I Trigger Gospel, che prendono il nome da un vecchio romanzo western e non hanno nulla a che fare col genere musicale omonimo, sono un quartetto di Chicago composto da Paul Bivans (batteria), Michael Krayniak (basso), Frank Kvinge (chitarra elettrica e acustica) e Anna Fermin (voce, chitarra e piano). Leader indiscussa del gruppo è la giovane cantante, nata nelle Filippine ma cresciuta a Chicago, che con la sua voce chiara e potente, adatta sia a lente ballate che a veloci pezzi rock, si pone come alternativa a Neko Case per lo scettro di regina dell’alt-country.
La band si rivela per la prima volta al pubblico della Windy City nel 1999, grazie al suo primo album, Things To Come, un felice mix di rock, pop e country prodotto dal celebre Lloyd Maines. Poi, a quattro anni di distanza, torna col secondo album, questa volta affidato alle mani di Jay Bennett, ex Wilco, e impreziosito dalla collaborazione di John Rice (violino, mandolino e dobro) e dello stesso Bennett (tastiere, sitar e chitarra baritono). Se un gruppo country proveniente dalla nordica Chicago con una solista filippina non è abbastanza esotico, si aggiunga a questo che Oh, The Stories We Hold è stato mixato e masterizzato a Oslo, in Norvegia. Un vero e proprio disco globale, è il caso di dirlo!
Il CD si apre con un pezzo lento, basato su un gentile accompagnamento di chitarra acustica e un caratteristico ‘yodeling’ della Fermin nel ritornello, seguito da un energetico omaggio rock a Chicago (My Town), una delle cose migliori dell’album. L’alternanza fra brani lenti e veloci continua poi per tutta la durata del disco. Annoveriamo nella prima categoria la languida Chance I Can’t Afford Not To Take, la supplichevole Baby Want You Please Come Home, due canzoni nelle quali la Fermin non esita a mostrare tutta la sua vulnerabilità e la sua dipendenza dall’uomo amato, e Dragging On, un brano pop in cui, accompagnandosi al piano, la Fermin si chiede invece quale sia il senso di continuare una relazione che ormai si trascina stancamente. Invece in How Do You Judge Me, quasi un brano di bossa nova, la cantante di origine filippina si chiede se, fra le altre cose, anche il colore della sua pelle influenzi il giudizio che di lei ha il suo amante.
Nella categoria dei brani dal ritmo più sostenuto vanno invece segnalati Is That All, tipico country/rock con un bel cambio di tempo introdotto dall’assolo di violino, e le due cover dell’album: Down The Road, un pezzo di Steve Earle della metà degli anni Ottanta, e Perhaps, Perhaps, Perhaps, puro pop anni Sessanta portato al successo da Doris Day. In particolare, la cover di Steve Earle acquista qui un appeal che non aveva nell’originale, grazie alla voce di Anna Fermin, all’introduzione del fiddle e a una maggiore grinta nell’esecuzione. Si può parlare di una canzone letteralmente reinventata.
Unica nota negativa, ma neanche troppo, è la sperimentale White Birch, per la scelta di sintetizzare la voce della Fermin. Un approccio completamente acustico, a parere di chi scrive, sarebbe stato senz’altro preferibile. Questa piccola pecca comunque non inficia il giudizio positivo dell’album, un ‘gioiellino’ di 37 minuti degno di essere conosciuto ben oltre i confini di Chicago.
Undertow 01020 (Alternative Country, Country Rock, Roots Rock, 2003)
Vito Minerva, fonte TLJ, 2005