Nel numero di dicembre 1989 di Chitarre, in questa stessa rubrica, avevo presentato Dreams, il cofanetto dedicato ed organizzato ottimamente dalla Polydor per celebrare una delle più significative band di blues bianco, l’Allman Brothers Band. Oggi torno su Duane Allman, leader del gruppo e con trascorsi come session man, per consigliare caldamente An Anthology Volume II, l’ottima e necessaria ristampa su compact disc (ristampa che risale allo scorso anno) di gran parte del lavoro del chitarrista in qualità di `turnista’.
In questi 4 CD (messi in commercio a prezzo ridotto ed in due confezioni doppie) è concentrato il meglio del Duane Allman session man di lusso e la musica è sorprendente per varietà di genere e qualità. In realtà al di là della partecipazione di Duane Allman e quindi del discorso chitarristico, in questa compilation c’è della grande musica affidata a gente di grosso calibro.
Ma scendiamo nel dettaglio di An Anthology Volume II: per chi ha amato la musica degli Allman Brothers, la partecipazione di Duane in dischi di altri musicisti non è una sorpresa, per chi invece ne ignorava l’attività di session man, ecco le sorprese che troverà in An Anthology: Hey Jude, nella versione di Wilson Pickett, The Weight di Aretha Franklin, Games People Play di King Curtis, Loan Me A Dime di Boz Scaggs, Livin’ On The Open Road di Delaney & Bonnie And Friend, Mean Old World, accreditata a Clapton e Duane Allman, e Layla dell’Eric Clapton ‘formato’ Derek & The Dominos, e naturalmente ho evitato di elencare alcune cose ‘minori’, mentre è necessario citare brani presi dal repertorio della Allman Brothers Band (Don’t Keep Me Wondering, Statesboro Blues, Standback, Dreams, Little Martha).
Nel secondo doppio CD troviamo ancora Aretha Franklin con It Ain’t Fair, Wilson Pickett con Born To Be Wild, una versione molto buona di Come On In My Kitchen di Delaney & Bonnie ed altre incisioni con Otis Rush, Herbie Mann e Ronnie Hawkins.
Oltre ad alcuni brani ‘superflui’, anche in questo An Anthology Volume II troviamo pezzi degli Allman Brothers (Midnight Rider, Leave My Blues At Home, Done Somebody Wrong, Dimples).
Tutto questo materiale oltre ad essere stato scelto con grande cura è arricchito da una indispensabile serie di notizie che riguardano ogni singolo brano con tanto di data d’incisione, musicisti che hanno partecipato alla session, studio dove il materiale è stato registrato e, naturalmente, il periodo in cui le registrazioni sono state effettuate. Per chi avesse già preso Dreams, si pone il problema dei ‘doppioni’, perché chiaramente alcune cose si trovano sia nel cofanetto che in questa Duane Allman Anthology, comunque si tratta di pochi brani e l’antologia di Duane Allman è talmente ricca di incisioni rare e introvabili che risulta essere indispensabile per chiunque voglia conoscere meglio uno dei chitarristi più espressivi, capaci e comunicativi espressi dalla scena americana in un’area musicale che va dal blues al rock blues senza disdegnare a volte le ballads.
Prima di andare oltre chiarisco subito per i perfezionisti e per gli amanti del digitale, che questi due doppi CD sono stati probabilmente solo riportati su CD senza nessun tipo di remasterizzazione o altro; infatti in entrambi i casi troneggia una chiara ed inconfondibile sigla: AAD.
Cosa dire del Duane Allman chitarrista? Anzitutto che ascoltando questi lavori in studio, incisi per gente comunque spesso lontano dalla sua musica, si ha la sensazione che indubbiamente lui riuscisse sempre ad essere se stesso regalando però ai musicisti che lo avevano chiamato, un tipo di partecipazione perfettamente legata al loro stile. Può sembrare una valutazione da poco, ma non è così: quando uno possiede uno stile personale, riconoscibile e perfettamente definito come quello di Duane Allman, raramente riesce ad ‘uscire’ dal proprio universo musicale per ‘entrare’ in un mondo altrui; troppo spesso le tante celebrate collaborazioni tra grandi nomi del firmamento musicale si sono risolte con prove insufficienti dove non c’era una lotta di `Io’, quanto di stili musicali che erano impossibilitati a convivere.
In Duane Allman viveva invece una sorta di duttilità che lo portava a sapersi perfettamente adeguare alle esigenze, e questo, lo ripeto, non ha mai screditato assolutamente le sue credibilità di musicista e chitarrista. Il fraseggio rapido e nervoso, il suono, l’uso dello siide e quel timbro rauco che aveva la sua chitarra, rimanevano `segni’ precisi, e anche se non si trattava di incidere per la Allman Brothers Band, ma per Johnny Jenkins o Herbie Man o Lulu.
La scelta di inserire anche del materiale dell’ Allman Brothers Band in questa antologia è stata dettata probabilmente dalla necessità di mostrare ogni aspetto della personalità del chitarrista, e non è un caso che siano stati scelti brani particolari tra cui Little Martha, un duo acustico con Gregg Allman alla chitarra acustica e Duane al dobro, proprio per ribadire una volta di più che il leader del gruppo non era solo un ottimo chitarrista, ma anche un buon musicista, uno strumentista duttile che era in grado di confrontarsi con musiche diverse e diverse atmosfere senza alterare mai il suo tasso di comunicabilità col pubblico. Indubbiamente a livello di collaborazioni, la più significativa rimane quella con Eric Clapton per l’album Layla, e se ancora fosse necessaria una conferma al discorso precedente Layla è li a testimoniare ormai da venti anni che Duane Allman non si rapportava alla musica ed al suo lavoro come protagonista, ma semplicemente come chitarrista teso sempre a dare il meglio di sé, anche quando incideva musiche altrui.
Polydor 831 444-2, 831 445 –2 (4 CD)(Roots Rock, Blues Rock, 1987 )
Giuseppe Barbieri, fonte Chitarre n. 49, 1990
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