Bill Monroe (1911-1996) – The Father of Bluegrass Music
Le origini
Bill Monroe (William Smith Monroe) nacque presso Rosine, Ohio County, Kentucky, il 13 Settembre 1911, ultimo di otto figli di James Buchanan Monroe (‘J.B.’ o ‘Buck’) e Melissa Vanderver (o Vandiver) Monroe. Il padre era agricoltore, e ricavava legna e carbone dalla non enorme proprietà della famiglia, inoltre era ottimo ballerino di ‘step dancing’; la madre, oltre a badare a otto figli, suonava nei rari momenti liberi il fiddle, la fisarmonica e l’armonica, e conosceva innumerevoli antiche ballate. Uno zio, Pendleton Vanderver (‘Uncle Pen’), era un fiddler famoso e sempre presente alle feste e danze della piccola comunità.
I fratelli di Bill suonavano diversi strumenti, in particolare il maggiore, Harry, era un buon fiddler, e così anche Birch, che avrebbe per anni seguito il fratello, Charlie e Benha suonavano la chitarra: a Bill non restò che ‘scegliere’ il mandolino, strumento negletto dai fratelli, e inizialmente reso più inoffensivo limitando le corde a quattro!
Dalla famiglia Bill trasse la maggior parte della sua educazione musicale, ma molto gli venne anche dal frequentare le ‘singing schools’ delle chiese locali, in cui i fratelli Monroe impararono a cantare gli antichi inni a ‘shape notes’, anche se Bill, a causa della vista debole e dello strabismo che lo affliggevano da bambino, non poteva in effetti leggere i libri di inni, e quindi era costretto ad imparare col solo ascolto.
Fondamentale fu pure l’incontro con la musica nera, ascoltando gli ‘holler’ dei lavoratori dei campi e delle ferrovie ma anche suonando con un amico, il chitarrista e fiddler di colore Arnold Schuttz, che Bill accompagnò spessissimo dal 1921 in poi, dopo la morte della madre.
Alla morte del padre, avvenuta quando Bill aveva 16 anni, i giovani Monroe vissero per un po’ con Uncle Pen, quindi nel 1929 si trasferirono prima nell’area di Detroit, per lavorare nelle nuove fabbriche di automobili, poi in raffineria nell’area di Chicago. Per cinque anni Bill tenne un lavoro stabile con la Sinclair Oil, aiutando fratelli e sorelle nei primi duri anni della Depressione.
Nel 1932 Bill, Charlie, Birch e l’amico Larry Moore vennero scoperti ad una square dance da Tom Owens, manager di uno spettacolo di square dance per la stazione radio WLS di Chicago, e furono ingaggiati come ballerini di professione per spettacoli del WLS Tour nel Midwest, con il popolare show The Barn Dance.
I Monroe Brothers
Due anni dopo, nel 1934, Bill prese la decisione di diventare musicista di professione, ed ottenne un contratto con Charlie per la Texas Crystals (un lassativo!…), sotto il nome di Monroe Brothers. Nel 1936 i Monroe Brothers passarono dalla Texas Crystals alla più importante Crazy Waters Crystal Company,apparendo regolarmente nel programma Crazy Barn Dance della WBT. Sempre nel ’36, a Charlotte, North Carolina, i fratelli Monroe registrarono diversi pezzi per la Bluebird (RCA), incisioni storiche che contribuirono non poco ad accrescere la loro fama come uno dei migliori ‘Brother duets’ del periodo.
Fra il 1936 ed il 1938 i due registrarono 60 ‘sides’, in 10 sessions, quasi tutte reperibili oggi su CD o sugli LP Feast Here Tonight (RCA AHM2 5510) e The Monroe Brothers (Old Time Classics 6003, bootleg di difficile reperibilità). Frequentando i Bluebird Studios (o Southern Radio Corporation) i fratelli Monroe poterono osservare musicisti come i Delmore Brothers e Arthur Smith, e nelle stazioni radio WFBC di Greenville, South Carolina, e WPIF di Raleigh, North Carolina, vennero in contatto col banjoista Snuffy Jenkins, futuro ispiratore di Earl Scruggs, Don Reno e molti altri.
Bill Monroe e la sua evoluzione
Nel 1938 i fratelli Monroe decisero di separarsi, per ragioni personali e musicali, e Bill si trasferì a Little Rock, Arkansas, dove organizzò un gruppo chiamato The Kentuckians. Dopo soli tre mesi gli apparve chiaro che era necessario fare qualcosa di diverso, e decise di trasferirsi ad Atlanta, Georgia, e formare una nuova band, che chiamò The Blue Grass Boys (in omaggio allo stato natio), con chitarra, fiddle, jug e, ovviamente, mandolino.
