Silvio Ferretti banjo mandolino chitarra dobro pick up legni action materiali e tensioni

Una chitarra ce l’hanno tutti, o quasi. Una chitarra buona ce l’hanno in meno. Una chitarra facile da suonare ce l’hanno in meno ancora. Per questo molti di voi, o noi, si fanno venire la febbre e la nausea quando ricevono una richiesta come quella del titolo: la prospettiva di suonare per 5 o 6 ore su uno strumento duro da far sanguinare le dita, senza amplificazione (sulla spiaggia?), e con 10 o 15 persone che urlazzano canzoni di Battisti o Masini a sovrastare le note della nostra Yamaha è un incubo peggiore di molti altri (trovarsi a letto con Rosi Bindi, naufragare con Aldo Busi, etc).

Per tutto ciò abbiamo il dovere di rendere la nostra chitarra suonabile, pur mantenendole un buon volume.
Stiamo naturalmente parlando di chitarre con una ‘action’ alta, ma fondamentalmente buone, come sono spesso le varie Yamaha, Takamine o altro che possiamo acquistare con la nostra borsa… Il discorso, lo vedremo, è però anche valido per chitarre di pregio, dato che la stessa action può essere alta per me ma buona per mio cugino, e qualsiasi fabbrica di strumenti musicali non può fare altro che trovare un’action ‘media’, tale da rendere la chitarra presentabile al cliente medio, senza friggimenti e con una buona risposta, ma spesso lungi dall’action che i singoli chitarristi considerano ideale.

Per prima cosa, come consiglia Tony Rice (che di chitarre suonabili se ne capisce) dobbiamo abbassare le corde al capotasto in modo da alleggerire la mano sinistra quando suoniamo a tastiera aperta. Va da sé che come primissima cosa dovremo controllare che il manico sia dritto.

Presumo che quasi tutti voi abbiate una chitarra munita di ‘truss rod’ nel manico, e che questa ‘truss rod’ (asta di sostegno) sia regolabile. In caso contrario, e questo significa in presenza di tutte le Martin costruite prima di 10 anni fa (circa) così come di molte altre chitarre anche di qualità elevata, non potrete fare altro che chiedere aiuto ad un liutaio, sperando che il manico sia effettivamente raddrizzabile.

Se il manico è ‘dritto giusto’, come abbiamo già stabilito, la 6a corda premuta al 1° e al 12° (o 14°) tasto resterà di circa 4/10 di mm al di sopra del 6°-7° tasto, o comunque con un certo spazio fra corda e tastiera.

Usate il 12° o 14° tasto e non l’ultimo, perché una truss rod va valutata solo nella porzione di manico dove effettivamente funziona, cioè sino al 12°-14° tasto, cosa del tutto razionale visto che per il resto della tastiera l’altezza della corda dipende più che altro dall’assetto manico-cassa.

Per il momento, però, tutto ciò che noi piccini possiamo fare è controllare che la truss rod sia alla giusta tensione, e al massimo tirarla un po’ per ottenere la giusta curvatura del manico.

Tirarla come? Mollando prima un po’ le corde, e girando in senso orario il dado della truss rod, lentamente e senza esagerare (riparleremo di truss rod più esaurientemente in futuro). Fatto questo iniziamo a lavorare di limette.

Metodo rapido per determinare l’altezza ideale dei solchi del capotasto: premendo una corda tra 2° e 3° tasto, questa deve appena appena sfiorare il 1° tasto. Se c’è qualcosa di più di questo spazio minimo la corda sarà troppo alta (= dura in prima posizione), se la corda tocca il tasto, o addirittura vi si piega sopra, il rischio di friggimenti sarà elevato o garantito.

Come abbassare (=approfondire) i solchi delle corde al capotasto vi è già stato spiegato in un precedente numero: non dimenticate di lavorare lentamente, dato che la classica ‘limata di troppo’ è pressoché inevitabile anche per apprendisti liutai più scafati di voi. Ma anche se vi dovesse succedere non sarebbe la morte di nessuno: se volete, provate a riempire il solco esagerato con una goccia di Attak (Super Glue, Krazy Glue, cianoacrilato insomma), e spolveratevi sopra un po’ di limatura del materiale di cui è fatto il capotasto. Non toccate più niente per alcune ore, meglio per tutta la notte, quindi riscavatevi un solco giusto nella ‘protesi’ così confezionata, non dimenticando naturalmente di sistemare anche l’estetica (rimuovere cioè l’eccesso attorno al solco) a termine di lavoro. Funziona, ve lo assicuro, ma non raccomanderei un ‘tapullo’ (cioè ”riparazione improvvisata’ in genovese) di questo tipo su di una Martin D-18 o Gibson J-35 del ’37… Se avete una chitarra di valore, e non siete sicurissimi di quello che fate, è sempre meglio rivolgervi ad un liutaio vero, non dimenticatelo.

