È il nuovo eroe del soul ‘pallido’: nel senso che pur incidendo per la Motown, Remy Shand è bianco e canadese. Ma promette bene e infatti s’ispira a grandi come Stevie Wonder e Marvin Gaye. Diventerà un fuoriclasse?
E’ la nuova scoperta della Motown. È alto, dinoccolato, ha l’incarnato pallido, è canadese, ma è la nuova rivelazione del soul che si aggancia alla tradizione. Remy Shand ha solo 23 anni, ma ha interamente composto, suonato, cantato, prodotto, arrangiato e missato il suo disco d’esordio dal titolo The Way I Feel, emulando nomi noti nell’ambiente come Prince e Lenny Kravitz. Accomuna l’entusiasmo fresco del neofita con una sensibilità antica, nutrita a forza di Stevie Wonder, Marvin Gaye e Al Green. Quando gli danno del fuoriclasse si schermisce, perché non propone un suono nuovo; nuova invece è la storia che ha sostenuto un ragazzo di pelle bianca proveniente dalla provincia canadese fino al traguardo del firmare un contratto con la mitica Motown, che dopo i fasti del passato si sta impegnando ora a lanciare una nuova generazione di soulmen.
Remy non vuole essere paragonato a nuove stelle del firmamento black quali D’Angelo e Maxwell, perché dice di ispirarsi soprattutto ai maestri originali, quelli che per primi avevano esplorato il territorio negli anni Cinquanta e Sessanta “I miei miti sono Sly Stone, Miles Davis, i rappresentanti della scuola di Memphis; tutta la black music è derivativa rispetto a loro, per cui amo attingere direttamente dalle radici.”
Mr. Shand viene da Winnipeg, una cittadina situata nel centro del Canada, dove la scena è costituita soprattutto dal rock grezzo e senza fronzoli suonato nelle cantine e nelle birrerie.
“Mio padre è musicista, mia madre una grande conoscitrice di R&B e io sono cresciuto
scoltando i loro dischi. A 13 anni ho incominciato ad esibirmi con qualche complesso locale, suonando rock ma desiderando in realtà fare il soul che avevo amato fin da bambino. Non era facile in un ambiente duro come la provincia canadese proporre un suono dolce e suadente, caldo e sensuale. Così per anni mi sono adeguato, restando però profondamente insoddisfatto. È stata mia madre a un certo punto a risvegliarmi dal torpore, dicendomi che dovevo cambiare strada perché stavo perdendo la mia essenza. Allora ho mollato tutto, mi sono chiuso in casa e ho incominciato a lavorare al disco che avevo anche in mente”.
“È stato un periodo molto duro, in cui ho perso fidanzate e amici, che non riuscivano a comprendere la mia totale dedizione a quel progetto. Finché non ho incontrato mia moglie, anche lei una musicista, con la quale ho trovato una vera affinità elettiva, che mi ha sostenuto nel mio percorso. A disco quasi finito ho ottenuto un contratto con la Universal Canada che mi ha aiutato a completare il lavoro fornendomi la strumentazione. L’album nuovo di zecca è poi finito sulla scrivania del presidente della Motown, che ne è stato entusiasta e mi ha subito offerto un contratto. Se dovessi trarre un insegnamento da questa mia esperienza sarebbe quello di non mollare mai, di credere in se stessi, di seguire il proprio istinto accettando critiche e sfide; se si ha la forza delle proprie convinzioni i risultati prima o poi arrivano.”
Sicuramente la fiducia non manca a Remy Shand, se già al primo album ha avuto il coraggio di assumersene la responsabilità in toto firmando tutte le fasi. “La mia è una sfida personale e voglio comprendere da solo cosa sono capace di fare. A volte un parere esterno è utile perché ti dà misura; il rischio di fare tutto da sé è quello di diventare ermetici e autoreferenziali come l’ultimo Prince e di non comunicare più con la gente. Per me la musica non deve essere un esercizio estetico ma comunicazione, calore, voglia di vivere e ciò vale a maggior ragione per la black music.”
Remy Shand si è attenuto alla tradizione non facendo alcuna concessione ai suoni moderni iperprodotti della scena hip-hop. “Rispetto l’hip-hop, anche se ultimamente è diventato un fenomeno mainstream e commerciale, ma io preferisco i maestri; perché riproporre dei sample di brani degli anni Sessanta quando si può trarre direttamente da essi l’ispirazione?”
Mr. Shand è una one-man-band. Al contrario dei gruppi del passato che stima, non ha bisogno di coriste, ballerini e musicisti per riuscire a creare un suono groovy. “Il ritmo è ovunque intorno e dentro di noi. Posso sentirlo in un pezzo di bossa nova, ma anche nella natura o nei silenzi dell’amore. Mi bastano poi una chitarra acustica o un pianoforte per condensarlo in una canzone. Tutto sta nell’afferrare il vibe giusto e nel connettersi ad esso.”
Ammira molto le nuove cantanti nere quali Erykah Badu, Macy Gray, Lauryn Hill, ma preferisce tirare diritto per la sua strada. “Voglio far capire alle nuove generazioni che non tutta la musica passa su Mtv, che c’è uno splendido bagaglio tutto da scoprire che giace nel passato, che non bisogna seguire soltanto le ultime tendenze. Sono stato accusato di proporre uno stile datato, ma le critiche mi toccano poco perché per me è fondamentale suonare ciò che mi esce direttamente dal cuore.”
Sembra impossibile che questo giovane ragazzo sia riuscito a comporre un disco così colmo di passione nera senza muoversi da una sperduta cittadina del Canada più bianco. “In effetti c’è stato un episodio della mia vita che mi ha davvero ispirato ed è stata la visita ai Paisley Park Studios di Minneapolis (quelli di Prince, nda) quando avevo 10 anni, in una gita con i miei genitori. La prossima tappa sarà comunque Memphis.”
Ora Remy sta girando per il pianeta per promuovere il suo nuovo disco e farsi conoscere, ma la sua visione arriva più lontano. “Vorrei poter continuare a suonare riuscendo nel contempo a mantenere la mia famiglia, in modo da ripagare i miei genitori della fiducia che mi hanno sempre dimostrato. Vorrei anche poter dare una mano a mia moglie a farsi conoscere in questo ambiente difficile. Poi mi piacerebbe fondare una mia etichetta per produrre nuovi artisti e perpetrare così il verbo del soul nel tempo. Per ora però ho già raggiunto il colmo della felicità e spero solo di poter continuare ad esprimere me stesso trasmettendo vibrazioni positive.”
Barbara Volpi, fonte JAM n. 82, 2002