In un paio di mesi, lavorando nelle Carolina, la band ‘acquistò’ un contrabbassista, e con frequenti apparizioni specialmente ad Asheville, N.C., e Greenville, S.C., si costruì la fama di una band tradizionale, con la classica enfasi sul fiddle, ma anche nuova nell’ampia scelta di repertorio, includendo musica sacra e non, strumentali e comedy, e soprattutto con una vocalità decisamente unica.
Nell’Ottobre del 1939 il grande passo: un’audizione a Nashville, alla WSM portò al contratto per le trasmissioni del sabato sera della Grand Ole Opry, di cui Monroe restò membro permanente per 57 anni.
Attraverso la Grand Ole Opry Bill Monroe divenne ben presto famoso in tutti gli stati del Sud, e nel 1940 ritenne di essere pronto per iniziare una carriera discografica a suo nome.
Da allora, ed in particolare dalle storiche incisioni dell’Ottobre 1946, il nome di Bill Monroe & his Blue Grass Boys è sempre stato legato ad un genere di musica originale e al contempo tradizionale, country music diversa dalla precedente, più moderna ma al tempo stesso antica, una musica che, dagli anni cinquanta, tutti conosciamo come Bluegrass.
Bill Monroe: The Father of Bluegrass
“Bluegrass – non esiste un nome più bello al mondo”. Queste parole sono state pronunciate dalla persona che, senza dubbio, ha più diritto di fare una simile affermazione: Bill Monroe è stato infatti ideatore, progenitore, artefice del bluegrass, principale influenza, e ‘padre’ di tutti i musicisti che hanno seguito i suoi passi. Scrivere di Monroe è terribilmente difficile: è quasi impossibile evitare di cadere nel retorico, nello pseudo-storico, o semplicemente nello scontato.
Come potrebbe infatti essere facile parlare di un musicista che ha avuto una carriera musicale professionale di oltre 60 anni, con centinaia di incisioni, ha insegnato a generazioni di mandolinisti non classici (bluegrass, folk, rock, jazz) un modo di suonare diverso dai precedenti, addirittura condizionando la produzione di un modello di mandolino ben preciso, è riuscito a creare e mantenere vivo e puro per mezzo secolo un genere musicale in continua evoluzione, nato per essere tradizionale e al tempo stesso rivoluzionario, sempre diverso ma sempre chiaramente identificabile e inconfondibilmente Monroe? E siamo caduti nella retorica e nello scontato: inevitabile, temo…
La storia musicale di Bill Monroe nasce nella fattoria vicino a Rosine, ‘cullata’ dalle canzoni della madre, dal suono del suo fiddle, e ritmata dallo ‘step-dancing’ del padre, ma trova le sue radici principalmente nell’old time fiddle di Uncle Pen Vanderver e nella chitarra blues di Arnold Schultz, oltre che nei gospel battisti ascoltati ed imparati in chiesa: hoedown, blues, gusto della coralità, queste sono in sintesi le basi su cui il bluegrass si è sviluppato.
Il primo periodo della musica di Monroe non si stacca naturalmente dalle radici: Bill, ragazzo di poco più che 10 anni, lavora sodo per apprendere e fare propria la musica che ascolta e suona in famiglia e nella comunità di Rosine. Accompagnare Uncle Pen gli insegna ad avere padronanza del ritmo, a coglierne le più o meno sottili variazioni, le diverse progressioni armoniche dei pezzi; il blues di Arnold Schultz infonde nel suo animo di giovane musicista un suono triste, solitario, che ben si lega con la desolata, acuta (anche nel suono) tristezza delle antiche ballate di origine anglo-scoto-irlandese; gli inni ‘shape notes’ lasciano in Bill un profondo amore per i cori, le note ben fuse, il suono alto e limpido di voci ‘educate’ naturalmente, gli intervalli armonici dal suono antico e spesso inquietante. Tecnicamente, poi, il suonare con Pen o Arnold alle square dance, spesso dal tramonto alla mattina, gli insegna a tenere il ritmo con precisione e senza sgarrare, un ritmo “that you could dance to it”.
Come scrive Neil Rosenberg, “La teoria musicale del bluegrass viene in parte da queste scuole di musica grezze ed immediate”. Un distacco abbastanza marcato dalla tradizione, accompagnato da un’impronta personale ed originale nell’approccio al materiale tradizionale, è caratteristica spiccata, invece, del periodo Monroe Brothers.
Le somiglianze del duo con altri artisti analoghi dello stesso periodo (Blue Sky Boys, Delmore Brothers, Carlisle Brothers etc) si riducono in fondo agli strumenti, o alla scelta del repertorio, o ad un approccio ‘rurale’ alla musica suonata, musica che però si distingue notevolmente nelle mani dei Monroe per l’elevato livello tecnico raggiunto sugli strumenti (particolarmente da Bill), per la pulizia tutt’altro che rurale del suono, per i quasi sofisticati arrangiamenti di certe parti vocali.
