Blind Blake – Give Me A Search Warrant

E’ un dato di fatto che tra gli artisti che hanno fatto la storia discografica del Blues, esista una folta schiera di musicisti misteriosi e leggendari di cui non si conosce nulla, a parte un nome d’arte sulle etichette di alcuni vecchi 78 giri, per i quali non risulta alcun census report, un certificato di nascita o di morte e non esiste alcuna tomba. Mississippi Bracey, Blind Joe Taggart, Otto Virgial, The Mississippi Moaner, Geechie Wiley, per citarne solo alcuni, sono in verità fantasmi senza storia, spiriti ignoti e irraggiungibili, a parte la possibilità di evocarli a piacere semplicemente ascoltando la loro musica su CD o vinile.

Fino alla prima metà del ‘900 questa specie di anonimato era in verità una condizione relativamente frequente per molti afro americani, anche se meno che nel secolo precedente, a causa del generale disinteresse per i fatti di vita della popolazione di colore, a meno che non fossero violenti o particolarmente curiosi, che si manifestava ad esempio con la frequente negligenza nella corretta trascrizione di nomi, date e altro, non solo da parte dei produttori discografici del tempo ma anche dagli stessi ufficiali dello Stato Civile. Eppure il mistero che circonda l’artista conosciuto semplicemente come Blind Blake ha una specifica caratteristica, un enigma all’interno del mistero per così dire, perché a differenza degli altri ‘fantasmi’, apparsi sulla scena discografica Blues per pochi luminosi minuti e poi spariti per sempre, Arthur ‘Blind’ Blake, era uno degli artisti di punta della leggendaria etichetta Paramount Records, e autore di circa 120 incisioni dal 1926 al 1932, compresi gli alternate takes e qualche inedito (1)

Si era guadagnato fama, successo e il rispetto dei colleghi, come solista o accompagnatore delle popolari cantanti Leola B. Wilson, Ma Rainey, Irene Scruggs, Elzadie Robinson, Bertha Enderson, suonando insieme a famosi musicisti come Johnny Dodds e Jimmy Bertrand e Will Ezell, o in spettacolari duetti con Papa Charlie Jackson, Gus Cannon e Charlie Spand. Ma dopo l’ultima incisione, ‘Depression’s Gone From Me Blues’ nel giugno del 1932, l’anno in cui la Paramount smise di produrre dischi, semplicemente sparì dai radar senza lasciare traccia. Tutto quello che restava di lui, oltre la sua musica, era una famosa fotografia, ‘autografata’ come quella di Blind Lemon Jefferson, in cui appare in smoking mentre sorridente imbraccia quella che sembra essere una chitarra Harmony, e alcune vaghe note biografiche stampate nel catalogo promozionale di vendita per corrispondenza The Paramount Book of Blues del 1927 che lo davano come originario di Jacksonville, in Florida. Non ci sono mai stati molti dubbi sul fatto che si chiamasse Arthur Blake: alcune sides, come C.C. Pills Blues e Panther Squall Blues, hanno il copyright registrato alla Chicago Music Publishing Company a nome di Arthur ‘Blind’ Blake, e nel brano parlato Papa Charlie And Blind Blake Talk About It Part I, inciso nel 1929, ‘Papa’ Charlie Jackson chiede a Blind Blake: «Qual è il tuo vero nome?» e la risposta, perfettamente udibile nonostante il fruscio della registrazione, è: «Il mio vero nome è Arthur Blake!». Tuttavia Blind Willie McTell, in una breve intervista telefonica ad un’ignara bibliotecaria di Atlanta, Alma H. Jamison, riportata verbalmente a Ed Paterson e quindi pubblicata in quindici righe sul numero del 26 maggio 1951 della popolare rivista londinese Melody Maker And Rhythm, pareva aver detto di ricordare, tra gli altri, il musicista Arthur Phelps, conosciuto come ‘Blind Blake’, mentre la seconda moglie di McTell, Kate, diceva che Blake era stato portato in Georgia direttamente da Jacksonville da Willie (2).

