperienze di chi degli anni ’60 aveva colto gli elementi positivi di crescita. E non a caso la NAM prende forma e trova terreno fertile in due centri focali di quasi tutte le nuove idee della cultura americana degli anni ’60: New York e la California.
Caratteristiche della NAM
David Grisman e Tony Trischka sono solo due dei musicisti ai quali è legata la NAM, ma la loro importanza, oltre che dalle loro indubbie capacità, nasce dal fatto che attorno ad essi sono cresciuti e si sono affermati esponenti di quelle che potrebbero essere già definite le due ‘scuole’ della NAM: quella newyorkese e quella californiana.
Il denominatore comune di questi musicisti sembra essere soprattutto uno: la sperimentazione. Partendo dal bluegrass, mutuando dal jazz, dallo swing, dal rock, è derivata una musica che potrebbe essere definita ‘fusion’, se il termine non fosse stato già utilizzato per indicare qualcosa di analogo ma associato alla musica elettrica, con jazz e rock come elementi catalizzatori.
Via via, la NAM è stata chiamata ‘progressive bluegrass’, ‘nouveau acoustic music’, ‘newgrass’, ‘dawg music’, etc: una musica nascente in continuo movimento, una miscellanea non inquadrabile con esattezza. E’ una ‘fusion music’ non tanto come fusione di generi musicali diversi, quanto come fusione di sonorità di passato e del presente. C’è dentro del bluegrass, riconoscibile da citazioni di ‘licks’ tradizionali di banjo e di chitarra, o da un impasto vocale ‘alla gospel’. C’è jazz e soprattutto swing, e diventa magari molto cerebrale ed arrangiata puntigliosamente. C’è la mentalità sperimentale, aperta ed improvvisativa di un certo tipo di rock e di jazz. E’ una musica in crescita, che trascende le vecchie ‘categorie’ (old time, bluegrass, country, etc.) pur contenendole in qualche misura tutte.
Un altro carattere specifico della NAM, che la differenzia decisamente dal bluegrass tradizionale, è che si tratta molto spesso di musica composta dagli stessi esecutori. Via dunque il repertorio tradizionale, e libero sfogo alla potenzialità compositiva. E questa si è dimostrata l’unica strada praticabile per poter affermare di suonare una musica personale, per creare uno stile personale, e per poter eventualmente dare un’interpretazione altrettanto personale di brani altrui. E non è un caso se, fino a quando un anno fa circa il fiddler Darol Anger proponeva con successo di definirla NAM, si parlava di essa come della ‘…musica di Grisman’ e della ‘…musica di Trischka’, etc…
NAM: possibilità di espansione
Due sono gli ostacoli che si frappongono tra i musicisti che appartengono all’area NAM ed il grosso pubblico. Innanzitutto le case discografiche stesse. Solo qualcuna è disposta a scommettere qualcosa sul successo della NAM; le altre basano le loro incertezze sul dato che il solo Grisman è risultato fino ad oggi vincente in fatto di vendite e potrebbe rappresentare dunque un investimento abbastanza sicuro. Forse la NAM potrebbe esplodere in seguito all’affermarsi di un personaggio di grossa personalità e largo seguito, che riuscisse a far breccia nel mercato discografico più di quanto non sia riuscito a Grisman ed alla sua ‘dawg music’.
Finora la Rounder Records è l’unica etichetta americana ad aver fatta propria la denominazione NAM: in parte perché il suo catalogo è particolarmente ricco di musicisti di questa area, in parte per condurre una operazione di lancio commerciale. Discutibili, di questa campagna della Rounder, gli inserimenti di Norman Blake, che non mi sembra abbia molto in comune con la NAM (a parte forse l’album esclusivamente strumentale Original Underground Music From The Mysterious South), e di musicisti europei come il ‘bardo’ francese Alan Stivell, un personaggio unico, legato principalmente all’area celtica tradizionale, e con alle spalle esperienze più vicine al folk-rock inglese che non alla NAM.
L’altro ostacolo, e qui la cosa assume aspetti imprevedibili, è la risposta del pubblico al quale questa musica è generalmente rivolta: un tipo di pubblico che troppo spesso vuole sentire e ‘vedere’ la musica ed i musicisti in un certo modo, esattamente come se li aspetta. Un pubblico per il quale un mandolino ‘jazzato’, un banjo ‘cromatico-melodico’ o un basso elettrico sono deviazioni da condannare. L’aspetto più incredibile di tutta questa situazione è che musicisti di grosso livello, innovativi, inventivi, che meriterebbero ben altro riconoscimento, debbano vedere la loro musica e le loro composizioni stroncate da una parte della critica e del pubblico solo perché non rispettano i canoni tradizionali, perché “non sono bluegrass”.
Viene fatto l’errore di giudicare un musicista non in base alla qualità della musica che è in grado di eseguire, quanto alla possibilità o meno di collocarla nell’ambito del bluegrass. Purtroppo anche tra i musicisti c’è chi ragiona nei termini di “questo è rock, io non suono del rock”, invece di “chissà come verrebbe questo brano rock adattandolo allo stile ed alla strumentazione bluegrass”. Il che non significherebbe automaticamente suonare della NAM, ma superare una chiusura dannosa.