The Bluegrass Boys
Molte cose cambiano per Bill Monroe nel 1939, quando, finalmente, la moltitudine di idee, progetti, ambizioni a lungo coltivata, ma soffocata nella parte di fratello minore, può trovare una forma compiuta. Qui ha veramente inizio la storia della musica di Bill Monroe & his Blue Grass Boys, anche se ancora non si può parlare, in senso stretto, di bluegrass.
La formazione originale dei Blue Grass Boys comprende chitarra, fiddle, contrabbasso, oltre naturalmente al mandolino di Monroe. Il suono è già grintoso, esplosivo, anche se ancora incompleto, visto a posteriori, e gli ascoltatori della Grand Ole Opry su WSM trovano in esso una nuova dimensione nell’ambito di una country music spesso un po’ stanca e priva di vitalità, anche se di grosso successo commerciale. L’aggiunta di un banjo a 5 corde, suonato in ‘clawhammer’ e saltuariamente in un rudimentale two-finger picking da Dave Akeman, meglio noto come ‘Stringbean’, e di una fisarmonica (omaggio ai ricordi di infanzia o complesso di Edipo irrisolto?…) suonata da Sally Ann Forrester (moglie del fiddler Howdy Forrester) non aggiungono nulla alla nuova musica della band, e l’esperienza è di breve durata.
E’ solo all’inizio del 1945, infatti, che i Blue Grass Boys assumono un volto nuovo e definitivo, con l’ingresso nella band del chitarrista e cantante Lester Flatt e, mesi dopo, del banjoista Earl Scruggs. Con Monroe, Flatt e Scruggs, il fiddler Chubby Wise ed un contrabbassista (Birch Monroe prima, quindi Howard Watts), il nuovo stile di Monroe ha modo di esprimersi in tutto il suo vigore.
La base ritmica potente e ben articolata fornita dalla chitarra di Flatt e dal contrabbasso trova un aiuto nel nuovo modo di accompagnare col mandolino sviluppato da Monroe: accordi stoppati, in 4/4 o 2/4, spesso più marcati in levare, con un effetto quasi di rullante della batteria.
Su questa base ritmica lo stile sincopato dei breaks di mandolino può essere esplorato in assoluta libertà, il fiddle fluido e bluesy di Wise si può staccare dall’obbligo delle arcate ritmiche proprie dell’old time music e mutuare fraseggi e soluzioni dai nascenti western e Texas swing, e il banjo di Scruggs (nel cui suono il bluegrass trova più spesso immediata identificazione) danza intorno alla melodia in una serie di note legata e fluente, interrotta solo per accrescere la sincopatura del fraseggio.
Le voci, come gli strumenti, sono già quelle che conosciamo ai giorni nostri: l’impostazione alta dei cori, solo in alcuni gospel bilanciati dall’aggiunta di una voce bassa, l’uso frequente di un lead acuto, intenso e giocato su effetti tipici del blues, il tipico trio con lead, tenor e baritone ma allora più spesso il semplice duetto di lead e tenor, più libero negli intervalli e certamente più ‘lonesome’, sono tutti elementi caratteristici di uno stile che dal ’46 ad oggi si è continuamente rinnovato, per restare vivo e fresco, pur mantenendosi fondamentalmente uguale a se stesso, integro, radicato nelle diverse tradizioni da cui proviene e nel suo stesso passato.
Bill Monroe: lo ‘stile’ si affina
All’ascolto delle molte incisioni di Monroe si rendono presto evidenti i ‘punti chiave’ su cui il padre del bluegrass ha agito di volta in volta per variare la propria musica, sotto null’altra spinta al di fuori della propria ispirazione, e se consideriamo che il bluegrass è musica fatta di un numero limitato di suoni, in quanto prodotta da pochi strumenti e poche voci, è strabiliante la varietà di combinazioni sfruttate da Monroe nel corso della sua carriera.
Il periodo con Flatt, Scruggs e Wise si caratterizza per un’impostazione vocale in gran parte adattata alla voce calda e rilassata di Flatt, con pezzi in tonalità relativamente ‘basse’, e in parte al contrario basata (come ovvio) sul tenor alto e chiaro di Monroe. Strumentalmente il suono del gruppo è legato dal fiddle di Wise, con un’impronta bluesy che di rado si ritroverà in modo così marcato in anni successivi.
Scruggs, che finalmente può suonare con un gruppo di musicisti alla sua altezza, fa letteralmente scuola, esplorando le possibilità del proprio strumento con una sicurezza che smentisce la sua giovane età, ed agendo quasi da trait d’union fra il suono legato di Wise e quello sincopato di Monroe.
