Doc Watson

Hillbilly man. Avevo pensato di titolare così questo omaggio a Doc Watson. Ma lavorando alla sua biografia, indagando sul suo mezzo secolo abbondante di musica ufficiale, mi è sembrata riduttiva questa qualifica. Poteva dare l’idea di un rustico abitante delle selvagge Blue Mountains, grezzo e illetterato. Nulla di più lontano dalla verità. Mi hanno impressionato, invece, della sua storia, la forza interiore, la tempra inossidabile agli oltraggi della vita e, su tutto, quella fiducia umile ma illimitata nelle risorse dell’uomo, nella capacità intrinseca di reagire e di crescere, fiducia anche in Dio, certo, ma non solo. Anche nelle creature e nella magia del suono, nell’essere musica di ogni suono, veicolo unico per un non vedente di comunicazione con il mondo e le sue ancor più misteriose bellezze.

Gli uomini della montagna a Dio sono più vicini e, nel caso di Doc appare evidente che egli ha ricevuto un dono speciale, una mancanza che è diventata sovrabbondanza nel linguaggio e nella straordinaria forza comunicativa della sua musica. Essa è quella di madre America, l’old country music delle radici, dei padri. Ma il talento fuori dal comune di Doc ha saputo schiudere l’enorme ventaglio della tradizione, toccando con estrema e spontanea efficacia tutti i generi. Dall’OTM al blues, al gospel, al bluegrass. transitando per il country & western e il rockabilly. Tutto lo spettro della musica popolare d’America, la sua spina dorsale.
Nel cuore delle Blue Ridge Mountains, a Stoney Fork Township, vicino a Deep Gap, North Carolina, dove il 2 marzo 1923 nasce Arthel Watson, la musica è patrimonio comune, socialmente merce di scambio. La comunità montana di quella prima cresta di Appalachi esprime così il suo essere al mondo. Tutti cantano gli inni sacri del Chris­tian Harmony, curato da William ‘singing’ Billy Walker, l’autore di Amazing Grace, si tramandano antiche melodie scoto-irlandesi, intonano il banjo, il dulcimer o l’autoharp, lasciano scivolare l’archetto sul fiddle. La zona abbonda di ‘string band’ e presto circoleranno i 78 giri di Riley Puckett, membro dei Gid Tanner’s Skillet Lickers, di Charlie Poole, Jimmie Rodgers e della Carter Family.

Figlio di General Dixon Watson e di Annie Green, Art, che per un’infezione agli occhi aggravata da oscuri interventi di medicastri ha perso la luce del sole fin dai primi giorni di vita, vive immerso nei suoni. Suo padre, un pastore battista, suona il banjo e ha un grande ingegno nella costruzione di strumenti. Sono i campanacci delle mucche e delle pecore, nelle loro diverse tonalità, già un polo di attrazione irresistibile per Arthel. Ma il primo vero strumento con il quale si misurerà saranno le armoniche a bocca trovate appese, ogni anno, al rami dell’albero di Natale. Un rudimentale marchingegno composto da un filo d’acciaio teso sulla porta scorrevole della legnaia e del granaio, costituisce un basso tanto primitivo quando divertente.
Il padre gli ha inculcato gradualmente il concetto che la cecità deve essere un handicap superabile con la forza della volontà. Nulla autorizza Arthel a sentirsi un disabile. Cieco non vuoi dire inetto. C’è la legna da tagliare, per esempio e, nei tempi dovuti, un mondo da scoprire. Il vertice di questo volontarismo sarà toccato da Arthel, divenuto Doc, quando a matrimonio avvenuto, saprà, con le sole proprie forze, allestire l’intero impianto elettrico della sua casa di sposo, superando l’ispezione dell’azienda elettrica e guadagnando uno spazio di merito sul bollettino della società stessa. Un modello sbalorditivo di saldezza morale. Durante l’infanzia continua l’immersione nella musica.

L’intraprendente padre gli costruisce un banjo con un manico d’acero, la cassa in legno di noce bollito e modellato e pelle conciata di un gatto passato a miglior vita. Poi un cugino dimentica a casa Watson la chitarra e Arthel vi si dedica febbrilmente. Aveva imparato qualche accordo alla Raleigh School For The Blind, un centro i cui metodi didattici discriminatori lasceranno un segno negativo nel giovane montanaro. Il primo pezzo imparato sulla chitarra sarà When The Roses Bloom In Dixieland della Carter Family ed è questa probabilmente la song che il giovane suonerà al padre che ritorna dal lavoro. Gli era stata promessa una chitarra nuova, da comperare in città, se nell’arco di una giornata avesse dimostrato di saper eseguire una canzone. Gli fu acquistato perciò un piccolo strumento da dieci dollari, grazioso da vedersi, ma un po’ duro da maneggiare. Dovranno passare alcuni anni, quando Arthel sedicenne, con soldi guadagnati per il taglio di alcuni castagni destinati alla concia del cuoio, potrà recarsi da Sears & Robuck per ordinare una chitarra di qualità.

