Every Time You Say Goodbye è il prototipo del disco bluegrass di fine secolo. O almeno, dovrebbe essere ritenuto tale.
Che nessuno si azzardi a proseguire per la sua strada senza avere prestato orecchie e cervello a Every Time You Say Goodbye con severa attenzione e religiosa concentrazione. Non esagero, Every Time You Say Goodbye è un grande disco, sotto tutti i punti di vista.
La signorina ha alle sue spalle quattro giovanotti di strabiliante talento, e una sensibilità sopraffina nello scegliere i pezzi che faranno parte del suo repertorio.
Questo splendido album è la quarta tappa della già gloriosa carriera della ventunenne Alison Krauss, ma il primo, con questa line-up, a riportare sulla copertina il nome Union Station. Non le avremmo perdonato l’omissione: Tim Stafford, Ron Block, Adam Steffey e Barry Bales sono molto più che bravi musicisti, sono la spina dorsale di questo disco e, oggi, la ragione per cui Alison riesce ancora a ergersi al di sopra del livello più alto, quello dei grandi.
Si perché il suo violino non è unico e la sua voce non è migliore di Laurie Lewis, Kathy Kallick, Ronda Vincent, Lynn Morris o Claire Linch.
Il contrabbasso di Barry Bales ci dà la prova, definitiva, che se suonato nel modo giusto questo strumento oltre ad essenziale riesce a essere affascinante: ascoltatelo in Clouds Days o in Last Love Letter. È il padrone del suono, è il cuore pulsante del pezzo. Nei brani veloci ha invece la spinta, l’aggressività di un basso elettrico.
Il mandolino di Adam Steffey è di una pulizia, precisione, gusto e creatività abbaglianti.
Tim Stafford l’ho conosciuto in Old Town di Butch Baldassari: mi aveva stupito il suo back-up ricco e fantasioso. In Every Time You Say Goodbye, come nel precedente I’Ve Got That Old Feeling, amerete i suoi breaks e la sua grintosa voce.
Ron Block è un banjoista superbo, un chitarrista di gran gusto e un ottimo autore; purtroppo il suono del suo banjo non ha quella pienezza e profondità che vorremmo avesse. Sarà la sua mano destra, il suo set-up dello strumento? …Peccato perché lascia perplessi.
Infine lei, Alison. E’ la bravissima violinista che conosciamo, ma non esattamente la solita cantante. Qualcuno deve averle detto che la sua voce era eccessivamente ‘perforante’ e urlata ai limiti della sopportabilità. Pare stia ora cercando di rimediare, qui è infatti più pacata, a volte addirittura sussurrata.
I 14 brani (43 minuti) sono veramente belli, scelti con cura, posizionati con attenzione. C’è del sano bluegrass, non proprio ‘Hard-core’ ma quasi, della dolce country music (ma questa volta senza piano e batteria), alcuni pezzi originali molto ben riusciti (bravo Ron!) e un gospel conclusivo che ti spinge a rischiacciare Play una volta sfumato.
E’ un disco perfetto, prestigioso, studiato con la massima cura per un pubblico adulto e intelligente. Credetemi.
Every Time You Say Goodbye/ Another Night/ Lost Love Letter/ Chuck Old Hen/ Who Can Blame You/ It Won’t Work This Time/ Heartstrings/ I Don’t Know Why/ Cloudy Days/ New Fool/ Shield Of Faith/ Loose Again/ Another Day Another Dollar/ Jesus Help Me To Stand
Rounder CD0285 (Bluegrass Moderno, Country Acustico, 1992)
Maurizio Faulisi, fonte Country Store n. 17, 1992
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