Il suo stile è sempre nuovo, sempre diverso dal passato ma sempre legato ad esso, di volta in volta riversando sull’ascoltatore cascate di note (Why Did You Wander, Going Back To Old Kentucky, Molly And Tenbrooks), o suonando il blues in modo quasi pianistico (Blue Yodel #4, Heavy Traffic Ahead’), o ancora ritornando in parte ad un suono alla Snuffy Jenkins (alcune incisioni dal vivo di Little Maggie).
Il contrabbasso, specie nelle mani di Howard Watts (meglio noto come ‘Cedric Rainwater’), tende ad imporre un ritmo in 4/4 più che in 2/4, poco old time e molto ‘country’ per il periodo, legato e fluido, con tonnellate di grinta acustica. Questo è il suono che caratterizza la ‘Originai Bluegrass Band’ anni 1945-48, e che Monroe tenderà a mantenere anche dopo l’uscita dal gruppo di Flatt e Scruggs, utilizzando un banjoista di scuola Scruggs come Rudy Lyle e un chitarrista/ cantante dalla voce ‘educata’ come Mac Wiseman.
La breve permanenza di Don Reno nei ranghi dei Blue Grass Boys (non documentata da incisioni) fu il primo di molti ‘scambi’ musicali, di enorme valore, fra musicisti allora giovani, ma dotati di enorme potenzialità e di forte personalità, e l’allora quasi quarantenne padre del bluegrass: è dell’inizio degli anni ’50 la collaborazione con Monroe di Jimmy Martin, Carter Stanley, Sonny Osborne, e di una lunga serie di violinisti, come Merle ‘Red’ Taylor, Gordon Terry, o Vassar Clements, destinati a dare un suono diverso ai Blue Grass Boys.
E’ pure di questo periodo il passaggio di Monroe dalla Columbia, ‘colpevole’ di avere accolto nei propri ranghi Lester Flatt, Earl Scruggs & the Foggy Mountain Boys, alla Decca, poi MCA, etichetta a cui resterà legato sino alla fine. In questo inizio degli anni ’50 il suono di Bill Monroe & his Blue Grass Boys, come già detto, cambia in modo significativo, staccandosi dal modello canonizzato con Flatt e Scruggs e, in parte, seguito anche nei due anni successivi alla loro partenza.
Rudy Lyle è presente per tre anni nelle session e in concerto, ma a cambiare radicalmente il suono arrivano la voce e la chitarra di Jimmy Martin; con lui Monroe registra classici come Little Georgia Rose, Uncle Pen, Boat Of Love o I’m On My Way To The Old Home, pezzi in cui le voci sono alte, penetranti, ed il suono stesso degli strumenti sembra ancora più ‘high lonesome’.
In questo periodo Monroe sfrutta in pieno per le prime volte tonalità ‘difficili’ come Sib o Si, sconosciute nell’old time music e tipiche del suono Monroe. Il ruolo dei fiddler in questi anni cambia, assumendo un’importanza decisamente maggiore rispetto al passato: se Earl Scruggs aveva la parte del leone in molti pezzi, a volte suonando addirittura tutti i breaks di una canzone (ad esempio in Molly And Tenbrooks in non poche incisioni dal vivo), è ora il fiddle ad assumere un ruolo ancora più preminente, ruolo che manterrà nelle diverse successive evoluzioni della musica di ‘Papa’.
Bobby Hicks, Charlie Cline, Joe Stuart, Dale Potter, Kenny Baker influenzano col loro stile personale la musica dei Blue Grass Boys, e sono protagonisti di diverse canzoni impostate letteralmente sul fiddle: la già citata Uncle Pen, la curiosa The Old Fiddler, e tutta una serie di ‘state waltz’ come Kentucky Waltz e Alabama Waltz, oltre ai numerosi breakdown di cui la produzione di Monroe è costellata.
Nel 1951 la Decca fa un tentativo (fortunatamente rimasto isolato) di registrare la voce di Monroe senza il supporto della sua band, utilizzando musicisti di studio e suoni molto country e per niente bluegrass: il risultato di due session faticosamente portate a termine in questo modo, pur con session-men del calibro di Grady Martin, Ernie Newton e Owen Bradley, sono dieci sides di valore più che altro ‘storico’: i Blue Grass Boys potranno anche essere diversi da una session all’altra, ma il suono tipico della band resta il supporto essenziale per la voce di Bill Monroe, e non c’è dimostrazione più chiara di queste sides (anonime e ‘innaturali’, se vogliamo, nel loro suono elettrico e pesante) per comprendere la completezza dello stile di Monroe.
