Bill Monroe

Bill Monroe (William Smith Monroe) è nato presso Rosine, Ohio County, Kentucky, il 13 settembre 1911, ultimo di otto figli di James Buchanan (‘J. B.’) Monroe e Melissa Vanderver Monroe.
Il padre, agricoltore, era ottimo ballerino di ‘step-dancing’; la madre suonava armonica, fisarmonica e fiddle, e cantava le antiche ballate e canzoni.
Uno zio, Pen Vanderver, era un fiddler famoso e sempre presente alle feste e alle danze della piccola comunità. I fratelli di Bill suonavano diversi strumenti, in particolare il fratello maggiore, Harry, era un buon fiddler (ma non seguì la carriera musicale), Birch suonava il fiddle, Charlie e Benha suonavano la chitarra: a Bill non restò che ‘scegliere’ il mandolino, strumento negletto dai fratelli, e spesso reso meno rumoroso limitando il suo numero di corde a quattro!

Dalla famiglia Bill trasse la maggior parte della sua educazione musicale, ma molto provenne anche dalle ‘singing schools’ delle chiese di Rosine, in cui i fratelli Monroe impararono a cantare gli antichi inni a ‘shape-notes’, e in seguito (dopo la morte della madre, avvenuta nel 1921) dalla notevole influenza dello zio Pen e di un amico, il chitarrista e fiddler di colore Arnold Schultz, che Bill accompagnò alla chitarra sempre più frequentemente negli anni successivi.
Dopo la morte del padre, avvenuta quando Bill aveva 16 anni, i giovani Monroe vissero per alcuni anni con lo zio Pen, quindi, nel 1929, si trasferirono nell’area di Detroit, per lavorare nelle nuove fabbriche di automobili, quindi nell’area di Chicago, in raffineria.
Per cinque anni Bill tenne un lavoro stabile alla raffineria Sinclair, aiutando fratelli e sorelle nei primi duri anni della Depressione.

Nel 1932 Bill, Charlie, Birch, e l’amico Larry Moore vennero scoperti ad una square-dance da Tom Owens, manager di uno spettacolo di square dance per la stazione radio WLS di Chicago, e furono ingaggiati come ballerini di professione per spettacoli nel Midwest, con il popolare show ‘Barn Dance’ della WLS.
Nel 1934 Bill prese la decisione di diventare un musicista professionista, e ottenne un contratto col fratello Charlie per la Texas Crystals (acque minerali), sotto il nome di Monroe Brothers. Nel 1936 i Monroe Brothers passarono dalla Texas Crystals alla più importante Crazy Water Crystal Company, e apparvero regolarmente nel programma ‘Crazy Barn Dance’ della WBT.
Sempre nel ’36, il 13 febbraio, a Charlotte, North Carolina, i fratelli Monroe registrarono diversi pezzi per la Bluebird (RCA), e iniziarono a essere noti come uno dei migliori ‘Brother duets’ del periodo.
Fra il 1936 e il 1938, anni in cui Charlie e Bill si separarono, i due fratelli registrarono 60 sides, in 10 session, quasi tutte pubblicate oggi negli album Feast Here Tonight (RCA AHM2 5510) e The Monroe Brothers (Old Time Classics 6003).

Nel corso di quei due anni di frequenza ai Bluebird Studios (in realtà la Southern Radio Corporation) i fratelli Monroe ebbero modo di osservare musicisti come i Delmore Brothers e Arthur Smith, e nelle stazioni radio di Greenville, South Carolina, e Raleigh, N. Carolina, entrarono in contatto con Snuffy Jenkins, famoso banjoista, futuro ispiratore di Earl Scruggs, Don Reno e molti altri.
Nel 1938 i due fratelli si separarono, per diverse ragioni; Bill si trasferì a Little Rock, Arkansas, dove organizzò una band chiamata The Kentuckians: dopo soli tre mesi apparve chiaro che era necessario fare qualcosa di diverso, e Bill decise di andare ad Atlanta, Geòrgia, e di formare un nuovo gruppo, che chiamò The Blue Grass Boys, con chitarra, fiddle, jug e mandolino.
In un paio di mesi la band acquistò un contrabbassista, e iniziò ad apparire ad Asheville, N. Carolina, quindi a Greenville.

