Potrebbe sembrare inutile dedicare spazio a registrazioni storiche, che probabilmente ogni appassionato già possiede, in questa o quell’edizione. Eppure è sempre utile confrontarsi con i classici, perché proprio in quanto tali, non smettono di parlarci, non hanno mai finito quel che hanno da dire e ad ogni riascolto rivelano qualcosa di differente, oltre ad essere un sicuro patrimonio di emozioni.
La musica di Son House appartiene di sicuro a questa categoria, quella cioè degli artisti che hanno scritto pagine fondamentali della storia del blues e fino ad oggi continuano ad esercitare una influenza determinante su generazioni di musicisti. E poi ci sarà qualcuno magari che ancora non conosce queste incisioni e potrebbe scoprirle proprio attraverso Clarksdale Moan 1930-42, che raggruppa in due CD (o volendo in LP) tutte le incisioni realizzate nella prima parte della carriera. Molto si è scritto sulla figura di House, in anni recenti oggetto della biografia di Daniel Beaumont Preachin’ The Blues (Il Blues n. 118), ma ricordiamo anche i lavori di Luigi Monge sulla vita e la poetica di House, apparsi sulle nostre pagine (n.ri 25 e 26) o in lingua inglese (lo studio su Dry Spell Blues).
Incluso nel CD con le incisioni realizzate nel 1930 per la Paramount a Grafton, Wisconsin, troviamo anche il 78 giri 13096, Clarksdale Moan / Mississippi County Farm Blues. Rimasto inedito per anni e vanamente inseguito dai collezionisti, vide la luce per la prima volta sulla compilation Yazoo The Stuff That Dreams Are Made Of (se ne occupò Antonio Lodetti nel n. 96) e di seguito è apparsa in altre raccolte di materiale prebellico. Però qui la ritrovate accorpata agli altri pezzi dell’epoca, avendo così la possibilità di ascoltare la sessione per intero, tra i vertici del blues deltaico, per stordente intensità e originalità lirica. Su questi pezzi molto è stato scritto, non c’è musicologo che si sia occupato di blues e non li abbia analizzati.
Pare accertato che House imparò My Black Mama e Preachin’ Blues dal chitarrista James McCoy e li abbia col tempo rielaborati fino a farli propri. Altre sue influenze sono state Willie Wilson, Ruben Lacy e un chitarrista chiamato Lemon perché aveva imparato tutti i brani di Blind Lemon Jefferson. Decisiva poi la conoscenza di Charley Patton e Willie Brown. E’ bene ricordare che fu grazie all’intercessione di Patton che giunse a registrare per la Paramount, aggregandosi alla loro spedizione a Grafton. Indelebile la drammaticità del canto in My Black Mama, accentuata da un andamento irregolare, spezzato, forse in questo derivati da work songs, come ha ipotizzato lo studioso Edward Komara. Si noti anche la ripresa del tema della ‘death letter’, con diversi precedenti (Ida Cox soprattutto) e riutilizzato poi dallo stesso House.
Che dire poi di Walking Blues? Un tema destinato a grande fortuna, negli anni ripreso da dozzine di musicisti che sarebbe troppo lungo elencare qui. I testi, come noto, si pensi a Preachin’ Blues, sono spesso indicativi delle sue vicende personali, con la tensione mai del tutto risolta tra sacro e secolare che lo ha sempre contraddistinto, “I had religion, Lord this very day, but women and whiskey they would not let me pray”, canta ad un certo punto. Se questo tema è stato prerogativa di molti altri artisti, in pochi altri è incarnato in modo tanto lacerante. Come rileva il suo biografo Beaumont, Clarskdale Moan ha un debito evidente con Pony Blues, mentre Mississippi County Blues Farm è senz’altro ispirata a See That My Grave Is Kept Clean, però con un testo originale, in cui parla addirittura di omicidio. Un vero peccato che non abbia più inciso per undici anni, causa la Grande Depressione degli anni Trenta o per altri fattori contingenti, senza contare le vendite non propriamente copiose dei suoi dischi. Fatto sta che House pur continuando a suonare di tanto in tanto con l’amico Willie Brown, si dedicò ad altri lavori agricoli. Dovette aspettare fino all’agosto 1941, era guidatore di trattore e lo trovò Alan Lomax, in una delle sue missioni per la Library of Congress. Lo fece incidere insieme a Fiddlin’ Joe Martin, Willie Brown e Leroy Williams all’armonica al Klack’s Store di Lake Cormorant.
Semplicemente straordinaria la versione a cappella di Camp Hollers e quella di Walkin’ Blues, ancor più bella di quella che registrò dodici anni prima. Shetland Pony Blues, deriva ancora una volta dalla Pony Blues di Charley Patton, morto nel 1934, un pezzo che evidentemente era entrato a far parte del repertorio di House, ne inciderà infatti una terza versione l’anno successivo. Lomax ritornò nel 1942 e a Robinsonvile, Mississippi, registrò di nuovo House, stavolta da solo. Oltre all’immortale The Jinx Blues, uno degli apici della sua arte, è curioso notare la sua scelta di eseguire un insolito pezzo in stile rag Am I Right Or Wrong? e un’altra canzone particolare, American Defense, sia come tempo, quasi un valzer, sia come argomento, dettato dall’entrata in guerra, nel frattempo, degli Stati Uniti. Non resta che ribadire l’importanza di ascoltare Son House e gli altri giganti del Delta Blues, in qualsiasi formato si preferisca, dal 78 giri (per pochi fortunati!) al digitale. Quanto alla qualità sonora della masterizzazione, particolare forse non secondario per molti appassionati già possessori di queste incisioni in varie forme, potremmo dire che il lavoro è stato accurato, tuttavia non ci sembra di rilevare dei miglioramenti così netti rispetto alle edizioni Yazoo o Document per i pezzi del 1930 e Travelin’ Man, Biograph o Fuel 2000 (per citare giusto le più recenti, tralasciando quindi i vari passaggi in vinile).
Easy Action / Devils Tunes 001 (Delta Blues, 2013)
Matteo Bossi, fonte Il Blues n. 131, 2015