L’imprevisto
Nel Gennaio 1953 Bill Monroe ha un grave incidente d’auto in compagnia di Bessie Lee Mauldin (sua contrabbassista), e si procura fratture a schiena, braccio sinistro e naso, oltre ad altre lesioni, restando in condizioni critiche per lungo tempo e lontano dalle scene per mesi. La forzata inattività gli da modo di rendersi meglio conto della notevole popolarità raggiunta dalla propria musica, e degli ‘svantaggi’ di questa popolarità: come gli Stanley Brothers l’avevano battuto sul tempo nel ’47 nel registrare Molly And Tenbrook, così ora i vecchi compagni di strada Flatt & Scruggs registrano Pike Country Breakdown prima di lui.
Ora, però, la portata di queste azioni vagamente piratesche è minore, e tutte le cover dei suoi pezzi sembrano più atti di omaggio e adulazione che furti o tentativi di sfruttare la crescente popolarità del genere.
Monroe può anche rendersi conto di quanto la sua musica valga sul mercato dal fatto che ogni casa discografica ha almeno una bluegrass band sotto contratto, da Flatt & Scruggs a Jim & Jesse, Stanley Brothers, Mac Wiseman, Reno & Smiley.
E’ evidentemente tempo di operare variazioni al suono della band, per mantenerne l’unicità: da cambiamenti minimi (il break di banjo di Sonny Osborne su Pike County Breakdown) a notevoli, come l’uso di due o tre violini in armonia, caratteristica questa presente in moltissimi pezzi dal 1954 in poi.
Dobbiamo tenere presente che in quegli anni il rock ‘n’ roll sta iniziando a spopolare, la country music ne risente molto, e di conseguenza Monroe fatica a tenere una formazione stabile nel tempo: un musicista può essere presente in una registrazione, ma assente dalla band che appare in concerto nello stesso periodo. Così pure un pezzo può essere stato composto da Monroe in stretta collaborazione con un determinato musicista, e con lui suonato per mesi o anni, e venire inciso poi a distanza di tempo con un altro musicista.
Probabilmente i violinisti che registrarono ‘twin fiddle’ o ‘triple fiddle’ con Monroe in quel periodo non ebbero molte occasioni di trovarsi sullo stesso palco con lui, ma queste sono considerazioni storiche: quello che conta per noi oggi è l’inconfondibile suono prodotto da queste combinazioni, un suono pieno, trascinante, a tratti più bluesy e aspro, in generale più brillante, di notevole sostegno per gli altri strumenti e per la voce in particolare.
Se è vero che banjo e mandolino sono un po’ sacrificati in questo nuovo assetto della band, vedendo ridursi lo spazio per i propri break, è anche vero che i Blue Grass Boys con due o tre fiddle sono una band con un suono decisamente unico, unito, carico ma non sovrabbondante, e con un drive difficilmente eguagliabile.
Ascoltare Blue Moon Of Kentucky con i fiddle di Gordon Terry, Red Taylor e Charlie Cline, Wheel Hoss con Bobby Hicks e Charlie Cline, Tall Timber, ancora con Hicks, Terry e Clements, o Panhandle Country e Scotland con Kenny Baker e Bobby Hicks, dá un’ottima idea del suono dei Blue Grass Boys di quegli anni.
Importanti in quegli anni anche i ruoli delle voci, che Monroe rivede in parte rispetto al passato: la precedente produzione era molto equilibrata, con soli, duetti, trii (si può dire?…) e quartetti (nei gospel). Con Flatt le parti lead erano divise in misura equa, e i duetti erano frequenti; così anche con Wiseman, e in misura ancora più accentuata con Carter Stanley e Jimmy Martin, lead singer degni di massima considerazione e rispetto.
La crisi e le conseguenti scelte
Dopo l’uscita di Jimmy Martin dai Blue Grass Boys, avvenuta nella primavera del 1954, i pezzi corali si fanno rarissimi, con l’eccezione dei gospel (peraltro meno numerosi di prima): Monroe assume il ruolo di unico lead singer del gruppo, passando al tenor nei cori, e fino all’inizio degli anni ’60 il suono vocale dei Blue Grass Boys è il suono della voce di Monroe.
Molto probabilmente alla base di questa scelta stanno le notevoli difficoltà attraversate dai musicisti bluegrass negli anni ’50 e ’60 (con l’eccezione di Flatt & Scruggs), anni a tutti noti come terribili economicamente per un genere completamente soverchiato, commercialmente, dall’ondata del rock ‘n’ roll.
Monroe deve spesso adattarsi a suonare con i musicisti che può trovare ‘sul posto’, e così fa per anni, portandosi dietro chitarrista e violinista e confidando negli appassionati locali, e cambiando la composizione dei Blue Grass Boys ad ogni tour, non potendosi spesso permettere di pagare trasferte a tre o quattro persone.
Le registrazioni di questo periodo, peraltro, poco risentono di queste difficoltà, essendo state eseguite in massima parte a Nashville, ma si sa che alcuni pezzi sono stati incisi in modo diverso da come Monroe li avrebbe voluti, proprio per l’impossibilità da parte di questo o quel musicista a trovarsi in studio al momento delle session.
