Il nome di John Jennings, a monte di facili assonanze, non riesce comunque ad essere del tutto sconosciuto, infatti i più attenti osservatori avranno riconosciuto il suo nome scorrendo le note di copertina delle produzioni di una delle più quotate interpreti americane del nuovo country, quella Mary Chapin Carpenter che deve l’architettura del suo suono alle geniali ed eleganti costruzioni proprio di John Jennings.
L’impressione iniziale è che il meglio di sé il nostro lo esprime proprio in fase di arrangiamento, poiché, purtroppo, la fase compositiva dei brani sembra soffrire della mancanza di originalità e della costante coscienza di un deja vù un po’ ingombrante e che pesa sulla cristallina semplicità dei pezzi. A ciò, si deve aggiungere il fatto che lo stile elegante di Jennings, trova nella graffiante vitalità interpretativa della Carpenter quell’ideale contrappunto che qui viene del tutto a mancare, ovattando ogni canzone con atmosfere soft sinuose ed avvolgenti, ma a volte capaci di provocare ingiusti sbadigli.
E ribadisco ingiusti, poiché Buddy è un lavoro sicuramente interessante, firmato da un musicista vero, che riesce a combinare la sua estrazione country con l’amore per il blues e per il jazz che influenzano al di là di ogni dubbio la sua vena compositiva, come appare chiaramente nelle splendide A Third Of The World, che sembra uscita dal cilindro magico di Donald Fagen e come in Willie Short, nella quale si imparenta strettamente con il blues più scarno, al quale solo un arpeggio raffinato della chitarra garantisce il distacco delle radici.
Per il resto, Jennings si muove sul terreno di un country cantautorale di ampio respiro, spesso venato di una tristezza che la quasi totale mancanza di strumentazione elettrica, riesce a rendere ancora più palpabile.
Vanguard 79496 (Singer Songwriter, 1997)
Claudio Garbari, fonte Out Of Time n. 22, 1997