Sappiamo che, fino all’abbandono della Paramonut da parte del grande talent-scout, produttore e direttore di registrazione J. Mayo ‘Ink’ Williams, intervistato da Jim O’Neal (3), Arthur Blake abitava tra la 34esima e Cottage Grove, nella Bronzeville di Chicago, Illinois, che era pagato dalla Paramount come una grande star, circa 50 dollari a side, una bella sommetta per i tempi, ma che il maggior guadagno lo faceva con le gigs e i rent house parties, che era un forte bevitore e un cieco in grado di badare a se stesso, caratteristiche già confermate a suo tempo da Gus Cannon nell’intervista raccolta da Sam Charters e incisa nel 1957 per la Folkways in American Skiffle Bands. Forse invece abitava nei Old Los Angelus Building, tra la 35esima and Wabash (4), oppure al 4005 di S. Parkway (5), oppure chissà dove, però quasi certamente, a giudicare dalle date di incisione, durante i mesi invernali spariva dalla circolazione per svernare da qualche parte. Nel 1996 i due appassionati e studiosi Gayle Dean e Joel Slotnikoff si misero alla caccia di Blind Blake, spingendosi fino in Albama, cercando di verificare, con poco successo purtroppo, le voci che lo davano originario della Florida, o piuttosto della Georgia (6), e il resoconto di questo interessante viaggio si può leggere sul sito di Slotnikoff www.bluesworld.com

Se della vita di Blake si sapeva poco, la sua morte era un unico punto interrogativo. L’unica traccia era un sentito dire del Reverendo Gary Davis, per il quale Blake era morto nel 1934 sotto un vagone della metropolitana di New York. Poi nel 2011, grazie al ritrovamento di un eloquente necrologio apparso il 15 dicembre 1934 nella cronaca di Milwaukee del Chicago Defender (7), un gruppo internazionale di valenti ricercatori, Bob Ford, Alex van der Tunk, Bob Eagle, Eric Le Blanc e Angela Mack hanno scovato quello che in effetti sembra essere il certificato di morte di Arthur ‘Blind’ Blake e in seguito a ritrovare il rapporto del Coroner e quindi, infine, la tomba. Il risultato di questa caccia all’uomo è stato pubblicato sul n. 263 dell’ottobre 2011 di Blues & Rhythm con un articolo che ha animato gli appassionati di Blues di tutto il mondo. Incrociando le scoperte con i dati reperiti alla Milwaukee Historical Association è emerso che con molta probabilità Arthur Blake era nato a Newport News, Virginia, nel 1896 ed era sposato ad una certa Beatrice McGee. Dal 1932 abitavano insieme a Milwaukee, Wisconsin, a vari indirizzi del quartiere afro americano chiamato, tanto per cambiare, Bronzeville (8) e in ultimo trasferiti nel quartiere vicino conosciuto come Brewer’s Hill. La notte del primo dicembre 1934 Arthur Blake, forse a causa di una polmonite non curata, fu trasportato in ambulanza a quello che ora è chiamato Froedtert Community Hospital, in preda ad un’emorragia polmonare, senza arrivarci vivo. Il funerale fu pagato donando alcune parti del corpo per le scuole di medicina, un mezzo molto comune tra la gente povera di pagarsi l’ultimo viaggio, e quindi Blake fu seppellito quattro giorni dopo in una tomba senza nome nel cimitero Evergreen, ora Glen Oaks Cemetery, in Green Bay Road. Sembra quasi un segno del destino che quaranta chilometri più a Nord, lungo la stessa strada, si arrivi ai miseri ruderi della grande fabbrica discografica Paramount, nella piccola cittadina di Grafton.