Sistemato il capotasto, è il momento di controllare l’altezza delle corde al ponte: da questa dipende l’entità del ‘lavoro’ della mano sinistra, naturalmente, ma anche la fatica che la mano destra farà per mettere il vibrazione le corde, come pressione esercitata dalla stessa (plettro o dita che sia) sulle corde, quindi la ‘suonabilità’ della chitarra. Da essa, però, dipende anche la pressione esercitata dalle corde stesse sul ponte, quindi l’entità della vibrazione trasmessa dalle corde al ponte alla tavola armonica.

Corde alte = volume alto, si è già detto, pur con tutte le eccezioni e i distinguo: volume non significa chiarezza di suono, e spesso uno strumento non molto chiassoso ma dotato di chiarezza di suono è in grado di farsi sentire distintamente meglio di un altro strumento rumoroso ma confuso (Tony Rice lo dimostra quotidianamente con la sua D-28 del ’35, che pur avendo un’action bassissima ha un suono di rara definizione, con note comprensibili ed espressive – almeno in mano a Tony – indipendentemente dal volume).

Molte chitarre nuove hanno inoltre un assetto corde-osso-ponte tale che l’altezza delle corde sulla tastiera sia troppo alta (per le nostre mani da lattante: guardate le foto della vecchia D-18 di Lester Platt e ne riparliamo…). La prima cosa da fare è abbassare l’osso del ponte.

Assumiamo che il suo profilo superiore (quello su cui poggiano le corde) sia corretto, cioè con una curvatura più o meno uguale a quella della tastiera, e un idea obliquato in modo da essere più alto sui bassi, e che anche lo ‘stondamento’ della sua sommità sia corretto: tutto ci suggerisce di lavorare sulla base dell’osso, la parte cioè che poggia sul fondo del solco nel ponte. Qui il lavoro è delicato, perché si presume che il fondo del solco sia piano, e quindi che debba essere perfettamente piana anche la base dell’osso. Se nel lavorare la base dell’osso finiamo per arrotondarla, ridurremo la sua adesione con il ponte, quindi rischieremo di compromettere (anche se di poco) il suono.

Come lavorare? Semplice: lentamente e accuratamente, carteggiando il fondo con movimenti avanti e indietro (o meglio solo ‘a tirare’) su una carta vetro non grossolana, possibilmente incollata su una superficie (truciolare o quello che volete) perfettamente piana, senza inclinare o ruotare l’osso e senza spingere più su un estremo che sull’altro. Dovreste avere segnato il limite della vostra azione sull’osso stesso, tracciando una linea alla distanza che volete ridurre, ma ogni tanto fermatevi, in ogni caso, rimontate osso e corde, riaccordate la chitarra e provatela: può essere che l’action desiderata sia raggiunta in pochi minuti, e non è il caso nemmeno qui di dare la ‘botta di troppo’.

Può anche succedere, però, che con l’action desiderata la situazione al ponticello sia opposta: corde che passano quasi senza angolazione su un osso bassissimo, quindi scarsa pressione sul ponte, e suono moscio, con facili friggimenti o addirittura ‘effetto sitar’, che non c’entra con Bill Monroe. Il problema è ripristinare una certa angolazione delle corde, ovviamente, ma non mi pare il caso di rasare il ponte fino a fare spuntare l’osso come dovrebbe (non scherzo, l’ho visto fare su chitarre anche buone, ma dovrebbe essere un rimedio estremo, e sicuramente non da usare su chitarre vintage!).

Osservate i fori per le corde, quelli dove si infilano i piolini: noterete quasi sempre che sono stati fatti fori perfettamente rotondi, senza traccia di ‘invito’ per la corda verso l’osso. Il punto di uscita della corda dal ponte, di conseguenza, è molto indietro rispetto all’osso: basterà praticare un piccolo solco (di calibro adatto alla singola corda) al davanti del foro per fare sì che la corda arrivi sull’osso con un angolo maggiore. Questo lavoretto, badate bene, va fatto con calma e accuratezza, e senza esagerare, dato che seghiamo un ponte che vorremmo evitare di sostituire (lavoretto da almeno mezzo milione…), possibilmente usando l’attrezzo giusto, che è venduto da Stewart-MacDonald e può costare poco.

Piano! perché il ponte si ‘mangia’ rapidamente, e c’è il rischio di andare storti.

Quando il solco è della profondità giusta lo potrete completare con una lima triangolare, che eviterà che i bordi acchiappino la corda come già spiegato per il capotasto, o analogamente con lime tonde del diametro giusto (cioè di poco superiore al calibro delle corde).

I vecchi e ottimi ponticelli delle acustiche Gibson fino al 1952-53, fatti ‘banalmente’ a forma rettangolare, avevano i solchi al davanti dei pioli esattamente come li vogliamo: ragione di più per provarci.

A questo punto la vostra chitarra dovrebbe avere un’action ideale per voi, e avere conservato il suono di prima della cura. Oppure avrete già speso un paio di milioni in una chitarra nuova e in un avvocato, per denunciarmi per incauto consiglio. Ma tengo famiglia, vi prego…

Silvio Ferretti, fonte Country Store n. 33, 1996

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