Non dipendere da un determinato chitarrista per un lead è perciò una necessità assoluta per Monroe, di qui la scelta di assumere lui questo ruolo, e limitare al massimo i pezzi in duo o trio, che necessitano di lunghe ed accurate prove.
Verso la fine degli anni ’50, grazie all’ostinazione e determinazione di Monroe, la situazione migliora lievemente, e Monroe riesce ad avere una band abbastanza stabile: è sintomatico che sia di questo periodo l’insieme di session che ha portato ad uno dei suoi migliori album gospel, I Saw The Light, cantato tutto in quartetto. Il miglioramento, però, è solo temporaneo, e per altri tre anni Monroe torna ad essere, almeno su disco, l’unico cantante della band, e a registrare pochissimi pezzi con armonie vocali.
Fra i musicisti oggi famosi che furono nei Blue Grass Boys in quegli anni ricordiamo, oltre ai già nominati Hicks, Clements, Taylor, Terry e compagnia, anche Don Stover, Jack Cooke e Bessie Lee Mauldin. Quanto a Monroe stesso, notiamo in questo periodo una rapida e notevole maturazione stilistica, vocalmente e strumentalmente: la sua voce si fa più espressiva, sofferta a tratti, intensa e viva, più duttile e mobile che in passato, e resa più vigorosa dal nuovo ruolo quasi esclusivamente solistico.
Il mandolino è sempre lo stesso, ma è sempre più grintoso, legnoso e vibrante, carico di una asprezza blues che ancora non aveva appieno ai tempi di Flatt e Scruggs. Compaiono in repertorio nel 1950 alcuni pezzi, come Blue Grass Ramble e Get Up John, in cui il mandolino è accordato in ‘cross-tuning’, cioè con una o due coppie di corde non accordate fra di loro all’unisono, bensì in modo da formare un accordo (ad esempio re e la per la prima coppia, usualmente mi, e la e fa# per la quarta coppia, usualmente sol, in Get Up John), e sono degli anni ’50 alcuni strumentali basati sul mandolino, come Rawhide o Roanoke.
Sono questi i pezzi che hanno ispirato generazioni di mandolinisti, gli strumentali su cui è cresciuto Sam Bush, si è formato Doyle Lawson, hanno fondato la propria follia John Duffey e Frank Wakefield: musica che avvicina le generazioni come pochi altri generi musicali hanno saputo fare.
Bill Monroe: di nuovo alla ribalta
Con gli anni ’60 la grossa crisi (economica e discografica) del bluegrass si attenua, e col ‘folk revival’ la musica di Bill Monroe dilaga anche a nord della Mason-Dixon Line, negli stati yankee, grazie alla diffusione ad un pubblico composto di studenti e persone ‘colte’, improvvisamente interessate a tutto ciò che suona anche vagamente ‘folk’.
Monroe trova un appoggio impagabile nel grande folklorista Ralph Rinzler, per molto tempo teso a sostenerlo in ogni modo, come manager, promotore, storico della sua musica e del suo ruolo nella storia musicale degli Stati Uniti, e amico fraterno.
Anche vari altri gruppi, per diverse vie, trovano maggiore spazio e più numerose occasioni: gli Osborne Brothers per primi, poi Flatt & Scruggs e gli Stanley Brothers trovano aperta la porta al circuito dei campus universitari e dei college. Flatt & Scruggs appaiono in televisione nel programma Folk Sound – USA, e la Carnegie Hall si apre al suono di banjo, fiddle e chitarra grazie a Earl Taylor & The Stoney Mountain Boys. Non pochi giovani di città abbandonano le canzoni dei Weavers e della giovane Joan Baez per dedicarsi allo studio di mandolino e banjo, e fondere le voci in trio, con uno ‘strano’ accento non propriamente kentuckiano, forse, ma pur sempre inconfondibile per chi sa cosa significhi bluegrass.
In queste ‘nuove leve’ di giovani Bill Monroe trova i punti forti della nuova ennesima operazione di rimodernamento della propria musica. Nel marzo 1963 entra nei Blue Grass Boys un giovane banjoista di Boston, William Bradford Keith, Bill per tutti, ma ‘Brad’ per Monroe (“Non c’è posto per due Bill in questa band, figlio!”).
La band registra tre strumentali e un gospel: Salt Creek, Devils Dream e Sailor’s Hornpipe diventano subito classici ovunque, e tali sono ancora a distanza di oltre 30 anni, e il nuovo ‘melodie style’ di Keith trova il migliore trampolino di lancio.