Nell’ottobre del 1939 il grande passo: un’audizione a Nashville, alla WSM, e il contratto per le trasmissioni del sabato sera dalla Grand Ole Opry, di cui da allora Bill Monroe è sempre stato membro. Attraverso la Grand Ole Opry Bill Monroe divenne in breve tempo famoso in tutti gli stati del Sud, e nel 1940 ritenne di essere pronto per iniziare una carriera discografica a suo nome.
Da allora il nome di Bill Monroe & His Blue Grass Boys è sempre stato legato ad un genere di musica originale e al contempo tradizionale, country music diversa dalla precedente, più moderna ma al tempo stesso antica, una musica che, dagli anni cinquanta, tutti conosciamo come bluegrass.
“Bluegrass — non esiste un nome più bello al mondo”.
Queste parole sono state pronunciate dalla persona che, senza dubbio, ha più diritto di fare una simile affermazione: Bill Monroe è stato infatti ideatore, progenitore artefice del bluegrass, principale influenza, e ‘padre’ di tutti i musicisti che hanno seguito i suoi passi.

Scrivere di Monroe è spaventosamente difficile; è quasi impossibile evitare di cadere nel retorico, nello pseudo-storico, o semplicemente nello scontato.
Come potrebbe infatti essere facile parlare di un uomo che, a 71 anni, ha alle spalle una carriera musicale di quasi 60 anni, con centinaia di incisioni, ha insegnato a generazioni di mandolinisti non classici (bluegrass, folk, rock, jazz) un modo di suonare diverso dai precedenti, è riuscito a creare e a mantenere vivo e puro per quasi 40 anni un genere musicale in continua evoluzione, sempre diverso ma sempre chiaramente identificabile e inconfondibilmente Monroe?

E siamo caduti nella retorica e nello scontato: inevitabile, temo… La storia musicale di Bill Monroe nasce nella fattoria vicino a Rosine, ‘cullata’ dalle canzoni della madre, dal suono della sua fisarmonica, e ritmata dallo ‘step-dancing’ del padre, ma trova le sue radici principalmente nell’old time fiddle di Pen Vandervere nella chitarra blues di Arnold Schultz, oltre che nei gospel battisti ascoltati e imparati in chiesa: hoedowns, blues, gusto della coralità, queste sono in sintesi le basi su cui il bluegrass si è sviluppato.
Il primo periodo della musica di Monroe non si stacca naturalmente dalle radici: Bill, ragazzo di poco più che 10 anni, lavora sodo per apprendere e fare propria la musica che ascolta e suona in famiglia. Accompagnare lo zio Pen gli insegna ad avere padronanza del ritmo, a cogliere le variazioni, le diverse progressioni armoniche dei pezzi; il blues di Arnold Schultz infonde nel suo animo di giovane musicista un suono triste, solitario, che ben si lega con la desolata, acuta (anche nel suono) tristezza delle antiche ballate di derivazione anglosassone; gli inni ‘shape-notes’ lasciano in Bill un profondo amore per i cori, le note ben fuse, il suono alto e limpido di voci ‘educate’ naturalmente.

Come scrive Neil Rosenberg: “La ‘teoria musicale’ del bluegrass viene in parte da queste scuole di musica grezze e immediate”. Un distacco abbastanza marcato dalla tradizione, accompagnato da un’impronta personale e originale nell’approccio al materiale tradizionale, è caratteristica spiccata, invece, del periodo, a noi noto, della musica dei Monroe Brothers.
Le somiglianze del duo con altri gruppi analoghi dello stesso periodo (Blue Sky Boys, Delmore Brothers, Carlisle Brothers ecc.) si riducono in fondo agli strumenti, al repertorio, ad un approccio ‘rurale’ alla musica suonata, musica che però si distingue notevolmente per l’elevato livello tecnico raggiunto dai fratelli (e particolarmente da Bill) sugli strumenti, per la pulizia tutt’altro che rurale del suono, per i quasi sofisticati arrangiamenti di certe parti vocali.
Molte cose cambiano per Bill Monroe nel 1939, quando, finalmente, la moltitudine di idee, progetti, ambizioni a lungo coltivata, ma soffocata nella parte di fratello minore può trovare una forma compiuta. Qui ha veramente inizio la storia della musica di Bill Monroe & His Blue Grass Boys, anche se ancora non si può parlare, in senso stretto, di bluegrass.

