Dietro quel Various Artist si nascondono i nomi di Tim Austin, Barry Bales, Ronnie Bowman, John Green, Jim Haley, Aubrey Haynie, James King, Shawn Lane, Ray Legere, David Parmley, Wyatt Rice, Don Rigsby, James Alan Shelton, Charlie Sizemore, Craig Smith, Scottie Sparks, Keith Tew, Ernie Thaker, Dan Tyminski, ovvero la più alta concentrazione di nuovi talenti bluegrass in un unico progetto discografico da molti anni a questa parte. Banale mezzo per colpire l’attenzione del lettore, mi si dirà, eppure, vi assicuro, il fatto di ascoltare una ventina di musicisti di questo livello, tutti insieme per la prima volta, a celebrare la tradizione degli Stanley Brothers, è qualcosa che va segnalato dandogli il rilievo che merita.
Stiamo parlando dei più grintosi musicisti del circuito bluegrass, musicisti con un talento indiscutibile, dall’età media di quarant’anni, metà dei quali nella maggior parte dei casi trascorsi on stage, trainati da Tim Austin, la mente della Lonesome River Band per oltre un decennio, creatore di un suono che si è visto riconoscere una bella serie di awards. E a proposito di suono, saprete, immagino, che lo stesso Austin ha in piedi da ormai molti anni uno studio di registrazione, utilizzato un tempo solo dalla sua LRB, e oggi dalle migliori formazioni bluegrass, e che il piccolo (di statura) si è rivelato uno dei più capaci tecnici, oltre che produttore in grado di far tirar fuori il meglio a quanti si affidano alla sua professionalità.
Il nostro da un paio di anni si è ritirato nei suoi studi, facendoli diventare casa discografica, e abbandonando definitivamente, credo comunque a malincuore, la Lonesome River Band. Questo è il primo progetto dell’etichetta. Se il livello che riuscirà a proporre con costanza in futuro sarà questo, tremino pure Sugar Hill, Rounder, Rebel e tutte le altre!
Unica nota negativa la scarsa durata del CD, trentuno minuti e mezzo, per un totale di undici canzoni… un po’ poco, anzi, pochissimo una volta ascoltato il disco. I brani escono dal vecchio repertorio dei fratelli Stanley, anni ‘50 per meno della metà, mentre dal successivo periodo anni ‘60 e ‘70, quello dei Clinch Mountain Boys del solo Ralph, sono state estratte altre cinque canzoni. A garantire continuità a questa tradizione altri due brani, nuovi di zecca e perfettamente nello stile, tanto che sarebbero potuti essere classici del duo quarant’anni fa, come giustamente sostiene Eddie Stubbs nelle note.
Quando non sono 3/4, forse troppi anche se molto diversi l’uno dall’altro, sono proiettili carichi di umano sentimento, quello delle colline della Virginia per intenderci, a partire dall’ iniziale Bootleg John, una scossa elettrica dagli effetti decisamente più salutari rispetto a quelle che vanno di moda oggigiorno in USA. Il resto non ve lo dico. Il disco è raccomandato, pertanto tirate fuori dalla tasca una ventina di dollaroni e mandateli a Tim Austin: a lui serviranno ad aggiustare meglio lo studio colpito da un fulmine qualche tempo fa, a voi a farvi amare ancora di più dai vicini di casa. PS: sarà evento discografico dell’anno, scommettiamo?
Doobie Shea 1001 (Bluegrass Tradizionale, 1996)
Maurizio Faulisi, fonte Country Store n. 36, 1997