Con Bill Keith Monroe registra altri strumentali, tutti col banjo come strumento lead: uno stacco notevole dal passato, e una ‘nuova’ impostazione del suono dei Blue Grass Boys, ora in equilibrio sui break ben dosati di banjo, fìddle e mandolino. Ma l’importanza dell’impatto del ‘Keith style’ sul mondo bluegrass va ben al di là del semplice ritorno del banjo ad un relativo dominio nei lead: come nota Neil V. Rosenberg nella sua imperdibile discografia: “II periodo passato da Keith nei Blue Grass Boys non solo segnò la fusione del bluegrass ‘di città’ (cioè basato sul folksong-revival) con quello ‘di campagna’ (cioè basato sulla country music), ma segnò anche l’inizio di un grosso cambiamento di direzione nel banjo bluegrass al di fuori dello standard stabilito da Scruggs nelle registrazioni Columbia con Monroe”.
Questo mutamento di direzione trova il suo simbolo migliore in una nuova registrazione di Pike County Breakdown (oggi finalmente disponibile nel secondo cofanetto della Bear Family Records) in cui Keith riproduce la versione di Scruggs, per poi reinterpretarla nel proprio stile. E’ questo il modo in cui Monroe gli aveva chiesto di suonarla.
In questo periodo Monroe utilizza ancora musicisti di studio per alcune registrazioni, abitudine presa negli anni ’50 e da cui si staccherà ben presto, cercando uno stile che non può essere personale se non suonato con musicisti che lavorino costantemente con la band, anche al di fuori dello studio. Nel ‘dopo-Keith’ Monroe trova per un certo periodo la band ideale con tre giovani ‘cittadini’: Richard Greene al fiddle (da Los Angeles), Peter Rowan alla chitarra (da Boston) e Lamar Grier al banjo (da Washington), aiutati dal giovane figlio di Bill, James Monroe, al contrabbasso.
La voce robusta di Rowan, sostenuta da una chitarra potente e grintosa, il violino raffinato di Greene e il banjo squillante e sincopato nel fraseggio di Grier caratterizzano la produzione di Monroe per due anni: pochi nel complesso della carriera del maestro, forse, ma abbastanza per dare una nuova dimensione ed un nuovo sound alla sua musica, un sound contemporaneamente complesso ma tradizionalmente semplice, raffinato ma senza fronzoli, pulito ma non troppo perfetto, pieno e accuratamente arrangiato ma non troppo ‘colto’.
Dal duo Rowan – Monroe nasce Walls Of Time una delle canzoni più potenti e significative del padre del bluegrass. La sostituzione di Greene con Byron Berline, di Grier con Vic Jordan, e di Rowan con Roland White non muove di molto i Blue Grass Boys dal solco appena tracciato, ad onta della ‘non urbanità’’ (definizione, ammetto, raccapricciante) di questi musicisti: il suono della musica di Monroe nella seconda metà degli anni ’60 resterà un suono decisamente ‘moderno’ (come del resto, a ben vedere, era sempre stato anche in precedenza) nel contesto della musica ‘mainstream’ dei diversi periodi attraversati.
Negli anni che seguono (dal 1969 in poi) alcuni fatti contribuiscono a rendere questo suono stabile e difficilmente alterabile: la presenza di Kenny Baker al fiddle, principalmente, e la sua crescente importanza sia nei breaks sia nel back-up danno una tipica impronta vivacemente raffinata al sound dei Blue Grass Boys; inoltre il continuo avvicendarsi di musicisti sempre diversi ma sempre validissimi agli altri strumenti è una garanzia di ‘limitata varietà’ di questo sound.
Banjoisti come Rual Yarbrough o Bobby Thompson, infatti, devono necessariamente seguire le orme dei loro predecessori con notevole fedeltà, per non alterare troppo il ben arrangiato suono della band, ma hanno spazio sufficiente per esprimere il proprio stile personale senza eccessive limitazioni o coercizioni, essendo Monroe sempre ben conscio di quanto possa essere positivo l’apporto di un musicista valido per la sua ormai ben consolidata musica.
Quando poi il ruolo di banjoista dei Blue GrassBoys passa nelle mani di Jack Hicks, per restarci diversi anni, lo stile del gruppo trova finalmente modo di essere continuamente moderno, nel rispetto della tradizione e della personalità di Monroe, e di rinnovarsi senza strappi ed in modo armonico. Hicks, infatti, è il tipico banjoista degli anni ’70-‘8O, in costante equilibrio fra classico e nuovo, Keith e Scruggs, come in fondo la maggior parte dei suoi contemporanei.
In questo modo il suono della band resta sempre dominato dal fiddle, ma non cade di tono nei momenti in cui il banjo assume importanza, come al contrario accadeva quando Monroe usava banjoisti validissimi ma un po’ meno di spicco, come in fondo erano (senza offesa dato il contesto elevatissimo di cui ci si trova a parlare) i vari Robert Lee Pennington, Lonnie Hopper, Tony Ellis o Joe Drumright, di valore ma certo non ‘trend-setter’.