Blind Blake è spesso definito il King of Ragtime Guitar, ma questo titolo, benché prestigioso, non è completamente veritiero, considerato che circa la metà del suo repertorio è composto da Blues e il resto da Breakdowns, Shuffles, Stomps, Dance Tunes e naturalmente Rags, in effetti un repertorio tipico e comune a moltissimi musicisti Blues del periodo e non solo della costa dell’Est. E’ indubbio che Blind Blake eccelleva nei pezzi up-tempo e ballabili, richiestissimi all’epoca. Il lato B del suo primo disco, West Coast Blues, inciso nell’agosto del 1926, in realtà un Shuffle condito di Rag, è forse il primo e unico esempio di successo commerciale per un brano strumentale di Blues prebellico e certamente la pietra di paragone per qualsiasi chitarrista si voglia cimentare nel genere. Tuttavia la sua velocità e precisione alla chitarra, il gusto per i double tempo, i bass runs e gli arpeggi intricati, non li riservava solo alle Rags, ma sfoggiava la stessa, virtuosistica maestria qualunque fosse il genere suonato, adattando il proprio stile alle necessità di una cantante femminile come a quelle di una band di Jazz, creando veri e propri brani di riferimento per la tecnica e lo stile, come i duetti con Charlie Spand, i suoi fantastici strumentali e i suoi Blues lenti e raffinati. Le eco di un certo stile chitarristico comune si possono forse sentire in altri musicisti degli stati dell’Est a cominciare da Blind Willie McTell, Blind Boy Fuller e Gary Davis, passando ai meno noti William Moore, Willie Walker o Luke Jordan, tutti artisti ben dotati di una propria personalità musicale, ma la tecnica di Blind Blake sembra davvero unica (9).

E’ difficile scegliere una canzone rappresentativa della sua arte, unicamente per l’ampiezza della scelta, ma Police Dog Blues, attribuita a nome di Blake-Lamoore (10), e registrata negli studi prestati dalla etichetta Gennet a Richmond, in Indiana, è comunque il brano più famoso di Blake e anche uno dei suoi maggiori successi commerciali, in un epoca in cui il suo stile Blues quasi classico sembrava un po’ passè, superato dall’irruenza arrembante della nuova grande stella Paramount, Charlie Patton. E’ anche il brano di Blake che vanta il maggior numero di omaggi da parte di alcuni famosi musicisti come Jorma Kaukonen, Ry Cooder e Hugh Laurie (l’interprete del popolare personaggio televisivo del Dr. House), che ne ha tratto un arrangiamento interessante con più strumenti, e altri appena meno famosi come Roy Book Binder e Woody Mann, oltre centinaia di chitarristi da ogni continente che si cimentano per una dozzina di pagine di you tube.
Police Dog Blues, un Blues umoristico in 12 battute, è suonato in accordatura di Mi aperta, la famosa Vestapol, e per difficoltà qualifica qualsiasi chitarrista che l’abbia nel repertorio. Questo è l’unico tipo di accordatura aperta usata da Blake (11) e solo in Police Dog Blues e in Down In Country, quest’ultima in duetto con Leola Wilson. Contiene, oltre all’intro, ben 4 parti strumentali, la prima sui cantini, la seconda sui medi, la terza sui bassi e l’ultima sugli armonici naturali, suonate dopo ciascuna strofa cantata fino alla quarta. Sotto il cantato l’accompagnamento varia ad ogni giro e tale caratteristica è tipica dei grandi chitarristi Blues. Il testo, non tematico, si svolge nel comune formato dei primi due versi ripetuti e il terzo in risposta, o anche AAB, non presenta particolarità lessicali. A dispetto del titolo il vero soggetto del brano è l’Autore che utilizza il police dog rissoso quasi come pretesto per partire di nuovo verso nuovi lidi senza scrupoli o rimpianti. Il cantato di Blake è sempre piuttosto compassato e salvo rare eccezioni come in Miss Emma Liza o Sun To Sun Blues, risulta generalmente lontano dalla passionalità e dagli effetti vocali non solo dei suoi colleghi del Mississippi o del Texas ma anche di quelli a Est dei monti Appalachi, sebbene in Police Dog Blues lo stile leggero e canzonatorio di Blake sembra adattarsi bene al groove della parte strumentale.

