Quella di Roots Of The Grateful Dead è la recensione che non avremmo mai voluto scrivere, o perlomeno non così presto. Troppo fresca è ancora la ferita per la dipartita di Jerry Garcia e la fine del Morto Riconoscente.
Evidenziare quanto hanno significato i Dead per la musica americana è opera stucchevole e vana. Cosa abbiano rappresentato per ogni appassionato risulterebbe altrettanto retorico, sforzo personale troppo vicino alla commemorazione elegiaca per non rischiare il già detto.
Resta allora la commozione propria di ogni buon cuore insieme all’emozione vissuta ad ogni sperimentazione della band mai stanca di intraprendere nuove avventure.
L’operazione della Shanachie è comunque, a prescindere dalla ‘fine della leggenda’ che si è trovata involontariamente a cavalcare, quanto mai meritoria ed originale. Niente a che vedere con gli album tributo usuali che si segnalano, nella maggioranza dei casi, irritanti tentativi di raggranellare moneta sonante dai fans dell’artista celebrato o da quelli degli artisti celebranti.
Qui in Roots Of The Grateful Dead invece vengono presentati, nelle loro versioni originali, 17 brani fra quelli più famosi reinterpretati e, non di rado, rivitalizzati dai Dead nella loro trentennale carriera.
E’ l’occasione per risentire Mama Tried di Merle Haggard, Don’t Ease Me In di Henry Thomas o Turn On Your Love Light di Bobby ‘Blue’ Bland (pescando dal mazzo). Il lavoro in esame non poteva che essere il frutto di un personaggio raffinato e sensibile: è infatti Henry Kaiser (insieme a David Gans) l’autore del progetto. La sua firma è garanzia di attenta operazione culturale: vanno risegnalati i suoi recenti studi sulla musica popolare del Madagascar (A World Out Of Time) su quella norvegese (The Sweet Sunny North), tutti in coppia con David Lindley e tutti pubblicati dalla Shanachie. Colto e commovente.
Shanachie 6014 (Country Blues, Country Folk, 1995)
Luca Marconi, fonte Out Of Time n. 14, 1996
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