La musica imperversa in quella famiglia composta da dieci persone. Tutti suonano o cantano. Sul vecchio fonografo di casa girano i dischi dei Clodhoppers, di Earl Johnson, di Rodgers e dei Carter, di musica sacra. Sintonizzarsi sulle frequenze della WOAN di Lawrenceburg, Tennessee, è pratica quotidiana. Sulle frequenze radio si ascoltano Uncle Dave Macon, i Delmore Brothers, i Rhythm Wranglers di Ray Whitley con Merle Travis, Bob Wills. Anche i vicini di casa Victrola possiedono un bel po’ di materiale. Arthel si incammina sulla strada che è già stata percorsa da altri musicisti ciechi del sud: il Rev. Gary Davis, Blind Willie McTell, Blind Boy Fuller, Blind Willie Johnson… Nel 1946 Arthel sposa Rosa Lee Carlton, figlia di una piccola gloria locale, il violinista Gaither Carlton (1901 – 1972). Avranno due figli, Eddy Merle nel 1949 e Nancy Ellen nel 1951. I nomi assegnati al primogenito testimoniano la passione di Art per due leggende della country music: Eddy Arnold e Merle Travis.

Doc si è perfezionato sulla chitarra, si misura con il mandolino e utilizza tecniche diverse sul banjo (‘two’ o ‘three fingers-picking’, ‘clawhammer up picking’). Decide di trasportare, nota per nota, le melodie del violino sulla chitarra. Il nomignolo di ‘Doc’, un’etichetta che lo accompagnerà per sempre, gli viene attribuito, quasi per caso, nei locali di una radio e per mere ragioni eufoniche. Il Doctor cui si fa riferimento è il celebre partner di Holmes.
Egli si esibisce nei club non lontani da casa e solo nel ‘54 la sua carriera imbocca una svolta significativa. Forma un honky tonk dance band col pianista Jack Williams di Johnson City, chiamata ‘Jack Williams And His Country Gentlemen’. Essi propongono rockabilly, country & western, pop standards e square dance tunes. Jack era sopraggiunto in casa Watson una sera d’estate e dopo avere ascoltato suonare il giovane Doc gli aveva proposto una chitarra elettrica, una Gibson Les Paul Gold Top, l’ingresso nella band ed esibizioni nell’eastern Tennessee e nel western North Carolina. Resteranno insieme otto anni. Il destino di Doc sarà paradossalmente inverso a quello di Travis e di Chet Atkins che partiti dall’acustico finiranno nell’elettrico.

Nel ‘60 un cambiamento fondamentale segna la parabola dell’ancora giovane Watson. Pur assecondando il gusto del pubblico per la musica contemporanea, facile ed orecchiabile, Doc non ha mai cessato di coltivare il suo amore per la tradizione. La musica che ama si limita a suonarla in casa, con parenti e amici, fra i quali spicca il banjoista Clarence ‘Tom’ Ashley: una piccola star. All’improvviso arriva l’incontro con il folklorista Ralph Rinzler sceso con il collega Eugene Earle in Carolina per registrare musicisti locali e scovar artisti emergenti. Doc viene loro presentato proprio dal fiddler Ashley, pronto a giurare sul talento del pupillo. Da lì in poi inizia l’ascesa di Doc Watson come musicista delle radici. Egli ha una voce robusta e calorosa ed il suo virtuosismo sulle corde non raffredda un canto che promana dal cuore.
Nel marzo del ‘61 Rinzler presenta Doc a New York sotto l’egida della sua organizzazione ‘The Friends Of Old Time Music’. Doc calcherà le scene del Gerde’s Folk City. Nel ‘63 e nel ‘64 arrivano le performance al Festival di Newport e nel contempo numerose esibizioni in college e club. Anche altri vicini di casa come il chitarrista Clirt Howard e il violinista Fred Price sono della partita. E Tom Ashley, naturalmente. Durante i concerti ogni membro di questa ‘string band’ esegue degli assolo e la fama di Doc va diffondendosi.

Nel frattempo egli aveva firmato per l’etichetta di New York Vanguard, proprietà degli appassionati di musica classica Maynard e Seymour Salomon. Nel catalogo della casa discografica figuravano nomi come quelli dei Weavers, di Joan Baez e Odetta. Per questa label realizzerà nel corso degli anni sette dischi, all’insegna di una piena autonomia artistica e di un rapporto idilliaco. Doc è apprezzato per il suo ‘flat­picking’, ma eccelle anche quando si cimenta sulle corde a dita nude. Scrive metodi didattici per chitarra, recupera e ricompone materiale tradizionale. Colossi della country music come Flatt & Scruggs e Chet Atkins lo ospiteranno nei loro dischi. Dal 1964 ad incisioni e tour partecipa anche il figlio Merle. Claudicante a causa di una grave forma di poliomielite infantile, accompagnerà il padre fino alla prematura morte.
Appresi i primi accordi sulla chitarra dalla madre, Merle era diventato un polistrumentista eccellente, specializzato in uno stile unico di chitarra slide, abile al banjo e al dobro. Del padre Merle diventerà partner inseparabile, manager e assistente, alternando il suo percorso di musicista a quello di produttore. L’incontro chiave lo aveva vissuto a sedici anni, a Newport, con il leggendario Mississippi John Hurt, destinato a diventare una grande influenza per lui. L’esordio sulla scena poco prima, non ancora quindicenne, a fianco del genitore al Berkeley Folk Festival nel ‘64. Merle contribuì con proprie canzoni al repertorio del padre, perfezionò il suo stile accostandosi a Duane Allman e partecipò a varie incisioni con Doc. Sarà escluso dal ‘divertissment’ di Will The Circle Be Unbroken gestito dalla Nitty Gritty Dirt Band e questo immeritato sacrificio costituirà una grossa delusione per Doc. Ma la partecipazione a questo fondamentale contributo alla musica country, come il giovane Merle aveva lucidamente predetto, accelerò la carriera di Doc Watson e gli guadagnò una popolarità ancora più vasta.