La formazione originale dei Blue Grass Boys comprende chitarra, fiddle, contrabbasso, oltre naturalmente al mandolino di Monroe. Il suono è già grintoso, esplosivo, anche se ancora ‘incompleto’, e gli ascoltatori dei programmi della Grand Ole Opry su WSM trovano in esso una nuova dimensione nell’ambito di una country music stanca e priva di vitalità, anche se di notevole successo commerciale.
L’aggiunta di un banjo, suonato in ‘claw-hammer’ da Dave ‘Stringbean’ Akeman, e di una fisarmonica (omaggio ai ricordi d’infanzia o Edipo irrisolto?) non giovano molto alla nuova musica di Monroe, e l’esperienza è di breve durata.

All’inizio del ’45, infatti, i Blue Grass Boys assumono un volto nuovo e definitivo con l’ingresso nella band del chi­tarrista Lester Flatt e, a breve distanza di tempo, del banjoista Earl Scruggs.
Con Monroe, Flatt, Scruggs, il violinista Chubby Wise e un contrabbassista (Birch Monroe all’ inizio, poi Howard Watts) il nuovo stile di Bill Monroe ha modo di esprimersi in tutto il suo vigore. La base ritmica potente e ben articolata fornita dalla chitarra di Flatt e dal contrabbasso trova un aiuto nel nuovo modo di accompagnare col mandolino sviluppato da Monroe: accordi stoppati in levare, con un effetto quasi di rullante in una batteria; su questa base lo stile sincopato dei breaks di mandolino può essere esplorato in assoluta libertà, il fiddle fluido e bluesy di Chubby Wise si stacca dall’obbligo delle arcate ritmiche proprie del fiddle nell’old time music, e il banjo di Scruggs (nel cui suono il bluegrass trova più spesso immediata identificazione) danza intorno alla melodia in una serie di note legata e fluente, interrotta solo a tratti ad accrescere la sincopatura del fraseggio.
Le voci, come gli strumenti, sono già quelle che conosciamo ai giorni nostri: l’impostazione alta dei cori, solo nei gospel bilanciati dall’aggiunta di una voce bassa, l’uso frequente di ‘lead vocals’ acuti e giocati su effetti tipici del blues, il tipico trio con lead, tenor e baritone, sono tutti elementi caratteristici di uno stile che dal ’46 a oggi si è continuamente rinnovato, per restare vivo e fresco, pur mantenendosi fondamentalmente uguale a se stesso, integro, radicato nelle diverse tradizioni da cui proviene e nel suo stesso passato.

All’ascolto delle molte incisioni di Monroe si rendono presto evidenti i ‘punti chiave’ su cui il padre del bluegrass ha di volta in volta agito per variare la propria musica, e se consideriamo che il bluegrass è musica fatta di un numero limitato di suoni, in quanto prodotta da pochi strumenti e poche voci, è quasi strabiliante la varietà di combinazioni sfruttate da Monroe nel corso della sua carriera.
Il periodo con Flatt, Scruggs e Wise si caratterizza per un’impostazione vocale in gran parte adattata alla voce calda e bassa di Lester Flatt, con pezzi in tonalità relativamente ‘basse’, e in parte al contrario basata (è ovvio) sul tenor alto e chiaro di Bill Monroe.
Strumentalmente il fiddle di Wise da un suono molto unito al gruppo, e imprime a tutto un’impronta bluesy che solo di rado si ritroverà in modo così marcato nella musica prodotta successivamente dai Blue Grass Boys.

Scruggs, in questi primi avventurosi anni, fa scuola, esplorando con inusitata sicurezza le possibilità del proprio strumento, e agendo quasi da trait d’union fra il suono legato di Wise e quello sincopato di Monroe.
Il banjo è sempre nuovo, sempre diverso dal passato ma sempre legato ad esso, di volta in volta ‘classicamente Scruggs’ (vale a dire, come lo conosciamo oggi; esempi? Goin’ Back To Old Kentucky, Molly & Tenbrooks, Will You Be Loving Another Man), o bluesy in modo quasi pianistico (come in Blue Yodel No. 4, Blue Grass Stomp, Rocky Road Blues… tutti pezzi che, non so se vi interessa, sto rivalutando enormemente), o ancora legato ad un suono alla Snuffy Jenkins (come in alcune incisioni di Little Maggie).

