Che carriera quella di Alison Krauss. Inarrestabile ed in continua ascesa, da quel Too Late To Cry del 1987 che la presentò, non ancora sedicenne, come l’ultimo degli enfant prodige sul quale il popolo meno tradizionalista del bluegrass era pronto a scommettere.
Quindici anni dopo, il Live, preceduto da sette dischi, la cui bellezza prescinde ogni possibile gusto personale, attraverso i quali ha conquistato tutti i riconoscimenti ufficiali e le gratificazioni che un artista attivo nel settore della musica cosiddetta indipendente può desiderare di ricevere nell’arco di un’intera vita.
L’unico piccolo grande timore, prima di dar via all’ascolto del primo dei due CD, riguardava il distacco, la freddezza subita in prima persona ascoltandola dal vivo a Grindelwald cinque anni fa. Gli unici momenti in cui Alison si rivolgeva al pubblico era per invitare, in maniera secca e determinata, i possessori di videocamere a spegnere la macchina.
I brani erano eseguiti esattamente come i dischi ce li avevano fatti conoscere, nessun nuovo arrangiamento, rarissime presentazioni e neanche mezzo sorriso.
E’ indubbio che quella freddezza faccia parte del tipo di immagine che gli AKUS si sono imposti, ed è altrettanto vero che certe canzoni che rimangono a mezz’aria, come se fossero prive di forza di gravità, alle quali Alison ci ha abituati, non possono essere presentate con lo stesso calore umano di un Doc Watson On Stage… Ad ogni buon fine, sono felice di riconoscere che il Live di Alison Krauss & Co., anche da questo punto di vista, è ben bilanciato, lascia intendere che il 29 e 30 aprile del 2002 al meraviglioso Louisville Palace in Kentucky l’atmosfera che si respirava era davvero la migliore possibile.
Lei è simpatica, Dan Tyminski, Jerry Douglas, Ron Block e Barry Bales in forma smagliante, le canzoni sono interpretate con partecipazione, l’esecuzione strumentale e vocale rasenta, credetemi, la perfezione. E di questo bisogna rendere omaggio anche al tecnico del suono Gary Paczosa.
I brani, ben 25 contenuti in un doppio CD dal prezzo speciale, sono rappresentativi dell’ultima parte della sua carriera discografica, quindi un solo John Pennell con la bella Everytime You Say Goodbye; il resto proviene soprattutto da New Favorite, Carry Me Across The Mountain del solo di Tyminski, Forget About It e dalla colonna sonora di O Brother Where Art Thou?
Molte canzoni, particolarmente perché eseguite in concerto, lasciano l’ascoltatore senza parole. La band, escluso Jerry Douglas di più o meno recente acquisizione, ha la stessa line-up da molti anni, pertanto ogni singola nota, ogni singolo dettaglio è stato ragionato, provato, assimilato e infine eseguito mille volte, e questo è l’incredibile risultato raggiunto: uno dei live album americani più importanti per quanto riguarda la musica acustica con riferimenti alla tradizione.
Rounder RRCD 0515 (Bluegrass Moderno, 2002)
Maurizio Faulisi, fonte Country Store n. 65, 2002
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