Fred J. Eaglesmith è uno stimato cantautore canadese con una dozzina di albums al suo attivo. Attivo già dal 1980 è ora oggetto di un affettuoso tributo che alcuni colleghi, più o meno noti, hanno voluto offrirgli in segno della loro stima e del loro rispetto per il suo impegno artistico.
Questo Eaglesmith contiene quasi un’ora di musica e copre uno spazio temporale che va dal 1983 al 2001 nell’arco di ben quindici brani, pescando il suo materiale da otto dei dodici albums accreditati a Fred.
Da The Boy That Just Went Wrong (1983) Robbie Fulks riesuma Flowers In The Dell, una ballata originariamente folk nel senso più tradizionale del termine, con partenza rallentata di sole voci, chitarra acustica e mandolino e che lascia poi spazio ad un arrangiamento di più ampio respiro, con tempo leggermente accelerato ad un passo più allegro e spigliato. La versione qui compresa vede Fulks alla voce solista (che rammenta molto quella di Arlo Guthrie) ed alla chitarra acustica, ben coadiuvato da Don Stiernberg alla seconda voce ed al mandolino. Lo sviluppo del brano ricalca sostanzialmente l’originale, mostrando unicamente un passo più bluegrass-oriented nell’accelerazione del tempo: gradevolissima comunque.
Indiana Road era il title-track dell’omonimo album del 1987 e ce lo ricordavamo come una ballata elettroacustica con David Essig e Willie P. Bennett in session. La – sconosciuta – compagine degli Old No. 8 (band dell’area di Chicago che ha aperto anche i concerti di Dickey Betts, formata da Andy Levenberg alla voce solista/chitarra elettrica, Brian Koehler alla chitarra elettrica, Pat Buzby alla batteria/voce, Charlie Pierce al basso/tastiere e Charlie King alla lap steel guitar/armonica) ce la ripropone in versione roots, con abbondante grinta e convinzione.
Dallo stesso album è tratta anche Thirty Years Of Farming, originariamente ballata tradizionale con graziose armonie vocali, è qui rivisitata da Jeff Plankenhorn (voce solista/chitarra), Ken Blanton (basso acustico), Mike Compton (mandolino/voci) e Matt Combs (fiddle/voce) in chiave marcatamente bluegrass, con un’ulteriore ricercatezza per gli impasti vocali e – perché no – strumentali.
Dal primo album live di Eaglesmith abbiamo il piacere di riascoltare I’m Just Dreaming, una bellissima ballata, probabilmente autobiografica, dove il suo songwriting mostra tutta la sua crescita di artista già molto maturato rispetto ai primi dischi.
From The Paradise Motel, l’album originale, era registrato in compagnia dei Flying Squirrells, la sua back-up band, mentre il tributo è opera di una – ancora una volta – sconosciuta Outlaw Family Band, compagine della fertile area di Chicago con già un EP con sei canzoni all’attivo ed un esordio con l’aiuto di Jay Bennett ‘in the making’, composta da James Weigel (voce solista/chitarra elettrica), Mark Senser (batteria), Daniel Padgett (basso elettrico/voci), Ryan Hinshaw (violino/voci) e Justin Gillam (chitarra acustica).
Dobbiamo subito dire che questo ci risulta essere uno dei momenti più alti di tutta l’opera, se non addirittura l’apice. La voce di Weigel e la sua chitarra elettrica sono davvero interessanti e non mancheremo di approfondire la ricerca su di loro.
Ben tre sono poi i brani tratti da Drive-In Movie (1996) e White Rose apre addirittura il tributo, eseguita dall’amico Slaid Cleaves. La versione originale mostrava un cantautore oramai maturo nelle sue convinzioni artistiche, sicuro e deciso nelle sue soluzioni stilistiche di uno script elettro-acustico di grande presa. La remake non è da meno, con Cleaves (voce solista e chitarra acustica) ben supportato dal mandolino di Billy Bright, dal basso acustico di sua moglie Bryn (Bright) e dal dobro e dalla voce corista di Jeff Plankenhorn.
Per quello che riguarda 49 Tons, il discorso è del tutto diverso. La versione originale era acustica e quasi Younghiana, mentre la rilettura che ne dà Gurf Morlix è assolutamente acida, elettrica e distorta, quasi a volerci sbattere in faccia tutta la rabbia che non compariva nell’interpretazione di Eaglesmith.
Drive-In Movie è il title-track dell’album originale e si rivela un brano ancora acustico ed introspettivo, suonato in punta di dita, con un contrappunto minimo di una seconda chitarra e di un basso acustico. Gli Hillbilly Winos, band di alt-country con almeno tre anni di esperienza nei circuiti di Chicago e dell’Indiana, ne danno una versione molto simile all’originale, con la voce solista di Jeff Ham che risulta particolarmente indovinata in accostamento alla chitarra acustica ed al violino di Angela Martin. Tanto bene si può anche dire del resto della band: Steven Doyle (Dobro), i fratelli Matt (chitarra solista ed armonie) e Jim (basso) Teolis e Kent Arnsbarger (percussioni). Da riesaminare.
