Si può rinchiudere un sogno lungo quindici anni, 105 album e oltre mille canzoni, dentro a un CD, sia pure doppio? Si possono condensare in trentaquattro canzoni le storie di altrettanti (e più) songwriter, storie che in alcuni casi hanno sfiorato la musica, per essa intendendo quella che finisce nelle riviste e nei negozi di dischi, e in altri, più rari, con la musica hanno fatto coincidere il quotidiano? Bè, se a tentare la scommessa sono proprio quelli che quel sogno hanno sognato e realizzato, allora sì, si può fare.
Fast Folk, una comunità di autori e cantanti, è la prima testimonianza di un progetto artistico, ma anche politico, che ha rianimato l’anemica scena della canzone d’autore americana, o più modestamente, del Greenwich, negli anni in cui fare il folker a New York era come provare a vendere gelati al Polo Nord.
Jack Hardy, con il fratello Jeff, purtroppo tra le vittime dell’11 settembre, Mark Dann, Richard Julian e un po’ tutti quelli che stanno dentro a questo doppio disco, si inventarono un luogo che non c’era, fuori dalle regole, dove l’unica regola era portare e cantare una canzone, dividerla con chi voleva riceverla.
Dai 105 dischi che Fast Folk Magazine, il loro foglio, ha realizzato tra gli anni ’80 e ’90, Hardy e Julian hanno scelto le 34 di questa raccolta (ma qualcuna è anche inedita), affiancando, con la stessa semplicità e solidarietà (parola curiosa se applicata alla specie dei songwriter, o in genere dei musicisti) con cui si alternavano sul palco dello Speakeasy, perfetti sconosciuti come l’italiana Germana Pucci o Judith Zweiman, a vecchi guru come Dave Van Ronk (qui ripreso dal vivo nel 1982) o (allora) giovani promesse come Steve Forbert, Suzanne Vega, John Gorka, Eric Wood, Shawn Colvin, Richard Shindell, Lucy Kaplansky… Come diceva Townes Van Zandt, “for the sake of the song”.
Smithsonian Folkways 40135 (Singer Songwriter, 2002)
Mauro Eufrosini, fonte JAM n. 82, 2002
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