A due anni di distanza dall’ultimo disco e dopo la splendida e fortunata parentesi della partecipazione alla colonna sonora di Oh Brother, Where Art Thou?, con nostra gioia Alison Krauss ritorna sugli scaffali con New Favorite, un piacevole dischetto che coniuga tradizione e modernità, sonorità bluegrass e pop.
Ma cominciamo a dare i numeri (come sempre, direbbe chi mi conosce bene): la prima sequenza è 1 3 5 7 8 10 13 e la seconda è 2 4 6 9 11 12. Il primo gruppo di numeri sono le tracce dei pezzi che si possono definire di Alison Krauss con ospiti gli Union Station, pezzi lenti, di ‘pop acustico’ tipo il suo penultimo disco Forget About It. Il secondo gruppo di numeri sono all’inverso le tracce dei pezzi degli Union Station con ospite Alison Krauss, pezzi veloci di ‘bluegrass tecnologico’ (eh si, le definizioni ‘contemporaneo’ o ‘progressivo’ adesso forse non mi bastano più), tipo il terzultimo della loro serie So Long So Wrong. A parte quest’ironica suddivisione, molto personale, sembra proprio di trovarsi di fronte a due opere distinte, anche se dopo ripetuti ascolti si riconosce un’atmosfera comune.
L’esecuzione e gli arrangiamenti degli AKUS sono come il solito curatissimi, quasi maniacali: non c’è una nota, un passaggio che potrebbe essere fatto in modo migliore o più elegante, e tutto è studiato e lisciato per essere perfetto. Questo è bene, ma l’impressione che ne deriva è di distacco, di freddezza, forse anche un po’ di gelo. La foto di Alison in copertina, come del resto molte di altri suoi album, conferma e rafforza questa algida sensazione, presentandocela con il solito sguardo quasi sprezzante, come a dire, giustamente, “io faccio quel che voglio perché posso farlo”.
Per sdrammatizzare viene per fortuna la ghost-track al termine dell’ultimo pezzo, con la rottura di una corda di banjo durante una prova e la spontanea risata generale. E poi a riconciliarci pienamente con lei vengono le canzoni del disco, tutte naturalmente belle, anche se la mia preferenza va a Daylight nei pezzi lenti ed a Momma Cried per i veloci, entrambe scritte da Bob Lucas. Non voglio dimenticare la potente e diretta Bright Sunny South, brano tradizionale tratto dal repertorio di Dock Boggs, banjoista old-time già attivo negli anni ’20 e scomparso nel 1971.
A farla da padrone, oltre alla voce di Alison (che a molti comunque non piace), è la personalità musicale di Dan Tyminski, con la sua voce triste ed emozionale, oramai confermatosi come solido protagonista della scena acustica nashvilliana. Nell’organico del gruppo troviamo anche Jerry Douglas al dobro, a volte fin troppo, troppo presente, e poi naturalmente Ron Block al banjo, Barry Bales al basso ed infine in un paio di pezzi Larry Atamanuik alle percussioni. Totalmente assente è il mandolino (Adam Steffey ha da tempo lasciato gli AKUS per il gospel dei The Isaacs).
Come conclusione un’ottima prova che accontenta un po’ tutti e che venderà in molte direzioni, mentre noi possiamo provare a giocarci al lotto (sulla ruota di Nashville, naturalmente) la sequenza di brani che ci piace di più…
Rounder 0495 (Bluegrass Moderno, 2001)
Claudio Pella, fonte Country Store n. 61, 2002