Dall’album Lipstick Lies & Gasoline sono ben cinque i brani che hanno attratto l’attenzione di altrettanti artisti coinvolti nell’operazione in questione.
Bell viene riproposta da Teddy Morgan (diversi albums interessanti al suo attivo, fra i quali è doveroso citare almeno Lost Love & Highways e Crashing Down) e la rendition è molto diversa dal brano che conoscevamo da parte dell’autore. La versione originale era stranamente cattiva ed arrabbiata e Fred Eaglesmith si faceva accompagnare da una ruvida strumentazione elettrica con percussioni quanto meno anomale, almeno nell’economia del suo stile. Teddy Morgan stravolge il brano con un arrangiamento cupo, notturno e sofferto nella voce, accostabile ad una versione maschile di Lucinda Williams, l’accompagnamento è davvero minimalista e la chitarra solista (Morgan stesso) è davvero struggente… ed abbandonata a se stessa, nonostante la presenza del basso acustico di Steve Grams e della batteria di Richard Medek.
Ancora da Lipstick… Charlie Pierce è andato a scegliere Thinking, ballata leggermente ritmata da una batteria molto discreta e supportata dalla pastosa voce di Fred, che ben presto si apre in una struttura di più ampio respiro, per darne un’interpretazione pianistica (Charlie suona il piano, quindi si tratta di una scelta logica), leggermente sgangherata, con una voce che potrebbe avvicinarsi a quella di un Tom Waits leggermente sbronzo, ma pur reduce da un’operazione alle corde vocali conclusasi con successi inaspettati.
Pontiac viene affidata alle sapienti mani di Rod Picot (due grandi albums al suo attivo) e ne esce un piccolo/grande gioiello: lucida ballata acustica appena contrappuntata dalle morbide percussioni e dal cello di David Henry. Sparuti tocchi di chitarra elettrica fanno da sfondo ad una voce molto suggestiva, per un personaggio che vale la pena di conoscere, visto che – almeno a parere mio – la sua versione è superiore a quella del suo stesso autore.
Il nome di Rex Hobart non è del tutto nuovo (Forever Always Ends è del 1999), mentre non so niente di Lee Gutowski (che ricopre il ruolo vocale che fu di Lynn Miles), se non che si tratta di una fanciulla dotata di una voce piuttosto bella, anche se ancora grezza – almeno per il momento. Fatto sta che Drinking Too Much diventa un pezzo smaccatamente country, laddove l’originale affondava nel fango del più profondo Sud, pur non disdegnando le sue origini fortemente attaccate alla ‘campagna’. Jay Bennett (dei Wilco) richiama alla memoria la voce del Tom Waits più classico ed è una di quelle che si amano o si odiano: non ci sono mezze misure.
E’ evidente che noi rientriamo nel primo gruppo, anche se la resa finale è molto particolare ed Angel Of The Lord suonava meno tenebrosa ed ermetica nella sua veste originale.
Dall’album 50 Odd Dollars (1999) Bill e Kasey Chambers ripropongono la malinconica Carter. Australiani di nascita, ex-militanti della compagine country-rock della Dead Ringer Band ed entrambi con i propri albums solisti all’attivo, i due – pur essendo parenti stretti – non potrebbero risultare più diversi: Bill ha una voce che sembra la rappresentazione vocale della carta vetrata e suona l’acustica in modo divino (ascoltate il suo solo Sleeping With The Blues e non ve ne pentirete…) per un prodotto finito che ha molto Texas nei suoi cromosomi, mentre le doti vocali di Kasey (nonostante il successo del suo Barricades & Brickwalls) mi restano sinceramente oscure, addirittura trovo irritante il suo intervento vocale, soprattutto se affiancato a quello di Bill, ma tant’è.
Restando in terra australiana, non poteva mancare l’omaggio di Audrey Auld ad un autore a lei caro e del quale ha interpretato più di un brano. Il migliore in senso assoluto resta Alcohol & Pills che sorprendentemente nessuno ha selezionato per questo progetto: peccato, perché è uno di quelle songs da portare sulla famosa isola deserta. La scelta è invece caduta su He’s A Good Dog (dal doppio Ralph’s Last Show – Live In Santa Cruz del 2001), una semplice e lineare ballata acustica dedicata al fedele compagno a quattro zampe di tante serate accanto al fuoco.
Tocca poi a Mary Gauthier chiudere in bellezza la parata con Your Sister Cried (dal penultimo ed eccellente Falling Stars & Broken Hearts del 2001) in stile molto particolare che tanto deve agli insegnamenti di Lucinda Williams in termini di toni rilassati e molto laid-back.
Un progetto riuscito nel suo complesso, con alcuni momenti particolarmente alti ed altri incredibilmente al disotto della media, ma comunque un tributo importante ad un personaggio che merita di essere conosciuto da chi apprezza le sonorità cantautorali.
TwangOff TOR 001 (Singer Songwriter, 2003)
Dino Della Casa, fonte TLJ, 2004