Police Dog Blues
All my life I’ve been a travelin’ man
All my life I’ve been a travelin’ man
Stayin’ alone and doin’ the best I can

 Il Blues del Cane poliziotto
Per tutta la vita sono stato un viaggiatore
Per tutta la vita sono stato un viaggiatore
Stando da solo, facendo del mio meglio

Negli U.S.A. con Police Dog, cane poliziotto, si intende principalmente il pastore tedesco o quello belga, probabilmente perché furono queste le razze ad essere usate per prime con compiti di polizia, in Belgio dal 1899 e in Germania dal 1908. Proprio dal Belgio venivano i 6 cani pastori, addestrati dalla Polizia di Ghent e acquistati dal Ten. George R. Wakenfield, che nel 1908 li integrò nella N.Y.P.D. col nome di Patrol Squad 1, formando di fatto la prima unità canina di polizia della storia americana. In realtà i pastori tedeschi erano usati da tempo dalle polizie di molte città americane in modo sporadico, non inquadrati in unità autonome e quasi esclusivamente con compiti di ordine pubblico. Addestrati a considerare una minaccia chiunque non vestisse una divisa e a scattare ad un piccolo movimento dell’headache stick, il manganello del suo ‘conduttore’, godevano di fama sinistra anche tra coloro che avevano una fedina penale pulita.
L’espressione travelin’ man è spesso usata come eufemismo per indicare il ‘vagabondo’. L’ex schiavo Sam Jones Washington, in ‘Born in Slavery’, parlando del padre ignoto, dice: “him am what dey calls de travelin’ nigger (sic)”(12). In questo senso anche in ‘The Gone Dead Train’ incisa nel 1932, King Solomon Hill canta: “Please, help me win my fare, ‘cause I’m a travelin’ man, boys, an’ I can’t stay here”, e il fatto di chiedere aiuto per pagare il biglietto non indica certo floride condizioni di vita del viaggiatore. Non altrettanto può dirsi di ‘Police Dog Blues’, in considerazione della strofa successiva in cui il viaggiatore non solo non chiede soldi ma ha addirittura un bagaglio da spedire, cosa che ad un hobo, i cui averi possono stare in una scatola per fiammiferi, non potrebbe mai capitare.

II. I shipped my trunk down to Tennessee
I shipped my trunk down to Tennessee
Hard to tell about a man like me

Ho spedito il mio baule giù in Tennessee
Ho spedito il mio baule giù in Tennessee
Difficile parlare di un uomo come me

Spedire un baule presuppone, di solito, un lungo soggiorno nel luogo d’arrivo.

III. I met a gal, I couldn’t get her off my mind
I met a gal, I couldn’t get her off my mind
She passed me up, said she didn’t like my kind

Ho incontrato una ragazza, non potevo levarmela dalla testa
Ho incontrato una ragazza, non potevo levarmela dalla testa
Non si è fermata, ha detto non gli piacevano i tipi come me

IV. I’m scared to bother around her house at night
I’m scared to bother around her house at night
She got a police dog cravin’ for a fight

Ho paura a dare fastidio intorno casa sua di notte
Ho paura a dare fastidio intorno casa sua di notte
Ha un cane poliziotto che brama la zuffa

