Forse i più attenti l’avevano notata, anche se, presumibilmente, non sapevano esattamente cosa volesse dire. Sto parlando della frasetta con la quale Meg e Jack White avevano voluto chiudere le note di copertina del fortunato disco White Blood Cells: “I White Stripes desiderano dedicare quest’album a Loretta Lynn”. Già, ma chi è questa Loretta Lynn e cosa c’entra con i White Stripes? Come i lettori più esperti e informati sanno, Loretta Lynn è una delle grandi leggende della country music. Un mito, per restare in ambito femminile, dello stesso calibro di una Kitty Wells (il suo idolo), una Patsy Cline (la sua più grande amica), una Dolly Parton o una Tammy Wynette.
Piombata sulla scena nei primi anni ’60 dopo esser stata scoperta da Owen Bradley, mitico produttore di Patsy Cline, Loretta Lynn è diventata in pochi anni una delle più luminose regine di Nashville. La sua umile storia di ‘figlia di un minatore’ che si trasforma in protagonista di una favola stupenda è raccontata dall’autobiografia The Coal Miner’s Daughter che, nel 1980, è diventata il soggetto dell’omonimo film nel quale Sissy Spacek interpretava il ruolo di Loretta.
I suoi sodalizi artistici con Conway Twitty o Ernest Tubb così come i numerosi hit solisti (uno per tutti, Blue Kentucky Girl) hanno fatto sì che il nome di Loretta Lynn campeggi oggi in modo imperituro in ogni enciclopedia di musica americana del Novecento. Per capire meglio la popolarità di Loretta, provate a farvi un giro nel suo website ufficiale. Lì troverete tutte le informazioni per visitare il Loretta Lynn Ranch (dove la star vive e ogni tanto si esibisce pure).
Alla tenera età di 70 anni, dopo più di cinquanta anni di carriera, settanta album all’attivo, milioni di dischi venduti e decine di migliaia di concerti, la Lynn torna alla ribalta grazie alla passione di questi due stravaganti, giovani e alternativi rocker di Detroit. Ma non è un caso.
Jack White (che ha iniziato la carriera come batterista della country band Goober & The Peas) ha infatti una passione dichiarata per l’universo delle radici musicali americane. Tanto da esser presente (in modo stilisticamente ineccepibile) nella bellissima colonna sonora di Cold Mountain curata da T-Bone Burnett. Non solo. Il suo amore per Loretta Lynn (e per quel mondo della country music degli anni ’60 di cui è stata protagonista assoluta) si esprime anche a livello estetico: sono sufficienti il look ‘frangiato’ o le chitarre vintage che Jack White adora per capire di cosa stiamo parlando.
Anche se la cosa più importante è la sintonia artistica tra White e Lynn e l’influenza che quest’ultima ha avuto su suoni e atmosfere del giovane rocker di Detroit. “Sono felicissimo di questo disco”, ha dichiarato White alla rivista Billboard, “non solo Loretta canta come avesse 21 anni. Erano anni che non faceva più un album con canzoni sue così bello.”
Se sulla prima delle due affermazioni ci permettiamo di dissentire (Loretta, è vero, canta benissimo ma se andate a sentire i suoi classici degli anni ’60 coglierete una certa nonché ovvia differenza), sulla seconda ci troviamo in perfetto accordo. Anzi, va detto che Van Lear Rose è così affascinante, intenso e originale da ricordare le splendide operazioni fatte da Rick Rubin con l’ultimo Johnny Cash. Non solo. Qui la contaminazione tra country e rock assume risvolti nuovi. L’imprinting di Jack (sempre rispettoso dei climi ‘traditional’) si sente non soltanto negli splendidi duetti vocali, come la strepitosa Portland, Oregon; è, di fatto, presente in tutte le tredici tracce del disco. Persino in quelle interamente acustiche come l’intensa ballad per voce e chitarra God Has No Mistakes.
In questo caso, si potrebbe addirittura parlare di fusion country-rock stilisticamente spirituale (non riguardante cioè la sola tecnica chitarristica quanto piuttosto l’approccio interpretativo).
Il merito va a entrambi: a Loretta che dimostra eclettismo e versatilità senza perdere il proprio trademark stilistico (ascoltare, per credere, la divertente High On A Mountain, il brano più canonicamente country del disco) e a Jack che riesce a instillare lo spirito rock in brani di matrice nettamente country.
Se la cosa a volte (vedi Mad Mrs. Leroy Brown, potente, esplosiva e trascinante) si esprime in modo evidente, in altri momenti è più sottile ma non per questo meno efficace: emblematico, al proposito, è il talking blues Little Red Shoes, coinvolgente e appassionato come una declamazione di Patti Smith.
Ma anche, o forse soprattutto, la title-track che apre questo progetto in modo assolutamente convincente. È già stato girato un videoclip pronto per la messa in onda su VH1 e MTV.
Così come la Lynn e White hanno già programmato un tour promozionale dal vivo. Mica male: la ‘figlia del minatore’ è di nuovo in pista.
Interscope Universal 251302 (Traditional Country, Alternative Country, 2004)
Ezio Guaitamacchi, fonte JAM n. 104, 2004