Era appena terminato un periodo difficile per la musica acustica, per il folk, sopraffatto dall’insorgere della psichedelia. Insieme a Travis, lungo gli anni ‘60, Doc era riuscito a mantenersi a galla solo in virtù della varietà, del largo raggio d’azione che la sua musica sapeva abbracciare. Sette anni con la Vanguard, per poi approdare alla Poppy, United Artists, Flying Fish e, da ultimo, Sugar Hill. Dalla fine degli anni ‘70 all’inizio degli ‘80 Doc gira il mondo con il figlio, vince cinque Grammy Awards, suona alla Casa Bianca davanti a Jimmy Carter. Una sorte beffarda e crudele attende dietro l’angolo. Nel 1985, il figlio Merle, compagno dì mille avventure, perde la vita alla guida di una macchina agricola precipitata da un declivio fangoso. Un colpo terribile per Doc, un immenso dolore che gli fa abbandonare la scena, lo allontana dalle registrazioni. Una spina acuminata da cui non si libererà mai. Per onorare la memoria del figlio, Doc ha istituito il Merle Watson Memorial Festival che si tiene ogni Aprile a Wilkesboro, North Carolina ed al quale aderiscono i nomi più rappresentativi del bluegrass, del folk e del country.
Da duecento concerti l’anno, Doc Watson è passato ad un numero che non raggiunge i dieci. Ad accompagnarlo, in queste sporadiche occasioni è l’esponente dell’ultima generazione Watson, Richard, figlio di Merle. Nei posti più lontani da casa, (Doc vive ancora a Deep Gap) è Jack Lawrence l’accompagnatore. Il vecchio Doc ha irrimediabilmente perso una parte di se stesso e non vi è conforto che non sia la chitarra. “Una buona chitarra è come un amico. Qualche volta, quando sei solo, annoiato o depresso, prendi la chitarra e suoni fino a quando non è passata… Mi piace pensare a Merle e a me come due persone che hanno cercato di rendere la musica tradizionale viva e mi è piaciuto credere che noi avevamo qualcosa da fare per la crescita e il proseguimento della country music”. Il perpetuo ricordo di Merle è evidenziato nell’album Remembering Merle, un live uscito nel ‘92 e comprendente materiale registrato fra il 1970 e il 1976. “E’ duro sentire quella musica”, ha detto Doc. “Qualche volta posso ascoltarla senza lacrime, ma altre volte non ci riesco”.

Se la produzione discografica di Doc nell’ultimo decennio ha segnato il passo e la sua presenza pubblica è andata rarefacendosi, resta agli appassionati un vasto giardino da cui cogliere frutti prelibati. Ma la discografia di Doc Watson non è sempre lineare e periodi di grande e genuina arte si alternano a dischi discutibili, in odor di compromesso, di Nashville sound, di pop, di produzioni non improntate al migliore dei gusti. Una trattazione analitica di ciò richiederebbe uno spazio molto esteso. Watson non si è mai risparmiato nella sua carriera, ha saputo mettersi in discussione, sperimentare, discendere nella profondità del ‘old time country music’ ed esporsi candidamente ad un facile ascolto, comunque apprezzato dalle sue parti, ma vituperato dalla critica europea.
Se il periodo Vanguard rappresenta l’apogeo della sua creatività, album come The Elementary Doc Watson (1972) che inizia il sodalizio con la Poppy/UA, il luccicante Down South (1984) con Merle, il mistico On Praying Ground (1990), sono, fra gli altri, lavori di grande intensità. Il talento ubiquo di Doc Watson, quell‘estro che ha saputo spontaneamente trasportarlo dall’ hillbilly dei monti allo scanzonato rockabilly, dall’innodia sacra dei pionieri al western swing di Wills, dal rag-time al blues, dall’agrodolce Nashville sound alle ballate di Paxton, di Van Zandt, sono il segnale di un’inestinguibile luce interiore. Una luce per gli altri.
(Pubblicato per gentile concessione dell’autore e di Paolo Carù, Direttore di Buscadero – Nr 170, 6/96)

Francesco Caltagirone, fonte Country Store n. 35, 1996

Link amici

Comfort Festival 2024