Il contrabbasso, suonato da Birch Monroe o più spesso da Howard Watts, tende ad imporre un ritmo in 4/4 più che in 2/4, più legato e fluido dei ritmi tipici dell’ old time music, un ritmo tipicamente country, se vogliamo, ma con un quintale di grinta in più.
Questo è il suono che esce dalla ‘Originai Bluegrass Band’ degli anni 1945-48, e che Monroe tenderà a mantenere anche dopo l’uscita di Lester Flatt ed Earl Scruggs dal gruppo, utilizzando un banjoista di scuola Scruggs come Rudy Lyle e un chitarrista/cantante dalla voce ‘educata’ e calda come Mac Wiseman.
La breve permanenza di Don Reno nei ranghi dei Blue Grass Boys fu il primo episodio di una serie di ‘scambi’ musicali, di valore inestimabile, fra musicisti allora giovani, ma dotati di enorme potenziale e di notevole personalità, e il quarantenne (o quasi) papa del bluegrass: è dell’inizio degli anni ’50 la collaborazione con Bill Monroe di Jimmy Martin, Carter Stanley, Sonny Osborne, e di una lunga serie di violinisti, come Merle ‘Red’ Taylor, Gordon Terry o Vassar Clements, destinati a dare un suono diverso ai Blue Grass Boys.

E’ pure di questo periodo il passaggio alla Decca, poi MCA, etichetta che resterà stabilmente legata al nome di Monroe (sono infatti rarissime le incisioni di Monroe al di fuori della Decca/MCA, essendo questa casa discografica ideale per Monroe: niente limiti, poco controllo da parte dei produttori, nome solido).
In questo inizio degli anni ’50 il suono di Bill Monroe & His Blue Grass Boys, come ho detto, cambia in modo significativo, staccandosi definitivamente dal modello canonizzato con Flatt e Scruggs e, in parte, seguito anche con Lyle, Wiseman e Reno.
I primi tre anni sono ancora con Lyle in molte session e nella maggior parte dei concerti, ma a cambiare il suono del gruppo arrivano la voce e la chitarra di Jimmy Martin; con lui Monroe registra classici come Little Geòrgia Rose, Uncle Pen, When The Golden Leaves Begin To Fall e altri, pezzi in cui le voci sono alte, penetranti, e il suono stesso degli strumenti sembra adattarsi a questo ‘high lonesome sound’: in questo periodo Monroe sfrutta per le prime volte in modo completo tonalità ‘difficili’ come Sib o Si, tipiche del suo suono.

Il ruolo dei fìddlers in questi anni cambia, assumendo un’importanza decisamente maggiore rispetto al passato: se Earl Scruggs aveva la parte del leone nei primi anni dei Blue Grass Boys, a volte suonando tutti i breaks di un pezzo (ad esempio in Molly And Tenbrooks), è ora il fiddle ad assumere un ruolo preminente, ruolo che ancora oggi, nelle mani d’oro di Kenny Baker, gli è proprio.
Vassar Clements, Gordon Terry, Red Taylor, Charlie Cline, Bobby Hicks, Joe Stuart, Tommy Jackson, Dale Potter e altri influenzano col loro stile personale la musica dei Blue Grass Boys, e sono protagonisti di diverse canzoni impostate sul fiddle: la già citata Uncle Pen, la curiosa The Old Fiddler, e tutta una serie di ‘state waltz’, come Kentucky Waltz e Alabama Waltz, oltre ai numerosi breakdown di cui la produzione di Monroe è costellata.

Nel 1951 la Decca fa un tentativo (l’unico nella storia di Monroe) di registrare la voce di Bill Monroe senza il supporto della band, utilizzando musicisti di studio: il risultato di due session faticosamente portate a termine in questo modo, con sessionmen del calibro di Grady Martin, Ernie Newton e Owen Bradley, sono dieci sides di valore più che altro storico, se si eccettuano Prisoner’s Song, la citata Kentucky Waltz, e la meglio eseguita in seguito (1964) Highway Of Sorrow: i Blue Grass Boys potranno anche essere sempre diversi da una session all’altra, ma il suono della band resta un supporto essenziale per la voce di Bill Monroe, e non c’è dimostrazione più chiara di queste sides per questo fatto, notevolmente indicativo di uno stile.

