Giusto qualche giorno fa, facendo ordine tra le vecchie riviste, mi é capitato di imbattermi in una fotografia che ritrae la famiglia Chapman al completo, risale all’inizio degli anni ’90, mamma, papà, e tre figlioletti, tutti quanti armati di strumento, rispettivamente contrabbasso e banjo i primi due, mandolino, fiddle e chitarra i cuccioli. Allora erano soltanto cuccioli, oggi sono più o meno intorno ai venti.
Una delle numerose family band di cui le riviste americane di tanto in tanto ci informano dell’esistenza; la country music in generale, e il bluegrass in particolare, sono popolati di formazioni composte esclusivamente da elementi appartenenti allo stesso nucleo familiare.
Sovente capita di scoprire che uno dei componenti sia notevolmente dotato, più degli altri, ancora più spesso si può constatare la naturale coesione delle voci durante le tipiche armonizzazioni che caratterizzano il genere.
Capita di rado che queste realtà si rivelino vere e proprie concentrazioni di talenti.
E’ il caso, lo avete intuito, dei Chapmans: una sorpresa anche per uno come me che di famigliuole ne ha ascoltate tante. Tant’é che il loro debutto ufficiale é finito di diritto tra i dischi più interessanti della mia collezione.
E’ il loro secondo lavoro discografico, il primo, venduto solo durante le esibizioni live e attraverso i pochi negozi specializzati (County Sales e simili), é stato stampato verso la fine del ’97 dalla fantomatica Digigrass Records, che più che un’etichetta deve essere un semplice studio di registrazione e produzione, porta il titolo di Love’s Gonna Live Here.
Prodotto da Ray Deaton – una volta con Doyle Lawson, da anni ormai con Russell Moore nei IIIrd Tyme Out – il quale si occupa anche degli ingaggi della family band in questione (la sua agenzia si chiama Deaton Entertainment) Notes From Home é un disco di una bellezza disarmante.
Non date retta a quel recensore di Bluegrass Now che, pur riconoscendo l’alta qualità del prodotto, preferisce chiudere sostenendo che buona parte dei pezzi sono scontati e che per quanto valida la voce del primogenito John (chitarra e voce lead) rivela poca maturità: ho sentito decine di cantanti che con trent’anni di esperienza non riescono a interpretare le canzoni come questo giovanotto.
Meglio sarebbe stato dire che, inevitabilmente, in futuro diventerà ancora più bravo, ma tanto di cappello al suo stato attuale.
E se vi sembrano scontate Mom And Dad’s Waltz (del grande Lefty Frizzell), Jenny Dreamed Of Trains (del buon Vince Gill), Lonesome Hearted Blues (quanti gruppi bluegrass prendono in esame Moon Mullican???) o Panhandle Rag (il classico di Leon McAuliffe) che dire di quella dozzina di pezzi di Monroe, Stanley Brothers e Flatt & Scruggs che abbiamo ascoltato in migliaia di versioni fotocopia? questi non sono scontati solo perché scritte dai ‘fathers of bluegrass’? Su, andiamo.
E poi bisogna giudicare l’interpretazione, e vi assicuro che da questo punto di vista i quattro uomini (la mamma non suona più con loro) sono portentosi. Portentosi.
Se volete qualche riferimento, giusto per capire che tipo di approccio hanno i quattro col bluegrass, posso dirvi che ricordano i Blue Highway o la Nashville Bluegrass Band, magari non così tanto dal punto di vista stilistico, sicuramente per la dose di sentimento che la loro musica sprigiona. Melodici, soulful e lonesome, dalla prima all’ultima nota.
John, Jeremy (mandolino), Jason (contrabbasso) e papà Bill (banjo) con l’apporto di Rob Ickes (dobro) e Aubery Haynie (fiddle) hanno dato vita ad un disco bluegrass che si ascolta tutto d’un fiato; solo alla fine ci si rende conto di non aver prestato particolare attenzione agli assoli, al back up strumentale e agli arrangiamenti, perché la sua bellezza sta proprio nel suo insieme, nella sua compattezza, solidità e coerenza.
Pinecastle PRC1093 (Bluegrass Moderno, Bluegrass Tradizionale, 1999)
Maurizio Faulisi, fonte Country Store n. 54, 2000
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