Washington Square non muore. Queste schegge del Greenwich Village Folk Festival, aperto pure a singers-songwriters d’oltreoceano, perpetuano una leggenda che è ben radicata in ogni pietra della W. 4th e della 6th Avenue, albero motore del movimento folk americano, le registrazioni abbracciano un arco di tempo compreso fra il 1992 e il 1994 e provengono dalla Washington Square Church e dal Loeb Center.
Nella rapida e suggestiva passerella si alternano artisti della nuova leva e qualcun altro, come Paul Siebel, defilatisi negli ultimi anni dal giro dei folksingers, ma non certo dimenticati dagli appassionati.
Richard Shindell apre con una penetrante versione di Arrowhead, perla dell’album Blue Divide del ’94. Accompagnato come di consueto soltanto dalla sua chitarra, dimostra quanto gli si addica la dimensione live. Segue, non a caso, Lucy Kaplansky, abituale partner negli album di Richard e qui alle prese con un inedito non presente nei due album fino ad oggi pubblicati. Brake A Train è infatti una ballata trafitta dai raggi di un sole calante, composizione di Cliff Eberhardt, nome di spicco nel cenacolo folkie dell’East Coast. Lucy canta con energia e profondo senso poetico.
Jim Infantino è un nome relativamente nuovo sulla scena dell’acoustic song. Ha già inciso a suo nome per la Gadfly e, recentemente, sotto l’eponimo di Jim’ Big Egos, con l’album More Songs About Me. La Big Chinois che ci propone rivela un modo di accostarsi al canto ironico e straripante. La sua voce chiara e forte si modella attorno ad un brano inconsueto, melodicamente curioso.
Gli scozzesi Whirligig, protagonisti di un apprezzato Celtic Dawn del ’95, si esibiscono con una solenne composizione di Ewan MacColl, ben contrappuntata da larghi arpeggi e costruita sui possenti timbri di Fiona Cuthill. Ci commuove il ritorno di Paul Siebel, colonna del Village al Four Winds e al Gerde’s, trentanni fa, autore di album eccellenti come Woodsmoke And Oranges o Jack Knife Gypsy. La voce è un po’ sgranata, (Paul ha sessant’anni), ma l’intensità della sua Ballad Of Honest Sam non conosce cedimenti. Un personaggio da rivalutare in modo massiccio.
Se i suoi dischi sono di difficile reperibilità, esiste una recente raccolta della Philo (’95) che fornisce un ritratto commovente e significativo dell’artista. Frank Christian lo accompagna alla chitarra con la consueta maestria.
Amy Fradon e Leslie Ritter danno un saggio di squisita vocalità in You Don’t Knock, brano senza strumentazione, ma elegante nel virtuosismo delle sue ragazze.
L’ex Battlefield band Paul Kilbride, la cui ultima uscita non mi ha convinto del tutto, è una delle sorprese dell’antologia. Irish Catholic, come precisa in apertura, prorompe in un battagliero comat-folk, slanciandosi poi in un trascinante assolo chitarristico, forte e vigoroso, secondo i dettami della tradizione celtica.
Con la dolcezza di una foglia autunnale fluttuante nel vento, Wendy Beckerman, cresciuta alla corte di Jack Hardy e di Fast Folk, declama dapprima una sua poesia e, subito dopo, esegue una canzone che per levità e purezza non può non ricordare la primissima Suzanne Vega. Una prova eccellente.
Soltanto voce e chitarra, Mark Johnson offre un mezzo discreto, ma di trascurabile personalità. Steve Gillette e Cindy Mangsen, stelle del Kerrville Folk festival, interpretano una buona Their Brains Were Small And They Died, in cui emerge la voce matura e vellutata di Cindy, inseguita dai tocchi morbidi di una concertina.
Marcatamente mitchelliana nei vocalizzi e nelle atmosfere create sulla chitarra, Jessica Harper si lascia ascoltare con gradevolezza nella sensuale Good Company.
Dulcis in fundo, il trobadour di Cornelia Street, l’immaginifico David Massengill con il suo magico dulcimer. Ecco una versione incantata, in sintonia con tutte le composizioni a sua firma, di Hard Times Come Again No More di Stephen Foster, ‘classico’ che abbiamo imparato ad amare prima per merito di Mary Black, ai tempi dei DeDanan e poi di Dylan. Massengill vi appone il suo sigillo meraviglioso. La notizia del suo prossimo ritorno in Italia è per me motivo di piena felicità. Sarà meno lungo l’inverno. Vi aspetto.
Gadfly 222 (Folk, 1997)
Francesco Caltagirone, fonte Out Of Time n. 24, 1997