Nel 1953 Monroe ha un grave incidente d’auto, e la forzata inattività, durata diversi mesi, gli da modo di rendersi meglio conto della notevole popolarità raggiunta dalla sua musica, e degli ‘svantaggi’ di questa popolarità: come gli Stanley Brothers l’avevano anticipato nel registrare Molly & Tenbrooks, nel 1947, così ora i vecchi compagni Flatt & Scruggs registrano Pike County Breakdown prima di lui.
Ora, però, la portata di queste azioni un po’ piratesche è minore, e tutte le cover dei suoi pezzi sembrano più atti di omaggio e adulazione che furti o tentativi di sfruttare la sempre crescente popolarità del genere.
Questa è testimoniata in quegli anni, cosa di cui Monroe può rendersi conto in breve, dal fatto che ogni casa discografica ha almeno una bluegrass band sotto contratto, da Flatt & Scruggs, a Jim & Jesse, agli Stanley Brothers, a Mac Wiseman, a Reno & Smiley.

E’ tempo per nuovi cambiamenti, e Monroe attua tutta una serie di variazioni al suono della sua band: da variazioni minime (riguardanti ad esempio il break di banjo di Sonny Osborne su Pike County Breakdown, notevolmente diverso da quello di Scruggs) a notevoli, come l’uso di armonie suonate dal mandolino insieme col fiddle, o il ben più importante uso di due o tre fiddle in armonia, caratteristica presente in molti pezzi dal 1954 in poi.
Dobbiamo tenere presente che i Blue Grass Boys di questo periodo sono una band estremamente instabile, soggetta a cambiamenti continui nell’organico: un musicista può essere presente in una registrazione, ma assente dalla band che appare in concerto nello stesso periodo. Così pure un pezzo può essere stato composto da Monroe in stretta collaborazione con un determinato musicista, suonato per mesi o anni in concerto con questo musicista, e inciso poi con un altro musicista a distanza di tempo.
Probabilmente i ‘twin fiddlers’ o ‘triple fiddlers’ delle registrazioni che abbiamo oggi non ebbero molte occasioni di suonare insieme al di fuori dello studio, ma quello che conta è l’inconfondibile suono prodotto da queste combinazioni: un suono pieno, trascinante, più bluesy e aspro, a tratti, più brillante in generale, e di notevole sostegno per gli altri strumenti e per la voce in particolare.

Se è vero che banjo e mandolino ‘soffrono’ di questo nuovo assetto della band, vedendo ridursi lo spazio per i propri breaks, è anche vero che i Blue Grass Boys con due fiddles, e ancor più con tre fiddles, sono una band con un suono unitissimo, carico ma non sovrabbondante, e con un drive difficilmente eguagliabile.
Ascoltare Blue Moon Of Kentucky, con i fiddles di Gordon Terry, Red Taylor e Charlie Cline, Wheel Hoss con Bobby Hicks e Charlie Cline, Tall Timber’ ancora con Hicks, Terry e Vassar Clements, o Panhandle Country e Scotland con i grandi Kenny Baker e Bobby Hicks, da la giusta misura del suono dei Blue Grass Boys con due o tre fiddles.

Importanti variazioni anche sul piano vocale: la precedente produzione era molto equilibrata, con soli, duetti, trios, quartetti gospel; con Lester Flatt ed Earl Scruggs il lead era in misura equa diviso fra Monroe e Flatt, e i duetti erano frequenti; così anche con Mac Wiseman, e in misura ancora più accentuata con Carter Stanley e Jimmy Martin, lead singer degni della massima considerazione e rispetto anche da parte di un Bill Monroe.
Dopo l’uscita di Jimmy Martin dai Blue Grass Boys, avvenuta nella primavera del 1954, i pezzi corali si fanno rarissimi, con l’eccezione dei gospel, che peraltro sono meno numerosi che in passato. Monroe assume il ruolo di unico lead singer del gruppo, cedendo il posto al chitarrista solo per passare al tenor nei gospel, e fino all’inizio degli anni ’60 il suono vocale dei Blue Grass Boys è il suono della voce di Monroe.

Molto probabilmente alla base di questa scelta stanno le notevoli difficoltà attraversate dai musicisti bluegrass negli anni ’50, a tutti noti come anni terribili economicamente per un genere completamente soverchiato, commercialmente parlando, dall’ondata del rock’ n’ roll.
Monroe deve adattarsi a suonare con i musicisti che può trovare sul posto, e così fa per anni, cambiando la composizione dei Blue Grass Boys ad ogni tour, non potendo permettersi di pagare il viaggio a quattro o cinque persone.