Si cominciano comunque a notare diversi segnali positivi: una porzione sempre maggiore di pubblico comincia ad accettare musica come quella dei New Grass Revival, di Grisman, di Skyline (l’attuale band di Tony Trischka). Una musica che, comunque la si rivolti, presenta ancora una certa continuità con la ‘string-band style music’, ma che deve essere apprezzata ed accettata per quello che è oggi, al di là dei suoi legami con il passato. Una musica con dei connotati tali da essere in grado di coinvolgere un pubblico ben più vasto di quello interessato alla old time music ed al bluegrass.
La New York School
Seguendo il suggerimento di Tony Trischka è possibile distinguere, all’interno della NAM, due stili differenti, e parlare quindi di una ‘New York School’ e di una ‘California School’. Qualcuno parla anche di una ‘South School’: conseguenza del crescente interesse verso la NAM che si sta costatando a Nashville, e del fatto che musicisti come i New Grass Revival (Sam Bush, Bela Fleck, Pat Flynn, John Cowan), Jerry Douglas, e recentemente Mark O’Connor, si sono stabiliti nella ‘Music City’. Si tratta in quest’ultimo caso di una forzatura perché mi sembra solo un concentramento di musicisti, non uniti da uniformità stilistica.
Il punto di partenza per analizzare il sound newyorkese è una band nata all’inizio degli anni ’70 nell’area di New York: i Country Cooking, il felice incontro di un gruppo di musicisti animati dal desiderio di suonare una musica che, pur avendo come referente principale il bluegrass, fosse caratterizzante delle personalità di tutti. Ed, attraverso composizioni originali ed arrangiamenti altrettanto originali ed arditi, emerge la cultura musicale (in senso lato) dei componenti del gruppo.
Successivamente all’esperienza con i Country Cooking, Tony Trischka, Russ Barenberg, Andy Statman ed in parte Kenny Kosek (che insieme a John Miller, Peter Wernick e Nondi Leonard avevano fatto parte della band) avviano per proprio conto un processo di evoluzione che attraverso diverse fasi li porterà ad affermarsi come punte avanzate nello sviluppo di una musica acustica autonoma e creativa.
Niente più riproduzione quindi di schemi rigidi, ma sperimentazione con idee scaturite dall’assimilazione di tutta la musica ascoltata; idiomi differenti e molta improvvisazione.
Così Russ Barenberg si avventura sempre più spesso in composizioni su ritmi sud-americani e caraibici; Andy Statman, che già nei Country Cooking aveva fatto uso sporadico di sassofono (!), si permette divagazioni al clarino eseguendo musica klezmer (della tradizione degli ebrei dell’Est europeo), e trasferisce nel suo stile di mandolinista tutta la sua esperienza e cultura di jazz e di musica etnica, ottenendo dei risultati veramente imprevedibili; Tony Trischka, banjoista fra i più insoliti nella storia di questo strumento, fonda il suo stile sulla improvvisazione e su ritmi spesso molto grintosi, essendo comunque in grado di spaziare melodicamente e ritmicamente in tutte le direzioni.
Kenny Kosek è, tra i quattro, quello che si è dedicato alle esperienze più varie, dimostrandosi fiddler moderno ed eclettico e richiesto session-man. L’album Hasty Lonesome, inciso assieme a Matt Glaser, è fino ad ora l’unico suo prodotto ‘personale’, ed esprime abbondantemente le sue tendenze progressive.
Altri nomi di rilievo della ‘New York School’ sono Barry Mitterhoff, mandolinista con Skyline; Bela Fleck, significativamente allievo di Trischka, ed ora nei New Grass Revival; in parte lo stesso Matt Glaser, ed infine altri musicisti emergenti sulla scena dell’East Coast, come Marty Cutler, un banjoista estremamente interessante, e il chitarrista Jon Sholle.
David Grisman e la ‘Scuola Californiana’
David Grisman è probabilmente il musicista che, dopo Bill Monroe, ha prodotto il maggior impatto sulla musica delle string bands. Casualmente si tratta di due mandolinisti. Mentre però Monroe vedeva la ‘sua’ musica come una crescita della country music, Grisman vede la ‘sua’ dawg-music come una forma completamente nuova. E se per entrambi non si può parlare di ‘virtuosi’ dello strumento, è fuor di dubbio che hanno entrambi creato un proprio stile, che poi ha fatto scuola.
La musica che Grisman chiama ‘mia’, con una espressione che ricorda quella analoga usata da Monroe, per i tradizionalisti ha ben poco a che fare con il bluegrass. Di quest’ultimo conserva in parte la strumentazione (con il raddoppio del mandolino e l’esclusione del banjo) rigorosamente acustica: di fatto non è proprio bluegrass, non è solo jazz, è molto swing. E la ‘dawg music’ con cui lo stesso Grisman la battezzò in occasione dell’uscita dell’album The David Grisman Quintet (1976) è un termine che dice poco o niente.
