“La notte, come la pace, è uno stato d’incertezza”. Dai tempi di In The Falling Dark Bruce Cockburn parla dell’oscurità, stato d’animo fra verità e dubbio, mistero e svelamento. Questo nuovo disco, The Charity Of Night, è un conflitto fra la salvezza della luce e il richiamo delle ombre.
‘Affamato d’alba’, egli è traduttore del linguaggio delle stelle, filtro umano fra terra e cielo. Ritrovarlo, ma già le due opere precedenti (senza contare l’angelico Christmas) ce lo avevano offerto toccato da una ispirazione smagliante, sulla lunghezza d’onda dei capolavori degli anni ’70. ci emoziona profondamente.
Cockburn è un artista spirituale, fra i più infaticabili indagatori dei meandri dell’anima. “Porto le mie ombre là dove esse sono difficili da vedersi, ma esse mi seguono ovunque…”
Bruce Cockburn che ha infilato l’anello di re Salomone e conosce le parole dei piccoli animali, il battito delle rocce, l’accendersi improvviso del cielo, i mondi nascosti nelle fiamme crepitanti, le storie racchiuse in una goccia d’acqua, ci parla della notte e della speranza, in un disco di toccante bellezza, innocente e pieno di libertà interiore, fra i più affascinanti da lui mai pubblicati.
Il cambio di etichetta, l’apporto di Ani DiFranco, della Muldaur, Bonnie Raitt, Bob Weir, restano aspetti secondari in questa sequenza di ori che non sono folk, né jazz, ma Cockburn soltanto. Essenziale è invece la collaborazione di Gary Burton, un gigante nel suo mondo.
I bagliori del vibrafono, le bolle iridate dei suoi tocchi, sono uno dei miracoli di The Charity Of Night. Il vib e la ‘acustica’ di Bruce si integrano magicamente in suoni interiori, vitrei.
Spiccano leggeri voli. Chi arriverà più in alto? Il canto di Cockburn è sacerdotale, aereo come il volteggiare di Ariele, ma drammatico, più tormento che estasi. Ricorda talvolta, specie nelle declamazioni, gli accenti tragici di John Trudell.
Le songs hanno accessi difficili, impegnativi, ma una volta che il chiavistello è saltato, il suono si espande mantrico, in un’ebbrezza di sonorità che credevamo perdute, ora raffioranti nella loro purezza.
La voce serica di Bruce attacca nell’iniziale Night Train, uno dei suoi brani ‘circolari’, ipnotico, opalescente, con nervosi spasmi sull’elettrica nel finale. Get Up Jonah si apre al lirismo di Burton, presenta scenari lividi e fumosi, soffre di un dramma interiore. Il disco decolla, si libra, non scenderà più.
Pacing The Cage col suo dolcissimo arpeggio e la voce matura di Bruce che si modella su accordi argentei, come un fragile, ardito castello di carte.
Sono le tinte di Joy Will Find A Way! Gli succede uno strumentale indimenticabile.
Frasi irripetibili sulla chitarra, vib in vista del sole. Raggi invasi di pulviscolo feriscono l’ombra: Mistress Of Storm.
Dopo quest’oasi, la lenta, semiacustica The Whole Night Sky, stupenda ballata di larici grondanti neve e natura addormentata in teneri sogni.
The Coming Rains è un pezzo disteso, pieno d’ossigeno.
L’Africa gelosa dei suoi segreti, la pioggia attesa come un avvenimento magico. Birmingham Shadows, di consistenza onirica, speziata di jazz. Ancora molto interiore. The Mines Of Mozambique e il ritmo ossessivo della chitarra.
Una canzone labirintica, tribale. Live On My Mind è la vetta con i suoi contrappunti di chitarra, come fili di ragno. The Charity Of Night, e le note si sciolgono come cristalli di neve sotto le dita di Bruce.
Il suo canto alato non è più raggiungibile, sembra dirci la fisarmonica di Macerollo. Chiude Strange Waters, solenne della sua resophonic guitar e di un’enorme forza evocatrice. La notte scende caritatevole. E’ amica. Bruce ha acceso una fiaccola che non si spegnerà.
Rykodisc RCD 10366 (Singer Songwriter, 1997)
Francesco Caltagirone, fonte Out Of Time n. 20, 1997
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