Le registrazioni di questo periodo poco risentono di queste difficoltà, essendo state eseguite in massima parte a Nashville, ma si sa che alcuni pezzi sono stati incisi in modo diverso da come Monroe li avrebbe voluti, proprio per l’impossibilità da parte di questo o quel musicista di trovarsi in studio nel perìodo delle session. Non dipendere da un chitarrista per il lead è perciò una necessità assoluta per Monroe, di qui la scelta di assumere lui questo ruolo, e limitare al massimo i pezzi in duo o trio, che necessitano di lunghe e accurate prove.
Verso la fine degli anni ’50 la situazione migliora lievemente, e Monroe riesce ad avere una band abbastanza stabile: è sintomatico che sia di questo periodo l’insieme di session che ha portato ad uno dei suoi migliori album gospel, I Saw The Light, cantato interamente in quartetto.

La situazione, però, non dura abbastanza a lungo, e per altri tre anni Monroe torna ad essere unico cantante (almeno su disco), e a registrare pochissimi pezzi in coro.
Fra i musicisti oggi famosi che furono con Bill Monroe negli anni ’50 ricordiamo, oltre ai già nominati Bobby Hicks, Vassar Clements, Red Taylor, Gordon Terry e compagnia, anche Don Stover, Jack Cooke, Bessie Lee Mauldin (per molto tempo contrabbassista stabile nei Blue Grass Boys), e Kenny Baker, ancora oggi pietra miliare ed elemento fondamentale nella musica di Monroe.
Quanto a Monroe stesso, notiamo in questo periodo una rapida e notevole maturazione del suo stile, vocalmente e strumentalmente: la sua voce si fa più espressiva, sofferta a tratti, intensa e viva, più duttile e mobile che in passato, e resa più vigorosa dal suo nuovo ruolo quasi esclusivamente solistico.

Il mandolino è sempre lo stesso, grintoso, legnoso e vibrante, carico di una asprezza blues che non aveva ai tempi di Flatt e Scruggs.
Compaiono in repertorio nel 1950 alcuni pezzi, come Blue Grass Ramble e Get Up John, in cui il mandolino è accordato in ‘cross tuning’, cioè con una o due coppie di corde non accordate all’unisono, bensì in modo da formare un accordo, e sono degli anni ’50 alcuni strumentali basati sul mandolino, come Rawhide, Pike County Breakdown, Roanoke.
Sono questi i pezzi che hanno ispirato generazioni di giovani mandolinisti, gli strumentali su cui è cresciuto Sam Bush, si è formato Doyle Lawson, è maturato John Duffey: musica che avvicina le generazioni come pochi altri generi musicali hanno saputo fare.
Con gli anni ’60 la grossa crisi del bluegrass, crisi solo economica e discografica, si intende, scompare, e con il ‘folk revival’ la musica di Bill Monroe diventa famosa anche a nord della Mason-Dixon Line, negli stati yankee, grazie alla diffusione ed un pubblico composto di studenti e persone ‘colte’ improvvisamente interessate a tutto ciò che suona anche vagamente ‘folk’.

Gli Osborne Brothers per primi, poi Flatt & Scruggs e gli Stanley Brothers trovano la porta aperta al circuito dei college e dei campus universitari, Flatt & Scruggs appaiono in televisione nel programma ‘Folk Sound – USA’, e la Carnegie Hall si apre al suono di fiddle, banjo e chitarra. Numerosi giovani di città abbandonano la canzoni dei Weavers e della giovane Joan Baez per dedicarsi allo studio di banjo, mandolino e fiddle, e fondere le voci in trio, con uno ‘strano’ accento non propriamente kentuckiano, forse, ma pur sempre nell’inconfondibile idioma bluegrass.
E’ da queste ‘nuove leve’ di giovani che Bill Monroe trova i punti forti della nuova operazione di rimodernamento della sua musica. Nel marzo 1963 fa la sua comparsa nei Blue Grass Boys un giovane banjoista di Boston, William Bradford Keith, Bill per tutti, ‘Brad’ per Monroe (come a dire “in questa band non c’è posto per due Bill…”).