Lo stile di Grisman è riconoscibile nei suoi dischi, come in quelli dei musicisti che hanno collaborato con lui, a partire dagli originali componenti del Quintet per finire agli ultimi. Come dire che suonare con Grisman è un’ottima scuola per la crescita dei musicisti e per l’assimilazione del suo stile.
Tony Rice, Darol Anger, Todd Philips, Mark O’Connor, Mike Marshall, Rob Wasserman, sono esponenti di rilievo del ‘dawg sound’. Di questi musicisti, Tony Rice è quello con la maggiore personalità musicale, già abbastanza delineata all’epoca dell’incontro con Grisman. Pur appassionato di repertorio tradizionale ‘mountain music’, Rice era un attento ascoltatore di jazz, soprattutto di chitarristi come Django Reinhardt, Joe Pass, George Benson; ed aveva inoltre alle spalle l’importante esperienza con i Bluegrass Alliance (1970) del mandolinista Sam Bush, una delle formazioni più progressive dell’epoca.
Nonostante Grisman sia newyorkese, è in coincidenza con il suo trasferimento in California che nacque la sua dawg-music, ed è lì che fanno riferimento i musicisti che hanno in qualche modo un legame con il suo stile. Per comodità quindi si parlerà di una ‘scuola californiana’. E per rendervi conto di quali esponenti di rilievo questa ‘scuola’ abbia già prodotto, ascoltatevi i due dischi incisi dal Tim Ware Group: una ‘dawg music’ originale che attinge da più fonti (compresa la musica classica) ed eseguita da musicisti artisticamente impeccabili e stilisticamente autonomi.
Cosa è in definitiva che permette di definire e distinguere le due ‘scuole’? Innanzitutto la strumentazione: più tradizionale quella dell’East Coast, ma generalmente con basso elettrico ed a volte con il supporto di effetti elettronici; rigorosamente acustica quella della West Coast, ma con assenza del banjo. Poi, il repertorio: completamente originale e assolutamente strumentale nella ‘scuola californiana’, rispetto al repertorio più composito di quella ‘newyorkese’.
Infine, all’Est la NAM è più sperimentale, improvvisativa, senza schemi e legami precisi, oserei dire ‘avventurosa’, aperta alle più varie influenze armoniche, ritmiche, melodiche: all’insegna de “L’importante è sperimentare, rinnovare, facendo buona musica”.
La musica creata da Grisman ha invece un riferimento preciso, ed è lo swing acustico, soprattutto quello alla Django Reinhardt-Stephane Grappelli. E’ inoltre una musica che, pur basandosi sulla improvvisazione, prevede un accurato studio delle linee melodiche e degli arrangiamenti: in un certo senso è più omogenea, più riconoscibile e riferibile ad un ‘modello’ abbastanza preciso.
Gli altri esponenti della NAM
In un discorso più generale sulla NAM ci sono ancora da ricordare i musicisti che gravitano nell’area di Nashville e che, pur non essendo identificabili sotto un’unica etichetta, sono inseriti in quel filone di riscoperta della musica acustica che sta lentamente coinvolgendo il settore produzione-commerciale della ‘Music City’.
Si tratta, tra gli altri, dei New Grass Revival, di Jerry Douglas, di Mark O’Connor. I primi fanno più del rock suonato con strumenti bluegrass (eventualmente ‘effettati’) che del ‘new-grass’: il loro sound e le loro interpretazioni sono molto personali, e caratterizzati dal ritmo ‘duro’ e dalle lunghe ‘jams’ strumentali.
Dell’eclettico Jerry Douglas e della sua abilità di dobroista non si discute, e mi sembra gli spetti di diritto un posto nel panorama della NAM.
Per quanto riguarda Mark O’Connor, l’ex-bambino prodigio, dopo aver assimilato e fatta sua la musica di Grisman, nel recente album False Dawn (in cui suona tutti gli strumenti!) si avventura in ardite sperimentazioni.
Da non dimenticare, sempre parlando dell’area di Nashville, alcuni ‘vecchi’ come Vassar Clements i quali, pur nella varietà di stili imposti loro da precise richieste dei produttori, si sono dimostrati più aperti alla sperimentazione e quindi molto vicini allo spirito della NAM.
Infine, tra i gruppi fino ad oggi più penalizzati dalla loro stessa musica, esclusa dal grosso circuito commerciale, da ricordare i Trapezoid, passati dal tradizionale al progressivo in seguito a modifiche della formazione (grande Lorraine Duisit a mandolino e voce); i Cloud Valley, un gruppo della Virginia che strumentalmente è all’avanguardia; ed il trio Eclectricity, con un repertorio che spazia con sonorità e riferimenti dalla musica tzigana e balcanica al tex-mex, e con una violinista veramente ‘elettrica’!
Mariano De Simone, fonte Hi, Folks! n. 7, 1984