A.A.V.V. - Mountain Music Of Kentucky cover album

Avevo inizialmente pensato di ‘liquidare’ la recensione di questo doppio CD con un semplice: “Reissue di LP usciti originariamente nel 1959 come Folkways 2317, registrazioni sul campo di musicisti del Kentucky, compilate e annotate da John Cohen con bellissime sue foto, un totale di sessantotto pezzi da cui ogni bluegrassaro serio potrà venire a conoscere le radici del genere musicale oggi noto come bluegrass: se siete seri compratelo”.
Poi ho riascoltato, e mi sono riguardato il volumetto allegato, ho tentato di ‘entrare’ più profondamente nelle foto, nelle canzoni e nelle parole di John Cohen, e mi sono trovato a capire che questi due CD sono molto più di una semplice reissue etc etc, sono uno dei pochi modi che oggi abbiamo per saltare un profondo gap culturale, conoscere una società e una cultura oggi quasi totalmente scomparse, capire cosa veramente significasse la musica per contadini ingobbiti dall’aratro tirato dal mulo, minatori consunti da asma, silicosi e ‘black lung’, uomini di chiesa che dovevano ogni giorno in qualche modo fare sì che il loro gregge non fosse costantemente in preda alla disperazione per fame, morte in miniera, mancanza totale di bellezza nelle vite dure e vuote che conducevano.

Per loro la musica era anche il mondo un po’ di sogno che arrivava attraverso gracchianti radio (una ogni tot famiglie), e veniva passata di generazione in generazione dal banjo e dalla voce high lonesome di Roscoe Holcomb (“piccolo, filiforme, piegato dal duro lavoro fisico, tossicchiante per asma, black lung e troppo fumo”, nelle parole di John Cohen), dal suono arcaico delle ballate di James D. Cornett, che interrompe l’aratura (ovviamente a mulo) per entrare in casa a registrare Barbara Allen, dal vigore senile di Mr. e Mrs. Sams, che registrano The Wagoner’s Lad sul portico di casa, attorniati da una folla di nipotini.
Così vengono in mente le parole di Kenny Baker (“Suonare era sicuramente meglio che rovinarsi la salute in miniera”), o di Lester Flatt (“Io ed Earl abbiamo preferito la musica alla filanda”), e capisci quanto siano fessi, colpevolmente coglioni, quelli che associano country e bluegrass a reti da pollaio davanti al palco, a urban cowboys con le frange che vogliono solo il ‘line dancing’, a pseudovalori ‘di destra’ e sicuramente razzisti, artatamente contrapposti, in eterna quanto superflua e demenziale competizione, a blues, jazz e magari rap. “The blues ain’t nothing but a good man feelin’ down”, non l’ho detto io, è alle radici di old time music, country e bluegrass almeno quanto lo è di blues (ne sentirete tonnellate in questi CD), jazz (con cui il bluegrass ha in comune strutture musicali e temi lirici), e sicuramente rap e compagnia (su cui non commento).

Le registrazioni saranno magari rudimentali, anche se sono state rimasterizzate in digitale con tecnologie ‘state of the art’, e sessantotto pezzi ‘sul campo’ potranno sembrarvi forse un po’ ‘spessi’, ma una collezione come questa ha una profonda bellezza e rara forza, ed è sicuramente in grado di commuovere ed illuminare più di tanti CD (di qualsiasi genere) raffinati e illustrati con foto d’arte. Nonostante il dito nel naso, spietatamente in copertina, di Mr. John Sams. Stupenda.

Smithsonian Folkways SF CD 40077 (Traditional Country, Old Time Music, Folk, 1996)

Silvio Ferretti, fonte Country Store n. 35, 1996

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