La band registra tre strumentali e un gospel: Salt Creek (in origine Salt River ribattezzato Creek per evitare confusioni con il 45 rpm appena inciso da Monroe, Big Sandy River), Devil’s Dream e Sailor’s Hornpipe diventano subito classici, e tali sono ancora a distanza di 20 anni, e il nuovo ‘melodic style’ di Keith trova l’ambiente migliore per essere portato alle orecchie di tutti.
Con Bill Keith Monroe registra altri strumentali, tutti con il banjo come strumento lead: uno stacco notevole rispetto al passato, e una impostazione ‘nuova’ del suono dei Blue Grass Boys, ora in equilibrio sui breaks ben dosati di banjo, fiddle e mandolino.

Ma l’importanza dell’impatto del Keith style sul mondo del bluegrass va al di là del semplice ritorno del banjo ad un relativo dominio nei lead: come nota Neil V. Rosenberg nella sua discografia (v.) “Il periodo passato da Keith nei Blue Grass Boys non solo segnò la fusione del bluegrass ‘di città’ (cioè basato sul folksong-revival) con quello ‘di campagna’ (cioè basato sulla country music), ma segnò anche l’inizio di un grosso cambiamento di direzione nel banjo bluegrass al di fuori dello standard stabilito da Scruggs nelle registrazioni Columbia con Monroe. Questo mutamento di direzione trova il suo simbolo migliore in una nuova registrazione di Pike County Breakdown (sfortunatamente mai pubblicata) in cui Keith riproduce la versione di Scruggs, quindi la reinterpreta nel proprio stile. E’ questo il modo in cui Monroe gli aveva chiesto di suonarla”.

In questo periodo Monroe utilizza ancora musicisti di studio per alcune registrazioni: un’abitudine presa negli anni ’50, e da cui si staccherà ben presto, cercando uno stile che non può essere personale se non suonato con musicisti che lavorino costantemente con la band, anche al di fuori dello studio. Nel ‘dopo-Keith’ Monroe trova per un certo periodo la band ideale con tre giovani ‘di città’: Richard Greene (da Los Angeles), Peter Rowan (da Boston) e Lamar Grier (da Washington), aiutati dal giovane figlio di Bill, James Monroe al contrabbasso.

La voce robusta di Rowan, sostenuta da una chitarra potente e grintosa, il violino raffinato di Greene e il banjo squillante e chiaro nel fraseggio di Grier caratterizzano la produzione di Monroe per due anni: pochi nel complesso della carriera del maestro, forse, ma abbastanza da dare una nuova dimensione e un nuovo sound alla sua musica, un sound contemporaneamente complesso ma tradizionalmente semplice, raffinato ma senza fronzoli, pulito ma non troppo perfetto, pieno e accuratamente arrangiato ma non troppo ‘colto’.
La sostituzione di Richard Greene con Byron Berline, di Lamar Grier con Vic Jordan, e di Peter Rowan con Roland White non muove di molto i Blue Grass Boys dal solco appena tracciato, ad onta della ‘non urbanità’ (se mi si perdona una definizione così raccapricciante) di questi tre musicisti: il suono della musica di Monroe nella seconda metà degli anni ’60 resterà il suono decisamente moderno che possiamo ascoltare in Bluegrass Time (MCA-116) e Country Music Hall Of Fame (MCA-140) e (con le dovute variazioni causate dalla presenza di James Monroe al lead) in Father & Son (MCA-310).

Negli anni che seguono (dal 1969 in poi) alcuni fatti contribuiscono a rendere questo suono stabile e difficilmente alterabile: la presenza di Kenny Baker, principalmente, e la crescente importanza del suo fiddle sia nei breaks sia nel back-up danno una tipica impronta vivacemente raffinata al sound dei Blue Grass Boys; inoltre il continuo avvicendarsi di musicisti sempre diversi ma sempre validissimi agli altri strumenti è una garanzia di ‘limitata varietà’ di questo sound.
Banjoisti come Rual Yarbrough o Bobby Thompson, infatti devono necessariamente seguire le orme dei loro predecessori con notevole fedeltà per non alterare troppo il ben arrangiato suono della band, ma hanno spazio sufficiente per esprimere il proprio stile personale senza limitazioni o coercizioni.