Nel dopo-Hicks troviamo diversi banjoisti di notevole classe, fra cui spiccano in particolare Joseph ‘Butch’ Robins, uno dei banjoisti più profondamente e intimamente ‘Monroeviani’ nella storia della band, e in seguito Blake Williams, per quasi 10 anni al fianco del maestro.
Bill Monroe degli ultimi anni
Nel 1981, alla tenera età di 70 anni, Monroe viene operato d’urgenza per un carcinoma del colon. La sera stessa è sul palco (anche se poi viene riportato di corsa in ospedale), in una grande anche se quasi prevedibile dimostrazione di forza e di amore per la musica e i suoi fans.
Chi ama il bluegrass e Monroe, comincia a pensare che l’uomo non possa essere eterno, anche perchè Monroe sta male per un periodo abbastanza lungo! Io ricordo bene, quasi un anno dopo, nella nebbiolina notturna di Louisville, alla fine di un incredibile Kentucky Fried Chicken Festival, rivolgersi ai suoi fans commossi con un “Don’t forget me!” che suonava molto significativo.
Nell’album Master Of Bluegrass, uscito nel 1982, la conclusione è affidata ad uno strumentale inquietante e assai particolare, My Last Days On Earth’, tutto mandolino in cross-tuning, con archi (non fiddle) ed effetti sonori di vento e grida di gabbiani, banali sulla carta ma da brivido all’ascolto da parte di chi sapeva (e ancora più da brivido ascoltata dal vivo, con Monroe accompagnato dal solo contrabbasso).
Il cancro, però, non la spunta con Monroe, e così pure non hanno ragione su di lui le fratture e gli incidenti cardiocircolatori per quasi 15 anni (come anche la poco spiegata distruzione – temporanea – del tanto amato Gibson F-5 Lloyd Loar del 9 luglio 1923, suo simbolo dal 1941), anche se età e cattive condizioni di salute frenano alquanto la sua attività. Oddio, frenano: 150-200 date l’anno non è che siano poche, e così i 6 o 7 album incisi in quel periodo, alcuni dei quali premiati con i più svariati award.
I riconoscimenti ufficiali
Di questi ultimi anni è pure la definitiva quanto meritata, e per questo quasi colpevolmente tardiva, consacrazione di Monroe all’Olimpo dei grandi musicisti di tutti i tempi, con riconoscimenti da parte di quattro Presidenti degli Stati Uniti, elezioni alla Country Music Hall of Fame e International Bluegrass Music Association Hall of Fame, awards dalla National Academy of Recording Arts and Sciences e altro.
Negli ultimi anni di attività forse Monroe non ha aperto nuove strade, forse non ha aggiunto molto a quanto canonizzato nel precedente mezzo secolo e più, ma ha saputo mantenere inalterato, e sino alla fine, il proprio ruolo di guida del genere musicale da lui stesso creato, continuando ad indicare la strada, restando a torreggiare sulla folla dei ‘discepoli’ come esempio per tutti di rigore e disciplina, componendo sino all’ultimo (suoi ex-sidemen come Jack Hicks restano depositari di pezzi inediti), e usando ogni battito del cuore malato per spingere una voce sempre più debole e guidare mani più incerte, nel tentativo (quasi sempre incredibilmente riuscito) di dare continuamente nuovo lustro alla sua musica.
E’ impensabile suonare bluegrass senza conoscere Monroe, e aggiungerei che ha poco senso ascoltare bluegrass senza conoscere Monroe: a distanza di 50 anni dalle prime storiche incisioni ‘veramente’ bluegrass la personalità di Monroe è sempre presente e riconoscibile in ogni nota suonata e cantata dai suoi alunni e da chi (Everly Brothers o Beatles che siano) dalla musica di Monroe ha mutuato qualcosa. In questo sta la sua immortalità: il 9 settembre 1996 se n’è andata una parte di noi, ma chi legge queste pagine sa che la storia del bluegrass continuerà oltre Monroe, anche se solo in lui il bluegrass può trovare la sua più totale identificazione, la sua espressione più alta. Non dimentichiamolo.
(Questo articolo, ampiamente riveduto, corretto e aggiornato, è la ristampa di un mio articolo apparso su Hi,folks!, anno I, N.2, maggio/giugno 1983. Le basi e le integrazioni biografiche e discografiche sono state mutuate da diversi scritti di Bob Artis, Neil V. Rosenberg e Bill C. Malone, oltre ovviamente da diversi numeri di Bluegrass Unlimited e Frets. A queste fonti la mia gratitudine, con l’invito per voi di ricercarle e coltivarle con passione: Bill Monroe lo merita.)
Silvio Ferretti, fonte Country Store n. 34, 1996