Il migliore amico dell’uomo fa spesso capolino nelle canzoni Blues, la maggior parte delle volte come infimo termine di paragone nella tipica espressione Blues “treated like a dog”, trattato come un cane, con bella aggiunta di aggettivi uniti al cane, come sporco, schifoso o bastardo. Da qui l’uso nel Blues del verbo to dog con il significato di ‘trattare male’, come appunto alcuni trattano i cani. Uno dei primissimi esempi sull’uso di questo classico paragone Blues è in Ida Cox’s Lawdy, Lawdy Blues, incisa nel luglio del 1923 per la Paramount da Ida Cox, con il verso: “Lord, Lord, Lordy, Lordy Lord / Oh, the man I love treats me like a dog”. Qualche volta, con una peculiare attenzione alle razze, il cane appare in senso zoologico, ad esempio con la funzione di guardiano come il proverbiale bulldog, acquistato per evitare che qualcuno sgattaioli dal letto coniugale durante la notte in Jealous Hearted Blues, uno dei grandi successi di Gertrude ‘Ma’ Rainey, inciso per la Paramount nell’ottobre del 1924: “Going to buy me a bulldog to watch me while I sleep / To keep my man from making his midnight creep”, oppure in ‘Jive Me Blues’ di Clifford Gibbons, incisa nel dicembre del 1929 per la Victor: “You ought to buy you a bulldog to watch us whilst we sleep / So he can see your husband if he makes a ‘fore day creep”. Puppies, bastardini, shaggy hounds, segugi a pelo lungo, floppy eared hounds, segugi dalle orecchie piatte come i Beagle, bird dogs, cani da riporto, sono invece le razze usate per inseguire gli amanti sfuggenti, come ad esempio in ‘Lonesome Blues’, della Cox, incisa nelll’agosto del 1925: “I’ve got ten little puppies, twelve little shaggy hound / It takes all twenty-two to run my good man down”,  questo è uno dei primi esempi del verso, o in ‘Loving Lady Blues’ di Sam Collins, inciso per la Gennet nel 1927: “I got nineteen bird dogs, got one floppy-eared hound / It just take those twenty to run my fair brown down”.
Più raramente, come in Black Dog Blues dello stesso Blake, inciso nel marzo del ’27, o nella celebre Hell Hound On My Trai di Robert Johnson, il cane può assumere qualità supernaturali e diventare il simbolo di qualche potere o volontà nemiche. Vale la pena di osservare infine che la parola dogs, nell’inglese vernacolare afro americano degli anni ’20 e ‘30, può anche significare ‘piedi’, come nella canzone Jasper’s Gal incisa da Peter Chatman, alias Memphis Slim, nel 1941 per la Bluebird: “Now her dogs are swollen, and she got one eye / She looks like a wreck, that happened last july”.

V. His name is Rambler, when he gets a chance
His name is Rambler, when he gets a chance
He leaves his mark on everybody’s pants

Si chiama ‘Rambler’, quando ne ha l’occasione
Si chiama ‘Rambler’, quando ne ha l’occasione
Lascia il suo marchio sulle braghe di tutti

‘Rambler’ è un bel nome per un cane, anche se difficilmente traducibile. Deriva dal verbo to ramble che nel blues ha notoriamente un significato più ampio e più raro del semplice ‘passeggiare’, ed evoca piuttosto il vagabondare per l’irresistibile attrazione verso il viaggio stesso, unito all’incapacità di sentirsi a casa in alcun luogo, una condizione psicologica che nell’inglese elegante di Oxford si esprime col termine wanderlust. L’azione del ramblin’, tema di Ramblin’ On My Mind, ormai uno standard di Robert Johnson, non ha però solo questo significato. Per estensione, la forza irresistibile che induce al viaggio, può indurre anche altre attività come il divertimento serale, ad esempio in Stop Your Rambling di Clifford Gibson, incisa per la QRS nel 1929: “Baby stop your way of rambling, stay at home with me sometime / Because this way you going every night will soon start me with a rambling mind”, oppure il gioco o la ricerca dongiovannesca di partner sessuali, come in Arkansas di Henry Thomas, incisa nel 1927: “I am a rambling gambling man, I gamble in many towns / I rambled this wide world over, I rambled these women around”, oppure oggetti come Blind Lemon Jefferson in Dry Southern Blues, incisa per la Paramount nel marzo del 1926: “I got up this morning rambling for my shoes / The little woman sung me a song of her worried blues”.

VI. Guess I’ll travel, well, I guess I’ll let her be
I Guess I’ll travel, now, I guess I’ll let her be
Before she sicks her police dog on me

Penso che partirò, beh, credo che la lascerò stare
Penso che partirò, ora credo che la lascerò stare
Prima che sguinzagli quel cane poliziotto contro di me

Con un ultimo veloce arpeggio si chiude la canzone.
Nel 2012, dopo ben 81 anni, grazie all’iniziativa della Grafton Blues Association per onorare degnamente questo grande musicista, è stata finalmente posta una piccola ma bella lapide in pietra nera dove si presume sia seppellito ciò che rimane del corpo di Arthur Blake, nel Blocco 6, fila 115, tomba 72, nella parte più vecchia e abbandonata del Glen Oaks Cemetery.

