Se c’è un sentimento che prevale dopo l’ascolto degli ultimi album di Mark O’Connor è il dispiacere per tanto talento sprecato; infatti di questo musicista si può dire che tanto più cresce in bravura tecnica, tanto meno valido si dimostra creativamente nei suoi solo. Niente da dire per quanto riguarda l’ottimo lavoro svolto con Grisman o chi per lui, ma dischi come il precedente On The Rampage o questo False Dawn poteva anche risparmiarceli.
Molto più utili, tutto sommato, gli album realizzati da ragazzino (pochi anni fa) quando non pretendeva altro che di cimentarsi su quel repertorio tradizionale cui ha dato certamente un notevole apporto dal punto di vista tecnico in una decina d’anni densi d’allori mietuti in tutti gli Stati Uniti. Ma evidentemente la ‘grismanite’ a lui ha dato un po’ alla testa e un giorno ha deciso che, se era così bravo, perché non poteva anche lui permettersi di creare la ‘sua’ musica?
Ed ecco quindi che, prese a prestito sempre da Grisman la terminologia classicheggiante e le stesse ambizioni musicali, ci regala un album denso di ‘opere’ e di megalomania in cui suona da solo una ventina di strumenti fra archi, chitarre, mandolini e percussioni, con rara maestria e molto poco fascino.
Dei fuoriusciti dal Quintet mi sembra decisamente più interessante e sicuramente originale The Duo della coppia Anger-Marshall di cui parleremo presto, e d’altronde, ad essere sinceri, neanche l’ultima produzione dell’Unit di Tony Rice riesce ad eccitarmi molto.
C’è da dire comunque che, forte delle numerose esperienze degli ultimi anni, non ultima quella con il gruppo rock Dixie Dregs di Steve Morse, O’Connor merita in ogni caso un applauso per come riesce ad utilizzare la sua paurosa collezione di strumenti e che, a tratti, è anche possibile apprezzare qualcosa degli otto brani: difficile decidere quale sia lo strumento che esce vincitore dalla disputa e comunque non credo che questo sia molto importante.
L’album è dedicato alla memoria del padre, che è stato poi produttore e manager del figlio per i primi anni della sua carriera, e, per non essere parziale, il nostro bambino scrive sulla copertina: “Io sono tutto per te, mamma, con questo magico bizzarro”. Speriamo che cresca.
Rounder 0165 (Bluegrass Progressivo, 1983)
Stefano Tavernese, Hi, Folks! n. 9, 1984