Quando poi il ruolo di banjoista dei Blue Grass Boys passa nelle mani di Jack Hicks, per restarci diversi anni, lo stile del gruppo trova finalmente modo di restare continuamente moderno, nel rispetto della tradizione e della personalità di Monroe, e di rinnovarsi senza strappi e in modo armonico.
Hicks, infatti, è il tipico banjoista degli anni ’70-’80, in costante equilibrio fra classico e nuovo, fra Keith e Scruggs, come in fondo la maggior parte dei banjoisti contemporanei.
In questo modo il suono della band resta sempre dominato dal fiddle, ma non cade di tono nei momenti in cui il banjo assume importanza (come al contrario accadeva quando al banjo nei Blue Grass Boys suonavano musicisti validi ma un po’ anonimi, come erano in fondo, senza offesa, i vari Joe Drumright, Robert Lee Pennington, Tony Ellis o Lonnie Hopper).

Dopo Hicks troviamo al banjo diversi giovani di valore, fra cui spicca in particolare Joseph ‘Butch’ Robins, uno dei banjoisti più profondamente ‘Monroe’ della storia della baind.
Da circa due anni Robins ha ceduto il posto a Blake Williams, illustre sconosciuto dotato di notevole tecnica e gusto: la via pare ormai ben tracciata, e chiunque Monroe scelga come sideman sembra destinato ad una carriera luminosa, sebbene non facile.
Oggi, a 44 anni dalla nascita della band, assistere ad uno show di Bill Monroe & His Blue Grass Boys non è soltanto un atto di reverenza verso un grande e verso uno stile glorioso, ma è, come 40 anni fa, un’esperienza inestimabile.

La voce di Monroe non è più la stessa, minata da una lunga e grave malattia, ma se più faticosa è l’emissione, difficile il sostegno, e minore la potenza, tuttavia il timbro è lo stesso, vibrante ed intenso, ‘high and lonesome’; così è anche il mandolino, il vecchio F-5 Lloyd Loar del 1923, dal suono ancora oggi dolcemente aspro, acuto e forte nelle mani di chi l’ha suonato, o per meglio dire ‘fatto vivere’, dal 1941 a oggi.
A quasi 72 anni, più magro e notevolmente invecchiato, ma tuttavia quasi imponente, Bill Monroe domina il centro del palco, attorniato da Wayne Lewis, Kenny Baker, Blake Williams e Mark Hembree, e ricorda a chi lo ascolta, con poche semplici note del suo Lloyd Loar e con uno dei tanti pezzi che ha scritto e vissuto, che ancora oggi solo in lui il bluegrass può trovare la sua più completa identificazione, la sua espressione più alta. Non dimentichiamolo.

Discografia scelta:
Father Of Bluegrass – (RCA ACL-7059)
The Originai Bluegrass Band – (Rounder SS-06)
Classic Bluegrass Recordings, Vol. 1 – (County CCS-104)  
Classic Bluegrass Recordings, Vol. 2 –
(County CCS-105)
The Best Of Bill Monroe (2LP) – (MCA-4090)
Bill Monroe’s Greatest Hits – (MCA-17)
Bluegrass Style – (MCA CB-20077)
Bean Blossom (2LP) – (MCA-8002)
Bean Blossom ’79 – (MCA-3207)
Bluegrass Ramble –
(MCA-88)
Bluegrass Special – (MCA-97)
Bluegrass Instrumentals –
(MCA-104)
The High Lonesome Sound – (MCA-110)
Blue Grass Time – (MCA-116)
A Voice From On High – (MCA-131)
Country Music Hall Of Fame – (MCA-140)
l’Il Meet You In Church Sunday Morning – (MCA-226)
Father & Son –
(MCA-310)
Uncle Pen –
(MCA-500)
I Saw The Light –
(MCA-527)
Master Of Bluegrass –
(MCA-5214)

 

Radio Shows – (BGC-80)
Bill Monroe –
(BS-1)
Bill Monroe & Doc Watson Sing Country Songs –
(FBN-210)

Ho indicato anche questi ultimi tre album illegali (bootlegs) perché, pur essendo di difficile reperibilità, contengono mate­riale altrove introvabile e di particolare valore storico. Nell’ordine: registrazioni radiofoniche (1946-1948 circa), incisioni di studio a Nashville del periodo 1950-1954 mai pubblicate su LP ufficiali, registrazioni private di Ralph Rinzler con intervista (1963, Teatro Ash Grove di Los Angeles).

Silvio Ferretti, fonte Hi, Folks! n. 2, 1983

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