Note
1) Per la discografia: R.M.W Dixon, J. Godrich, H. Rye: Blues & Gospel Records 1890-1943, 4th edition, Clarendon Press 1997, oltre naturalmente: http://www.wirz.de/music/blakefrm.htm. Esistono alcune incisioni che riportano il nome di Blind George Martin o Billy James. Nel 2007 è stata ritrovata una copia di Night And Day Blues e Sun To Sun (Pm 13123) e nel 2012 una di Miss Emma Liza e Dissatisfied Blues (Pm 13115). Per chi volesse la collezione di tutti brani, in realtà incompleta, i 5 CD della  P-Vine (PCD-18539/439) del 2008 fanno per lui, Se invece si volesse una seleziona ragionata, i 2 compact della Document (CBL 200035) del 2002, sembrano la scelta migliore.
2) E’ possibile leggere tutte, o quasi, le memorie di Kate McTell, criticamente commentate, nel bel libro di Michael Gray: Hand Me My Travelin’ Shoes – In Search Of Blind Willie McTell, Chicago Rewiew Press, Inc., 2009.
3) In Living Blues n. 45/46 (primavera 1980).
4) In K. Gert Zur Heide Deep South Piano: The Story Of Little Brother Montgomery, Studio Vista Blues Paperbacks, 1970, pag. 45.
5) In Samuel Charters: The Blues Makers, Paperback, 1991
6) Così sembra intendere John Fahey in: Papa Charlie Jackson – An Open Letter From John Fahey, California in Blues World 22, dicembre 1968.
7) Il testo recitava: “The Raynor Funeral Home report the following funerals:  Creed Thomas, Mrs. Lulu Baker and Miss Pleasant. Arthur Blake, an old timer in Milwaukee, who though blind won fame with his recordings, passed away at his home, 1844 North 10th Street, on Saturday December 1. The body will lie in state at the Raynor funeral home”.
8) Milwaukee è oggi una bella città che ricorda in piccolo la vicina Chicago. Il quartiere di Bronzeville, che si dipanava intorno a Walnut Street, sventrato dalla costruzione delle Interstate 94 e 43 negli anni ’60, è invece uno squallido e povero neighborhood, da più di sette anni in attesa che decolli un piano di ristrutturazione urbana.
9) In realtà esiste una specie di imitatore che si avvicina al sound di Blind Blake, tale Blind Joe in When I Lie Down registrato da Alan Lomax nella Central Prison di Raleigh, North Carolina, il 19 dicembre 1934.
10) Sono state fatte alcune speculazioni sull’identità di A. Lamoore, coautore sulla carta di parecchie sides della Paramount con autori diversi dal 1929 al 1931, come Lemon Jefferson, Charlie Spand o Papa Charlie Jackson. Forse è uno pseudonimo di Mayo Williams, scelto per non infrangere l’esclusiva con l’etichetta Victor che aveva appena strappato alla Paramount i servigi di questo fantastico personaggio, o forse è quello di un anonimo funzionario della Paramount. In entrambi i casi era una cosa abbastanza normale l’inserimento più o meno giustificato di coautori fittizi nella produzione discografica dei race records al fine di arrotondare le entrate dei produttori e delle case discografiche lucrando parte dei diritti, in tempi in cui il diritto d’autore era, per così dire, facoltativo.
11) Arthur Blake non ha mai usato lo slide, e nemmeno l’accordatura aperta chiamata Spanish, in SOL o LA. Tuttavia ha usato l’accordatura semiaperta Dropped D in alcune incisioni come ad esempio in Chump Man Blues.
12) Born in Slavery: Slave Narratives from the Federal Writers’ Project, 1936-1938, Texas Narrative, Volume XVI, Part 4, pag. 138, consultabile sul sito della Library of Congress, sezione American Memory: “…Era quello che chiamavano un negro viaggiante”.

Pio Rossi, fonte Il Blues n. 134, 2016

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